Un’Impresa da Eroi . Морган Райс
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Читать онлайн книгу Un’Impresa da Eroi - Морган Райс страница 13
Mentre Thor si faceva strada così durante la notte, rimase sveglio per ore, ripensando al suo incontro con il Sybold. Con Argon. Al suo destino. Alla sua precedente dimora. A sua madre. Sentiva che l’universo gli aveva dato una risposta, dicendogli che aveva un altro destino. Era rimasto steso lì, le mani intrecciate dietro la nuca, a guardare in alto il cielo notturno che era visibile attraverso la tela lacerata. Aveva osservato l’universo, così luminoso, le stelle rosse così distanti. Era euforico. Per una volta nella sua vita era finalmente in viaggio. Non sapeva verso quale destinazione, ma stava andando. Per una strada o per un’altra sarebbe arrivato alla Corte del Re.
Quando Thor aprì gli occhi era mattina: la luce inondava il giorno e lui si rese conto di essersi assopito. Velocemente si tirò su a sedere, guardandosi intorno e rimproverandosi per aver ceduto al sonno. Sarebbe dovuto rimanere più vigile, aveva avuto fortuna che non l’avessero scoperto.
Il carro era ancora in movimento, ma non dava poi tanti scossoni. Il che poteva significare solo una cosa: una strada migliore. Dovevano essere vicini ad una città. Thor guardò in basso e vide quanto liscia fosse la strada, senza pietre, senza crepe e costeggiata da bianche ed eleganti conchiglie. Il cuore gli batté più forte nel petto: si stavano avvicinando alla Corte del Re.
Thor guardò fuori dal retro del carro e rimase senza parole: le strade immacolate erano brulicanti di attività. Decine di carri di tutte le forme e di tutte le misure trasportavano ogni genere di cosa e riempivano le strade. Uno era carico di pellicce, un altro di tappeti, un altro ancora di polli. In mezzo a questi carri camminavano centinai di mercanti, alcuni conducevano bestiame, altri portavano ceste di merce sulle loro teste. Quattro uomini trasportavano un viluppo di seta, tenendolo in equilibrio su dei pali. Era un esercito di persone, tutti diretti nello stesso senso di marcia.
Thor si sentiva vivo. Non aveva mai visto così tanta gente in una volta, così tanta merce, così tante cose. Era stato in un piccolo villaggio tutta la sua vita e ora si trovava in un centro di vita, travolto dall’umanità.
Udì un forte rumore: il clangore di catene, il battito di un grande pezzo di legno, così forte che il terreno tremò. Qualche attimo dopo giunse un suono diverso, di zoccoli di cavalli che facevano schioccare il legno. Guardò in basso e capì che stavano attraversando un ponte. Accanto a loro scorreva un fossato. Un ponte levatoio.
Thor si sporse con la testa dal carro e vide immensi pilastri di pietra, il cancello di ferro con spuntoni acuminati sollevato sopra le loro teste. Stavano varcando il Cancello del Re.
Era il cancello più grande che avesse mai visto. Guardò in alto verso le punte acuminate e tremò all’idea che se fossero scese l’avrebbero tagliato a metà. Avvistò quattro membri dell’Argento del Re di guardia all’ingresso, e il suo cuore si mise a battere ancora più forte.
Passarono attraverso una lunga galleria di pietra e poi, qualche attimo più tardi, il cielo si riaprì sopra di loro. Si trovavano nella Corte del Re.
Thor riusciva a malapena a crederlo. Qui c’era ancora più attività, se mai fosse possibile: sembravano migliaia di persone che mulinavano in ogni direzione. C’erano ampie distese d’erba perfettamente tagliata e fiori sbocciati ovunque. Le strade si facevano più ampie, ed erano costeggiate da chioschi, venditori ed edifici di pietra. E in mezzo a tutto questo, gli uomini del Re. Soldati in armatura. Thor ce l’aveva fatta.
