La Fabbrica della Magia . Морган Райс
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Читать онлайн книгу La Fabbrica della Magia - Морган Райс страница 17
Si fermò un momento, sollevato per essere scampato finalmente alla pioggia. Aspettò che gli occhi si abituassero all’oscurità, poi vide che tutto era come l’ultima volta che era stato lì, con i macchinari impolverati e pieni di ragnatele, abbandonati e in disuso. Solo che…
Oliver notò una riga gialla dritta e molto sottile sul pavimento. Non era colore, ma luce. Una scia di luce. Beh, Oliver sapeva che una scia di luce doveva avere una fonte, quindi si affrettò a seguirla come se fosse una pista di briciole di pane. Conduceva a una solida parete in mattoni.
Che strano, pensò Oliver fermandosi e premendo le dita contro il muro. La luce non dovrebbe andare attraverso i corpi.
Andò a tentoni nella penombra, cercando di capire come la luce potesse passare attraverso un oggetto solido. Poi improvvisamente toccò qualcosa di diverso. Una maniglia?
Oliver si sentì pervadere da un improvviso impulso di speranza. Piegò la maniglia e fece un salto indietro al risuonare di un fortissimo cigolio.
Il terreno tremò. Oliver barcollò, tentando di stare in piedi mentre il terreno si muoveva sotto ai suoi piedi.
Si sentì ruotare. Non solo lui, ma anche la parete. Probabilmente era costruita su una tavola girevole! E mentre ruotava, un potente fascio di luce dorata trapelò dall’altra parte.
Oliver sbatté le palpebre per l’improvviso bagliore. Sentiva le gambe instabili sotto di sé a causa del movimento di rotazione del pavimento.
Poi il movimento si interruppe, tanto rapidamente come era iniziato. Ci fu un click e il muro trovò la sua nuova posizione. Oliver barcollò, questa volta per l’improvvisa decelerazione.
Si guardò attorno e fu sorpreso da ciò che vide. Ora si trovava in un’ala completamente nuova della fabbrica. Era piena di invenzioni fantastiche e incredibili! Non i relitti cigolanti e ricoperti di ragnatele del magazzino di prima, ma al loro posto, dal pavimento al soffitto e fino a dove l’occhio poteva vedere, si trovavano enormi macchinari nuovi, scintillanti e brillanti.
Oliver era a bocca aperta. Pieno di eccitazione, corse vicino al primo macchinario. Aveva un braccio mobile che ruotava sopra la sua testa. Oliver si abbassò giusto in tempo e vide che la mano all’estremità del braccio teneva un uovo sodo dentro a un porta uovo. Subito sotto, altre due mani senza corpo si muovevano sulla tastiera di un pianoforte, mentre accanto a loro un enorme metronomo in ottone teneva il tempo.
Oliver era tanto preoccupato quanto deliziato dalle invenzioni che lo circondavano, da non aver neanche notato lo strano oggetto a forma di pentola del giorno prima, e neanche l’uomo che vi stava armeggiando. Fu solo quando il cucù di una pendola si mise a volare, facendolo barcollare indietro e andare a sbattere contro l’uomo, che Oliver si accorse di non essere solo.
Oliver sussultò è ruotò sul posto. Improvvisamente si rese conto di chi aveva di fronte. Sebbene fosse decisamente più vecchio rispetto alla foto nel suo libro, Oliver capì che stava guardando negli occhi Armando Illstrom.
Oliver sussultò. Non ci poteva credere. Il suo eroe era davvero lì, in piedi davanti a lui, vivo e vegeto!
“Ah!” disse Armando sorridendo. “Mi stavo proprio chiedendo quando ti saresti fatto vedere.”
CAPITOLO CINQUE
Oliver sbatté le palpebre, stupefatto da ciò che vedeva. Diversamente dalla parte di fabbrica – polverosa e ricoperta di ragnatele – che esisteva dalla parte opposta della parete meccanica, qui l’ambiente era caldo e luminoso, luccicante per la pulizia, palpitante di vita.
