Cavaliere, Erede, Principe . Морган Райс

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Cavaliere, Erede, Principe  - Морган Райс Di Corone e di Gloria

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familiari brillavano sopra la sua testa. C’era la Coda di Drago, una massa di stelle sotto alla luna. C’era l’Occhio del Vecchio, formata attorno a una delle stelle più luminose in quella distesa buia. La nave che il popolo della foresta aveva per metà cresciuto e per metà costruito sembrava non deviare mai dalla rotta che Ceres aveva preso, anche quando doveva fermarsi per mangiare o dormire.

      A tribordo Ceres vide delle luci nell’acqua. Meduse luminose galleggiavano vicino a lei come nuvole subacquee. Ceres vide la sagoma più veloce di un pesce simile a una freccia che scivolava in mezzo al banco tagliando meduse a ogni passaggio e scappando prima che i tentacoli delle altre potessero toccarlo. Ceres guardò fino a che scomparvero in profondità.

      Mangiò un pezzo di uno dei frutti dolci e succulenti con cui gli isolani le avevano riempito la barca. Quando aveva salpato era sembrato che ce ne fossero per settimane. Ora il cibo rimasto non le sembrava più così tanto. Si ritrovò a pensare al capo del popolo della foresta, così bello in un modo strano e asimmetrico, con la sua maledizione che gli aveva fatto comparire delle macchie dove la pelle era verde e muschiosa o irruvidita come corteccia. Che ora fosse sull’isola a suonare la sua strana musica e a pensare a lei?

      Attorno a Ceres la nebbia iniziò a salire dall’acqua, infittendosi e riflettendo frammenti di luce lunare anche se oscurava la vista del cielo della notte sopra di lei. Roteava e si spostava attorno alla barca in filamenti di nebbia che si allungavano come dita. Il pensiero di Eoin sembrò condurre inevitabilmente al pensiero di Tano. Tano, che era stato ucciso sulle sponde di Haylon prima che Ceres gli dicesse che non voleva intendere sul serio nessuna di quelle dure cose che gli aveva gettato addosso quando se n’era andato. Lì sola nella sua barca Ceres non poteva levarsi di dosso il senso di nostalgia che provava nei suoi confronti. L’amore che aveva provato per lui era come un filo che la tirava nuovamente verso Delo, anche se Tano non era più lì.

      Pensare a Tano le faceva male. Il ricordo era come una ferita aperta che forse non si sarebbe mai più richiusa. C’erano così tante cose che lei doveva fare, ma nessuna di esse l’avrebbe riportato indietro. C’erano così tante cose che gli avrebbe detto se fosse stato lì, ma non c’era. C’era solo il vuoto della nebbia.

      La nebbia continuava ad avvolgere la barca e ora Ceres poteva vedere spuntoni di roccia che sbucavano dall’acqua. Alcuni erano di basalto nero ed affilato, ma altri portavano i colori dell’arcobaleno, come giganti pietre preziose disposte nel blu ondeggiante dell’oceano. Alcuni scogli avevano dei segni che disegnavano delle specie di spirali e Ceres non era sicura che fossero disegni naturali o se qualche antica mano li avesse intagliati.

      Sua madre si trovava da qualche parte oltre quelle rocce?

      Il pensiero le diede una scossa di eccitazione, scorrendo dentro di lei come la nebbia che si muoveva attorno alla barca. Stava per vedere sua madre. La sua vera madre, non quella che l’aveva sempre odiata e che l’aveva venduta ai mercanti di schiavi alla prima occasione. Ceres non sapeva come fosse fatta quella donna, ma solo la possibilità di poterlo scoprire la riempiva di trepidazione mentre conduceva la barca tra gli scogli.

      Forti correnti trascinavano la sua barca, minacciando di toglierle il timone di mano. Se non avesse avuto la forza che le veniva dal potere dentro di lei, Ceres dubitava che sarebbe stata capace di tenerlo stretto. Tirò il timone di lato e la sua piccola imbarcazione rispose con una grazia quasi vitale, scivolando oltre uno degli scogli, tanto vicino da poterlo toccare.

      Continuò a navigare tra le rocce e a ciascuna che oltrepassava si trovava a pensare a quanto si stesse avvicinando sempre più a sua madre. Che genere di donna avrebbe trovato? Nelle sue visioni non la si poteva distinguere bene, ma Ceres poteva immaginare e sperare. Magari era gentile, delicata e amorevole, tutte cose che non aveva mai ricevuto dalla madre che aveva sempre pensato sua a Delo.

