Dalla Terra alla Luna (Prometheus Classics). Жюль Верн
Чтение книги онлайн.
Читать онлайн книгу Dalla Terra alla Luna (Prometheus Classics) - Жюль Верн страница 9
Ecco dunque ciò che, volere o non volere, sapeva ogni americano, ciò che a nessuno era lecito d’ignorare. Ma se questi veri principii si fanno rapidamente volgari, molti errori, certi timori illusorii sono meno facili da sradicarsi.
Epperò alcune buone persone, per esempio, sostenevano che la Luna fosse un’antica cometa, la quale, percorrendo la sua orbita allungata intorno al Sole, passò vicino alla Terra e si trovò trattenuta nel suo circolo d’attrazione. Tali astronomi da conversazione pretendevano spiegare così l’aspetto rossiccio della Luna, sventura irreparabile che essi rimproveravano all’astro raggiante. Soltanto, quando facevasi loro osservare che le comete hanno un’atmosfera e che la Luna ne ha poca o non affatto, essi rimanevano imbarazzati nel rispondere.
Altri, appartenenti alla schiatta dei paurosi, manifestavano certi timori riguardo alla Luna. Avevano inteso dire che, in seguito alle osservazioni fatte al tempo de’ Califfi, il suo moto di rivoluzione si accelerava in una certa misura; ne conchiudevano, per altro con molta logica, che ad un acceleramento di moto dovesse corrispondere una diminuzione nella distanza dei due astri, e che, prolungandosi all’infinito questo doppio effetto, la Luna finirebbe un giorno a cadere sulla Terra. Nulladimeno dovettero rinfrancarsi e cessar di temere per le generazioni future, quando si apprese loro che, secondo i calcoli di Laplace, illustre matematico francese, questo acceleramento di moto racchiudesi in limiti ristrettissimi, e che una diminuzione proporzionale non tarderà a succedervi. Laonde l’equilibrio del mondo solare non poteva essere turbato nei secoli futuri.
Rimaneva in ultimo luogo la classe superstiziosa degli ignoranti: costoro non si contentano d’ignorare ciò che è; essi sanno ciò che non è, e a proposito della Luna la sanno lunga. Taluni consideravano il suo disco come un terso specchio, col mezzo del quale era possibile vedersi dai diversi punti della Terra e comunicarsi scambievolmente i propri pensieri. Gli altri pretendevano che sopra mille lune nuove osservate, novecentocinquanta avessero data occasione a notevoli turbamenti sopra la Terra, quali sarebbero cataclismi, rivoluzioni, terremoti, diluvio, ecc.: dessi credevano dunque all’influenza misteriosa dell’astro della notte sugli umani destini: lo ritenevano come il «vero contrappeso» dell’esistenza; pensavano che ogni selenite era unito a ciascun abitante della Terra da un legame simpatico; col dottor Mead sostenevano che il sistema vitale le è interamente sottomesso, pretendendo, senza cedere di un punto, che i bambini nascono specialmente durante la luna nuova, e le bambine durante l’ultimo quarto, ecc, ecc.: ma infine si dovette rinunziare a questi volgari errori, ritornare alla sola verità, e se la Luna, spoglia della sua influenza perdette tutti i poteri sull’animo di certi cortigiani, se alcuni le voltarono le spalle, la grande maggioranza si pronunziò per lei. Quanto agli Yankees, più non ebbero altra ambizione che di pigliare possesso di questo nuovo continente degli spazî, e d’inalberare sulla sua più alta vetta lo stendardo stellato degli Stati Uniti d’America.
Capitolo 7 L'inno della palla da cannone.
Nella sua memorabile lettera del 7 ottobre, l’Osservatorio di Cambridge aveva decisa la questione dal punto di vista astronomico; si trattava ormai di risolverla meccanicamente. Sotto tale aspetto, le difficoltà pratiche sarebbero state per sè insuperabili in qualsiasi altro paese che l’America: quivi fu un puro gioco.
Senza perder tempo, il presidente Barbicane aveva nominato in seno al Gun-Club un Comitato d’esecuzione. Questo Comitato doveva, in tre sedute, chiarire le tre grandi questioni: del cannone, del proiettile e delle polveri. Fu composto di quattro membri espertissimi, dottissimi in materia. Barbicane, con voto preponderante in caso di divisione, il generale Morgan, il maggiore Elphiston, ed infine l’inevitabile J. T. Maston, a cui furono affidate le funzioni di segretario relatore.
