Un Lamento Funebre per Principi . Морган Райс
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Читать онлайн книгу Un Lamento Funebre per Principi - Морган Райс страница 12
Sebastian stava aspettando vicino a un altare insieme a una sacerdotessa della Dea Mascherata con le vesti che proclamavano il suo rango superiore alle altre dell’ordine. C’era anche la vedova, seduta su un trono d’oro mentre guardava sul figlio. La sposa avanzò, coperta dal velo e vestita di bianco. Quando la sacerdotessa tirò indietro il velo mostrando il volto di Angelica, Sofia gridò…
Si trovò in una stanza che riconosceva dalla sua memoria, la disposizione delle cose di Sebastian immutata dalle notti che aveva trascorso lì con lui, la cascata della luce della luna sulle lenzuola che la riportava ai ricordi del tempo trascorso insieme. C’erano dei corpi aggrovigliati in quelle lenzuola, e stretti tra loro. Sofia poteva udire le loro risate e la loro gioia.
Vide la luce della luna illuminare il volto di Sebastian, colto in un’espressione di puro bisogno, e quello di Angelica che non mostrava altro che trionfo.
Sofia si girò e si mise a correre. Corse alla cieca nella nebbia, non volendo vedere nient’altro. Non voleva restare in quel luogo. Doveva scappare da lì, ma non riusciva a trovare l’uscita. Peggio ancora, sembrava che ogni direzione prendesse riportasse ad altre immagini, e anche quelle di sua figlia le facevano male, perché Sofia non aveva modo di sapere quali potessero essere vere e quali fossero lì solo per farle del male.
Doveva trovare un modo per uscire, ma non ci vedeva abbastanza bene da trovarlo. Rimase ferma lì, sentendo il panico crescere dentro di sé. In qualche modo sapeva che Angelica l’avrebbe seguita di nuovo, dandole la caccia nella nebbia, pronta a conficcarle in corpo la lama ancora una volta.
Poi vide la luce che brillava attraverso la nebbia.
Crebbe lentamente, partendo come qualcosa che si faceva appena strada attraverso le tenebre, poi diventando pian piano qualcosa di più grande, qualcosa che bruciava la nebbia eliminandola nello stesso modo in cui il sole poteva asciugare la rugiada al mattino. La luce portava con sé del calore, dando vita alle sue membra, agli arti che prima le erano sembrati di piombo.
Si riversò su Sofia, e lei lasciò che il potere le scorresse dentro, portando con sé immagini di prati e fiumi, monti e foreste, un intero regno contenuto in quel tocco di luce. Anche il ricordo del dolore proveniente dalla ferita sembrava scomparire davanti a quel potere. Per istinto Sofia si mise una mano sul fianco e la ritrasse bagnata di sangue. Poteva vedere la ferita adesso, ma si stava chiudendo, la carne si stava ricomponendo sotto il tocco di quell’energia.
Quando la nebbia si sollevò, Sofia poté vedere qualcosa in lontananza. Le ci volle qualche altro secondo prima di poter vedere una scala a chiocciola che conduceva verso un punto luminoso, così lontano in alto, che raggiungerlo pareva impossibile. Sofia in qualche modo sapeva che l’unico modo di andarsene da quell’incubo apparentemente senza fine era di raggiungere quella luce. Partì diretta verso la scala.
“Pensi di potertene andare?” chiese Angelica alle sue spalle. Sofia si voltò di scatto e riuscì per un pelo ad abbassare in tempo le mani mentre Angelica la colpiva con il suo coltello. Sofia la spinse indietro di istinto, poi si girò e si mise a correre verso le scale.
“Non te ne andrai mai da qui!” gridò Angelica, e Sofia udì i suoi passi che la seguivano.
Accelerò: non voleva essere pugnalata un’altra volta, e non solo per evitare il dolore. Non sapeva cosa sarebbe successo se quel posto fosse mutato ancora, o quanto sarebbe durata quell’apertura lì in alto. In nessun caso poteva permettersi di correre il rischio, quindi scattò verso le scale, ruotando quando le raggiunse per dare un calcio ad Angelica respingendola in tempo prima che la colpisse.