“Hai freddo?” chiese Armando. “Pare che tu sia stato sotto alla pioggia.”
Lo sguardo di Oliver si spostò sull’inventore. Era scioccato di trovarsi effettivamente faccia a faccia con il suo eroe. Anche se il tempo passava, non riusciva a pronunciare una sola parola.
Oliver cercò di iniziare un discorso dicendo: “Sì,” ma l’unico suonò che gli uscì dalla gola fu una specie di confuso sbuffo.
“Vieni, vieni,” disse Armando. “Ti sistemo con qualcosa di caldo da mandare giù.”
Sebbene fosse senza ombra di dubbio l’Armando del suo libro sugli inventori, il suo volto era invecchiato dal tempo. Oliver fece dei rapidi calcoli nella propria testa: dal suo libro sapeva che la fabbrica di Armando era attiva e funzionante durante la Seconda Guerra Mondiale, e che Armando stesso era stato un giovane appena ventenne durante i suoi anni d’oro, il che significava che ora doveva avere almeno novant’anni! Notò per la prima volta che Armando usava un bastone per sostenere il proprio fragile corpo.
Oliver iniziò a seguirlo attraverso la fabbrica. L’illuminazione era ora troppo scarsa per permettergli di distinguere cosa fossero esattamente le grosse forme attorno a lui, anche se sospettava che si trattasse di altre formidabili invenzioni di Armando, invenzioni funzionanti, diverse da quelle che si trovavano dall’altra parte della parete mobile.
Percorsero un corridoio e Oliver ancora non poteva credere che tutto questo fosse reale. Si aspettava di svegliarsi da un momento all’altro e scoprire che era stato tutto un sogno, causato dalla botta contro la parete del bidone dell’immondizia.
A rendere le cose ancora più fantastiche e irreali agli occhi di Oliver era la fabbrica stessa. Era progettata come la tana di un coniglio, un labirinto pieno di porte e archi e corridoi e scale, tutti che portavano lontano dal piano del corpo principale dell’edificio. Anche quando aveva fatto il giro del perimetro esterno della fabbrica il giorno prima, non aveva notato niente di strano nell’architettura, nessun segno di scale esterne o cose simili. Ma la fabbrica stessa era così enorme, che da fuori sembrava solo un grande parallelepipedo. Nessuno poteva immaginare, guardandola da fuori, come fosse disposto l’interno. Né ci si poteva aspettare una cosa del genere. Sapeva che Armando doveva essere un tipo un po’ schizzato, ma il modo in cui era strutturata la fabbrica era assolutamente bizzarro!
Oliver guardava a destra e a sinistra mentre camminava, vedendo attraverso una porta una grande macchina che assomigliava al primo prototipo di computer di Charles Babbage. Oltre un’altra porta si trovava una stanza con il soffitto altissimo, come una chiesa, con un soppalco su quale si trovava, rivolta verso una parete di vetro, una fila di enormi telescopi in ottone.
Oliver continuò a seguire il barcollante inventore, il fiato continuamente sospeso in gola. Sbirciò dentro a un’altra stanza. Era piena di automi dall’inquietante aspetto umano. E in quella attigua si trovava un intero carro armato, dotato delle armi più strane che Oliver avesse mai visto.
“Non ti preoccupare, Horatio,” disse Armando improvvisamente. Oliver sussultò, risvegliandosi un’altra volta dal suo stato di trance.
Si guardò attorno cercando il cosiddetto Horatio, la sua mente che cercava di immaginare ogni genere di macchinario che si fosse potuto guadagnare quel nome, fino a che notò un segugio dall’aria triste che se ne stava accovacciato in una cesta ai suoi piedi.
Armando continuò a parlare. “La sua artrite è peggio della mia, poverino. Lo rende molto irritabile.”
Oliver