      Cos’avrebbe pensato sua madre di lei? Quel pensiero colse Ceres mentre conduceva la barca ad avanzare in mezzo alla nebbia. Non sapeva cosa la aspettasse davanti. Magari sua madre l’avrebbe guardata e avrebbe visto una persona che non era stata capace di vincere nell’arena, che non era stata niente più che una schiava dell’Impero, che aveva perso la persona che amava di più. E se su madre l’avesse rifiutata? E se fosse stata dura, crudele e spietata?

      O forse invece sarebbe stata fiera di lei.

      Ceres uscì dalla nebbia così improvvisamente che le parve quasi un sipario che si levava. Ora il mare era piatto, sgombro da quelle rocce aguzze che prima spuntavano dalla superficie. Istantaneamente poté vedere che c’era qualcosa di diverso. La luce della luna sembrava in qualche modo più luminosa, ed attorno ad essa le nubi roteavano in macchie di colore nella notte. Anche le stelle sembravano mutate, tanto che adesso Ceres non riusciva a distinguere le costellazioni familiari che ‘cerano prima. Una cometa lasciò un scia all’orizzonte e il rosso vivo si mescolò al giallo e ad altri colori che non avevano pari nel mondo di sotto.

      Cosa ancora più strana, Ceres sentì il potere dentro di lei che pulsava, come se stesse rispondendo a quel luogo. Sembrava allungarsi dentro di lei, aprendosi e permettendole di fare esperienza di quel nuovo posto in cento modi che prima non avrebbe mai pensato.

      Ceres vide una forma salire dall’acqua, un collo lungo e serpentino che si sollevava prima di rituffarsi sotto alle onde in uno scoppio di spruzzi. La creatura si alzò ancora brevemente e Ceres ebbe l’impressione di qualcosa di enorme che le nuotava vicino nell’acqua prima di sparire. Bestie simili ad uccelli guizzarono alla luce della luna e fu solo quando si avvicinarono di più che Ceres poté vedere che erano falene argentate più grosse della sua testa.

      Con gli occhi sempre più pesanti per il sonno, Ceres fissò il timone, si distese e lasciò che il sonno si impadronisse di lei.

      ***

      Ceres si svegliò al grido di uccelli. Sbatté le palpebre e si mise a sedere, constatando che non erano per niente uccelli. Due creature con il corpo di grossi gatti fluttuavano sopra di lei con ali d’aquila, chiamando con i loro becchi rapaci spalancati. Non diedero alcun segno di volersi avvicinare a lei e si limitarono a volare in cerchio sopra alla barca prima di allontanarsi.

      Ceres li guardò e dato che li stava seguendo con lo sguardo vide il piccolo puntino di un’isola verso la quale si stavano dirigendo all’orizzonte. Più veloce che poté Ceres issò la piccola vela, cercando di cogliere il vento che soffiava perché la spingesse verso quell’isola.

      Il puntino si fece più grande e quelli che le parvero altri scogli apparvero dall’oceano mentre Ceres si avvicinava, ma non erano gli stessi che aveva visto tra la nebbia. Questi erano squadrati, artificiali, ricavati da un marmo iridescente. Alcuni di essi sembravano le guglie di qualche grandioso edificio da tempo sommerso dalle onde.

      Spuntava anche un mezzo arco, così grande che Ceres non poteva immaginare cosa potesse essere passato sotto di esso. Guardò oltre il lato della barca e l’acqua era così trasparente che lei poté scorgere il fondale marino di sotto. Non era molto profondo e Ceres poté vedere i resti di vecchi edifici là sotto. Erano così vicini che Ceres avrebbe potuto nuotare fino a raggiungerli solo trattenendo il fiato. Ma non lo fece, sia per le cose che già aveva visto nell’acqua e anche per quello che le stava davanti.

      Eccola lì. L’isola dove avrebbe ottenuto le risposte di cui aveva bisogno. Dove avrebbe capito il suo potere.

      Dove avrebbe finalmente incontrato sua madre.

      CAPITOLO QUATTRO

      Lucio fece roteare la lama sopra alla spalla, esultando per come luccicava alla fioca luce un istante prima di andare a trafiggere il vecchio che aveva

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