Una Linea Sottile. Oreste Maria Petrillo
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Capitolo 1
Fabrizio Tancredi
Vincitori e perdenti.
Cacciatori e prede.
Ecco di cos’è fatta un’aula di tribunale.
Ecco di cos’è fatto il mio mondo.
Un mondo dove tra la prima e la seconda categoria aleggia una linea sottile.
Una realtà dove un soffio di vento può fartela varcare.
Da tempo ho capito qual è il lato giusto della linea nel quale stare.
Io sono un vincente.
La mia non è inutile arroganza ma una semplice constatazione. Ogni uomo, in fondo, non fa altro che seguire gli istinti della propria natura.
E io sono nato per cacciare. Sono nato per vincere.
E c’è una ragione per la quale, nella maggior parte dei casi, riesco a non varcare quel confine. Sono bravo a calcolare il vento.
Nei miei trent’anni di vita ho dovuto lavorare come uno schiavo per imparare tutto ciò che un avvocato ha bisogno di sapere per emergere. Ma per essere il migliore ho dovuto sviluppare una dote che nessun libro può trasmettere e che nessun maestro può insegnare: il fiuto animale. Una affinità per i cambiamenti di rotta che all’interno di un palazzo di giustizia può salvare il culo più spesso di quanto si immagini. Lo stesso fiuto che mi ha fatto percepire una esitazione di troppo, una piccolissima pausa che ha messo in moto una congettura poi rivelatasi esatta. Lo stesso fiuto che stamattina mi ha fatto recapitare una sentenza che profuma di vittoria. Carenza dei requisiti di legittimazione.
Un modo squisitamente giuridico per dire che hai buttato nel cesso cinque anni di cause legali e ventimila sterline di spese legali, cui si aggiungeranno altre diecimila che la società difesa dallo studio per cui lavoro, sarà ben felice di versare per averle evitato un risarcimento di qualche milione.
Al volo riassetto il nodo della cravatta grigia che cala immacolata su un vestito di pura seta, mentre entro dalle porte trasparenti della Smithson Partnership e punto dritto agli ascensori che ormai cavalco da cinque anni. Detesto le cravatte ma ogni mondo ha le sue etichette, ogni vita ha qualche compromesso e, in tutta onestà, quello delle cravatte è, forse, il meno gravoso cui accondiscendere.
Tre minuti e sedici piani dopo sono nel corridoio esterno a fissare la sorridente segretaria dello studio. Uno schianto dai capelli castani e occhi marroni assunta la scorsa settimana alla quale ancora non sono riuscito a chiedere il nome. C’è qualcosa di carico, di solare in quel sorriso. Il radioso raggiare di una ragazza che ha vissuto quest’ambiente troppo poco tempo. Forse è proprio questo che mi piace di lei. Mi riprometto di invitarla a bere qualcosa se mai ci sarà tempo e luogo. Mentre le passo davanti mi fa un brevissimo cenno della mano per catturare la mia attenzione.
<<Buongiorno avvocato Tancredi, Mr Smithson è nel suo ufficio e le chiede di raggiungerlo>>
Lupus in fabula.
<<Grazie…>> per un attimo mi illudo le sia sfuggita la pausa appena accennata che sottintende il “come cavolo ti chiami?”
<<...Sofia, mi chiamo Sofia avvocato>>.
“Giusto, Sofia”.
<<Grazie Sofia, a proposito io sono Fabrizio>>.
Il suo viso si colora leggermente di rosso mentre allungo la mano per stringere la sua. Rapidamente mi allontano dalla sua scrivania per evitare ulteriore imbarazzo e punto dritto alla fine del corridoio passando davanti ad una piccola costellazione di uffici arredati con gusto, tra cui anche il mio, e busso all’ultima porta in fondo.
<<Avanti>>. Richard Smithson, come al solito, è dietro alla sua scrivania padronale in mogano, intento a sorseggiare un caffè.
Il socio fondatore dello studio che occupa la parte est del palazzo, un uomo attempato con un fisico asciutto e i capelli argentei folti, è un astuto bastardo che nei trascorsi trentacinque anni ha dominato la scena del diritto societario in città. Un capo e mentore che ha speso gli ultimi cinque anni supervisionando la mia formazione e ad inculcarmi quell’idea che sta alla base di qualsiasi avvocato in gamba: in aula i risultati sono gli unici a contare.
Una mentalità che oggi ha dato i suoi frutti.
<<Volevi vedermi?>>
<<Immagino che, se quel foglio che hai in mano è quello che credo, dovrò farti i