Sofia non si fermò a lottare contro di lei, ma salì di corsa le scale, facendo due gradini alla volta. Poteva sentire Angelica dietro di sé, ma questo non importava. Tutto ciò che contava era scappare. Continuò a salire, arrampicandosi sempre più su.
Le scale continuavano a salire, sembravano infinite. Sofia continuò a percorrerle, ma sentiva che stava iniziando a stancarsi. Ora non stava più facendo i gradini due alla volta, e un’occhiata alle spalle le fece vedere la versione da incubo di Angelica che ancora la seguiva, dandole la caccia con un truce senso di inevitabilità.
L’istinto di Sofia era di continuare a salire, ma una parte più profonda di lei iniziava a pensare che la cosa fosse stupida. Questo non era il mondo normale, non aveva le stesse regole, né la stessa logica. Questo era un posto dove pensiero e magia contavano più che la pura abilità di continuare ad andava avanti.
Questo pensiero bastò a far fermare Sofia e a portarla a immergersi più a fondo in se stessa, tentando di raggiungere il filo di potere che era sembrato connetterla all’intero paese. Si girò per affrontare l’immagine di Angelica. Ora capiva.
“Tu non sei reale,” disse. “Tu non sei qui.”
Mandò fuori un sussurro di potere, e l’immagine della sua potenziale assassina si dissolse. Si concentrò e la scala a chiocciola scomparve, lasciando Sofia su un pavimento piatto. La luce ora non era in alto sopra di lei, ma si trovava a solo uno o due passi di distanza, e formava una soglia che pareva dare sulla cabina di una nave. La stessa cabina in cui Sofia era stata pugnalata.
Facendo un profondo respiro, Sofia vi passò attraverso, e si svegliò.
CAPITOLO SETTE
Kate sedeva sul ponte della nave mentre solcava il mare, la stanchezza che le impediva di fare molto altro. Anche con il tempo che era passato da quando aveva guarito la ferita di Sofia, era come se non si fosse pienamente ripresa dallo sforzo.
Di tanto in tanto i marinai la controllavano al loro passaggio. Il capitano, Borkar, era particolarmente attento, e le veniva accanto con una frequenza e deferenza che sarebbero apparse divertenti se non fosse stato così completamente sincero.
“State bene, mia signora?” le chiese per quella che le parve la centesima volta. “Vi serve qualcosa?”
“Sto bene,” lo rassicurò Kate. “E non sono la signora di nessuno. Sono Kate e basta. Perché continuate a chiamarmi così?”
“Non è il mio ruolo quello di dirlo, mia… Kate,” insistette il capitano.
Non era solo lui. Tutti i marinai sembravano girare attorno a Kate con un livello di deferenza che tendeva all’ossequioso. Non vi era abituata. La sua vita era stata fatta della brutalità della Casa degli Indesiderati, seguita dal cameratismo degli uomini di Lord Cranston. E c’era stato Will, ovviamente…
Sperava che Will fosse al sicuro. Quando se n’era andata, non era stata capace di salutarlo, perché Lord Cranston non l’avrebbe mai lasciata andare se l’avesse fatto. Avrebbe dato qualsiasi cosa per averlo potuto salutare a dovere, o ancora meglio, portarlo con sé. Avrebbe probabilmente riso per gli uomini che le si inchinavano davanti, sapendo quanto quell’educazione ingiustificata la scocciasse.
Forse era qualcosa che Sofia aveva fatto. Dopotutto aveva ricoperto il ruolo della nobile prima. Forse le avrebbe spiegato tutto non appena si fosse svegliata. Se si fosse svegliata. No, Kate non poteva pensare a quel modo. Doveva sperare, anche se erano passati ormai più di due giorni da quando aveva rimarginato la ferita di sua sorella.
Kate entrò nella cabina. Il gatto della foresta di Sofia sollevò la testa quando la vide, guardandola con sguardo protettivo. Da dove si trovava sdraiato ai piedi di Sofia, sembrava una coperta di pelliccia. Con sorpresa di Kate, il gatto