Nel pieno dell’eccitazione, senza pensarci si alzò in piedi, ma appena l’ebbe fatto il carro si fermò di colpo, facendolo cadere all’indietro, di schiena, sulla paglia. Prima che riuscisse ad alzarsi, ci fu il suono del legno che si abbassava, e guardando in alto poté vedere un anziano furioso, calvo, vestito di stracci e con’ l’espressione corrucciata. Il carrettiere si allungò verso di lui, lo afferrò per le caviglie con le sue mani ossute, e lo tirò giù dal carro.
Thor volò per aria e andò ad atterrare con la schiena sulla strada lercia, sollevando una nuvola di polvere. Uno scroscio di risa di levò attorno a lui.
“La prossima volta che ti fai un giro sul mio carro, ragazzo, ti metto ai ceppi. Ritieniti fortunato che non chiamo l’Argento all’istante!”
Il vecchio si voltò e sputò, poi si affrettò di nuovo sul suo carro e schioccò la frusta facendo ripartire i cavalli.
Imbarazzato Thor si rimise lentamente in piedi. Si guardò in giro: uno o due passanti ridacchiarono e Thor rispose con un sogghigno, fino a che quelli non distolsero lo sguardo. Si strofinò le braccia e cercò di eliminare la terra; era ferito nell’orgoglio, ma non nel corpo.
Lo spirito gli si risollevò quando si guardò attorno, stupefatto, e si rese conto che avrebbe dovuto gioire per avercela fatta fino a quel punto, finalmente. Ora che era fuori dal carro poteva guardarsi in giro liberamente, ed era una vista straordinaria: la corte si distendeva fino a dove l’occhio poteva vedere. Al suo centro si trovava un magnifico palazzo di pietra, circondato da torreggianti mura di pietra fortificate, coronate da balaustre in cima alle quali, ovunque, faceva la ronda l’esercito del Re. Tutt’attorno a lui si estendevano prati verdi, perfettamente curati, palazzi di pietra, fontane, boschetti. Era una città. Ed era straripante di gente.
Ovunque confluivano ogni genere di persona – mercanti, soldati, dignitari – ognuno con indicibile fretta. Thor ebbe bisogno di qualche minuto per capire che stava accadendo qualcosa di speciale. Durante la sua passeggiata vide che erano in corso preparativi, si stavano sistemando posti a sedere, veniva eretto un altare. Sembrava che stessero preparando il tutto per un matrimonio.
Gli venne quasi un colpo al cuore quando vide, in lontananza, il campo di un torneo, con la sua lunga corsia di terra e la corda divisoria. In un altro campo vide soldati tirare lance contro bersagli lontani; in un altro ancora arcieri che miravano a bersagli di paglia. Sembrava che ovunque ci fossero giochi e gare. C’era anche la musica: liuti, flauti e cembali, gruppi di musici vagabondavano; e vino, enormi botti venivano fatte rotolare; e cibo, si preparavano tavoli, i banchetti si allungavano a perdita d’occhio. Era come se fosse capitato nel mezzo di un enorme celebrazione.
Tutto era talmente stupefacente che Thor avvertì la necessità impellente di trovare la Legione. Era già in ritardo, e doveva presentarsi.
Si avvicinò di corsa alla prima persona che vide, un anziano che sembrava, per la sua tunica macchiata di sangue, un macellaio che si affrettava lungo la strada. Erano tutti così di fretta lì.
“Mi scusi, signore,” disse Thor, afferrandogli il braccio.
L’uomo guardò verso la mano di Thor con espressione denigratoria.
“Cosa c’è, ragazzo?”
“Sto cercando la Legione del Re. Sa dirmi dove si esercitano?”
“Ti sembro una mappa?” sibilò l’uomo, e si allontanò in fretta e furia.
Thor rimase spiazzato dalla sua scortesia.
Si avvicinò allora alla persona successiva, una donna che stava disponendo dei fiori su un lungo tavolo. C’erano diverse donne a quel tavolo e tutte lavoravano sodo. Thor pensò che almeno una di loro probabilmente sapeva quello che gli serviva.
“Mi scusi, signorina,” disse. “Sa per caso dove si esercita la Legione del Re?”