La Bugia di un Vicino. Блейк Пирс

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La Bugia di un Vicino - Блейк Пирс

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presente.”

      “E tu? Quando inizi il tuo nuovo lavoro?”

      “Domani mattina.”

      “Nel mezzo della settimana?” si stupì Danielle.

      “È una specie di orientamento. Per lo più riunioni e incontri per i primi giorni.”

      “Sono emozionata per te” disse Danielle. “So quanto desideravi tutto questo.”

      Era bello sentire Danielle non solo parlare bene del suo lavoro, ma anche fingere di interessarsi.

      Tra loro calò un pesante silenzio, a cui pose misericordiosamente fine Danielle, con una frase piuttosto insolita per lei. “Stai attenta, Chloe. Per il lavoro... per papà... per tutto.”

      “Lo farò” disse Chloe, colta alla sprovvista.

      Danielle chiuse la chiamata, e Chloe si ritrovò a guardare la zona giorno del suo appartamento. Era difficile avere una visione d’insieme, a causa di tutto il disordine, ma la sentiva già casa sua.

      Niente di meglio che una conversazione impacciata con Danielle per sentirsi di nuovo come a casa dopo un trasloco, pensò pigramente.

      Lentamente, stirando la schiena, Chloe si alzò dalla poltrona e raggiunse lo scatolone più vicino a lei. Iniziò a tirare fuori tutti i suoi averi, facendosi un'idea di come sarebbe stata la sua vita se non avesse imparato come recuperare i rapporti con le persone. Che si trattasse di sua sorella, di suo padre o del suo ex fidanzato, non era molto brava a tenersi strette le persone.

      Pensando al suo ex fidanzato, trovò diverse foto incorniciate in fondo al primo scatolone. C'erano tre foto in tutto, di lei e Steven; due erano state scattate al tempo dei primi appuntamenti, quando l’idea del matrimonio ancora non li aveva nemmeno sfiorati. La terza invece era stata scattata dopo che lui le aveva chiesto la mano... dopo che lei aveva detto sì, mettendosi quasi a piangere.

      Raccolse le foto dallo scatolone e le mise sul bancone della cucina. Frugò in giro e trovò il suo cestino, dall'altra parte della stanza, accanto al materasso. Prese le foto e ve le gettò. Il rumore del vetro infranto delle cornici le sembrò fin troppo bello.

      È stato facile, pensò. Non vedo l'ora di lasciarmi alle spalle quel disastro. Allora perché non riesco a lasciarmi alle spalle anche tutta la storia con papà?

      Non aveva una risposta per quello. E la cosa che la spaventava di più era che sospettava che l’avrebbe potuta trovare solo parlando con lui.

      Con quel pensiero, l'appartamento le sembrò più vuoto di prima, e Chloe si sentì molto sola. Andò al frigorifero e aprì una confezione da sei di birra, che aveva acquistato quel giorno. Aperta la prima bottiglia, mandò giù un sorso, un po’ preoccupata per quanto le sembrasse squisito.

      Quel pomeriggio fece del suo meglio per tenersi occupata. Non svuotò gli scatoloni, ma li passò in rassegna uno ad uno, valutando se gli oggetti che contenevano le servissero davvero o no. Il trofeo che aveva vinto con il gruppo di discussione del liceo finì nel cestino. Il CD di Fiona Apple che ascoltava quando aveva perso la verginità al secondo anno di liceo, invece, lo tenne.

      Tutte le foto di suo padre finirono nella spazzatura. Faceva male all'inizio, ma dopo la quarta bottiglia di birra, divenne più indolore.

      Era arrivata in fondo a due scatoloni... e probabilmente avrebbe continuato se, andando al frigorifero, non avesse scoperto di essersi scolata l'intera confezione di birra. Guardò l'orologio sui fornelli e sussultò vedendo l’ora: mezzanotte e quarantacinque.

      Addio lunga dormita in vista del primo giorno di lavoro, pensò.