Il giorno 8 ottobre, il Comitato si radunò dal presidente Barbicane, Republican-Street, n. 3. Siccome era importante che lo stomaco non venisse a turbare colle sue grida così seria discussione, i quattro membri del Gun-Club presere posto ad una tavola coperta di sandwiches e di cogome da tè considerevoli. Tosto J. T. Maston assicurò la penna al suo appiccàgnolo di ferro, e la seduta cominciò.
Barbicane prese la parola:
«Miei cari colleghi, diss’egli, noi dobbiamo risolvere uno de’ più importanti problemi della balistica, la vera dottrina del moto dei proiettili, cioè dei corpi lanciati nello spazio da una forza d’impulso qualsiasi, poi abbandonati a sè stessi.
– Oh! la balistica, la balistica! esclamò J. T. Maston con voce commossa.
– Sarebbe forse parso più logico, riprese Barbicane, di consacrare questa prima seduta alla discussione sulla macchina di lanciare.
– Certo, rispose il generale Morgan.
– Tuttavia, riprese Barbicane, dopo matura riflessioni, mi è sembrato che la questione del proiettile debba avere la preminenza su quella del cannone, e che le dimensioni di questo debbano dipendere dalle dimensioni di quello.
– Domando la parola, esclamò J. T. Maston.
La parola gli fu accordata con quella deferenza che meritavasi il suo magnifico passato.
«Bravi amici, diss’egli con voce ispirata, il nostro presidente ha ragione di attribuire l’importanza maggiore alla quistione del proiettile! Questa palla che noi stiamo per lanciare nella luna è il nostro messaggero, il nostro ambasciatore, e vi chiedo licenza di considerarlo da un punto di vista puramente morale.»
Il modo novissimo di ragionare d’un proiettile punse non poco la curiosità dei membri del Comitato; essi accordarono quindi la più viva attenzione alle parole di J. T. Maston.
«Miei cari colleghi, ripigliò quest’ultimo, io sarò breve; lascerò da banda la palla fisica, la palla che uccide, per non considerare che la palla matematica, la palla morale. La palla è per me la più brillante manifestazione dell’umana potenza: è in essa che la nostra facoltà si riassume tutta intera, si fu nel crearla che l’uomo si avvicinò meglio al Creatore!
– Benissimo! disse il maggiore Elphiston.
– Infatti, proseguì l’oratore, se Dio ha fatto le stelle ed i pianeti, l’uomo ha fatto la palla, questo criterium di velocità terrestre, questa riduzione degli astri erranti nello spazio, e che non sono, per dire il vero, che proiettili! A Dio la velocità dell’elettricità, la velocità della luce, la velocità delle stelle, la velocità dei pianeti, la velocità dei satelliti, la velocità del suono, la velocità del senso; ma a noi la velocità della palla, cento volte superiore alla velocità dei convogli ferroviari e dei cavalli più rapidi!»
J. T. Maston era trasportato; la sua voce pigliava inflessioni liriche nel cantare il suo inno della palla da cannone.
«Volete delle cifre? ei riprese, eccone di eloquenti assai. Pigliate semplicemente la modesta palla da cannone da ventiquattro[33]: se corre ottocentomila volte meno velocemente dell’elettricità, seicentoquarantamila meno della luce, settantasei meno velocemente della Terra nel suo moto di traslazione intorno al Sole, però, al suo uscire dal cannone, supera essa la rapidità del suono[34], fa duecento tese al secondo, duemila tese in dieci secondi, quattordicimila al minuto (6 leghe), ottocentoquaranta miglia all’ora (360 leghe), cioè la velocità dei punti dell’equatore nel movimento di rotazione del globo, sette milioni e trecentotrentaseimila e cinquecento miglia all’anno (3,155,760 leghe). Una palla impiegherebbe undici giorni per andare nella Luna, dodici anni per giungere al Sole, trecentosessant’anni per raggiungere Nettuno ai confini del mondo solare. Ecco ciò che
33
Cioè del peso di 24 libbre.
34
Così quando si è udita la detonazione dell’arma da fuoco, non si può più essere colpito dalla palla.