      Ma la cosa più preoccupante era che le dava più fastidio essere rimasta senza birra, che aver fatto tardi e rischiare di andare al lavoro mezza intontita, il giorno dopo. Dopo essersi lavata i denti, si infilò a letto. La stanza sembrava girare leggermente, e Chloe si rese conto che si era ubriacata per non provare niente mentre tentava di cancellare i ricordi di suo padre.

      CAPITOLO DUE

      Chloe non sapeva bene cosa aspettarsi quando entrò nel quartier generale dell'FBI il mattino seguente, ma l’ultima cosa che si aspettava era di essere accolta da un agente più anziano nella hall. Appena la vide, si incamminò verso di lei. Per un momento, Chloe pensò che fosse l'agente Greene, l'uomo che le aveva fatto da istruttore e partner nel caso che aveva portato alla scoperta della verità su suo padre.

      Ma guardandolo meglio in viso, si accorse che non era affatto lui. L’uomo che aveva davanti sembrava duro come la pietra, e aveva le labbra serrate in una linea sottile.

      “Chloe Fine?” chiese l'agente.

      “Sì?”

      “Il direttore Johnson vorrebbe parlare con lei prima dell'orientamento.”

      Si sentì eccitata e spaventata al tempo stesso. Il direttore Johnson aveva fatto delle eccezioni per lei quando era stata partner di Greene. Aveva forse dei ripensamenti? Le sue azioni nell'ultimo caso gli avevano forse causato problemi? Era arrivata fin lì solo per vedere i suoi sogni infranti il ​​primo giorno?

      “A proposito di cosa?” chiese Chloe.

      L'agente scrollò le spalle, come se non gli importasse granché. “Da questa parte, prego” disse solamente.

      La condusse agli ascensori e, per un attimo, Chloe ebbe la sensazione di essere tornata indietro nel tempo. Poteva vedere se stessa entrare in quegli stessi ascensori poco più di due mesi prima, con lo stesso identico nodo di preoccupazione allo stomaco, sapendo che avrebbe incontrato il direttore Johnson. E, proprio come l'ultima volta, quel nodo di preoccupazione cominciò a stringere sempre di più, mentre l'ascensore iniziava a salire.

      L'agente dalla faccia di pietra la fece uscire dall'ascensore una volta giunti al secondo piano. Superarono diversi uffici e stanze, prima di fermarsi davanti a quello di Johnson. La segretaria dietro la scrivania le rivolse un educato cenno del capo e disse: “Entri pure, la sta aspettando.”

      L'agente le rivolse un analogo cenno del capo, non altrettanto educato, e fece un gesto verso la porta dell'ufficio. Era chiaro che non sarebbe entrato con lei.

      Facendo del proprio meglio per rimanere calma, Chloe si avvicinò alla porta del direttore Johnson. Di cosa ho paura? si chiese. L'ultima volta che sono stata convocata nel suo ufficio, mi sono state assegnate responsabilità e doveri che di solito non ricevono i nuovi agenti. Questo era vero, ma non servì per calmare i suoi nervi.

      Il direttore Johnson era seduto alla scrivania, intento a leggere qualcosa sul suo portatile, quando lei entrò. Quando alzò lo sguardo, tutta la sua attenzione fu su di lei; chiuse persino il portatile.

      “Agente Fine” esordì. “Grazie per essere venuta. Ci vorrà solo un minuto. Non voglio che si perda niente dell'orientamento - che, ci tengo a farle sapere, sarà abbastanza rapido e indolore.”

      Sentirsi chiamare Agente Fine era ancora esaltante per lei, ma cercò di non darlo a vedere. Si sedette sulla sedia di fronte alla scrivania e sorrise nel modo più composto possibile. “Nessun problema” disse. “C’è... ecco, c'è qualcosa che non va?”

      “No, no, no, niente del genere. Volevo presentarle un'opzione

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