Il regno dei draghi. Морган Райс
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CAPITOLO PRIMO
Re Godwin III del regno del Nord aveva visto molte cose a suo tempo. Aveva assistito a invasioni di eserciti e pratiche magiche, ma adesso non riusciva a distogliere lo sguardo dal corpo della creatura che giaceva davanti ai suoi occhi, prostrata e inerte sull’erba, con le ossa e le squame che, nella luce della sera, conferivano una sfumatura inverosimile alla scena.
Il re scese dal suo cavallo, riluttante ad avvicinarsi ancora, che fosse per quell’essere o solo per il luogo in cui si trovavano. Avevano cavalcato per più di un giorno a sud di Royalsport, e lo scrosciare del fiume Slate distava solo poche dozzine di iarde ormai, là dove la terra del suo regno veniva risucchiata da acque ruggenti, spietate, violente. Dall’altra sponda, nonostante l’ampiezza del letto, potevano esserci spettatori che fissavano a nord. Godwin sperava di no, e non solo perché lui e gli altri erano molto lontani da casa, esposti a chiunque potesse attraversare i ponti che dividevano i regni; non voleva che lo vedessero.
Re Godwin fece un passo avanti, mentre la piccola folla che aveva al seguito cercava di capire se dovesse fare altrettanto. Non erano molti, perché quello… quello era qualcosa che non era certo di voler mostrare agli altri. C’era il suo primogenito, Rodry, ventitreenne e molto simile al ragazzo che Godwin era stato un tempo, alto e di corporatura robusta, con i capelli chiari rasati alle tempie, in modo da non oscurare la sua abilità con la spada, in memoria di sua madre. I fratelli di Rodry, Vars e Greave, erano rimasti a casa; nessuno dei due era il tipo di uomo con cui uscire a cavallo in un’occasione del genere. Era probabile che Vars si stesse lamentando perché suo padre aveva scelto Rodry, non che si sarebbe mai offerto volontario per qualsiasi cosa prospettasse anche il minimo pericolo. Greave doveva invece essere chiuso in biblioteca, immerso nei suoi libri.
A essere onesti, era più probabile che le sue figlie lo avrebbero seguito, o almeno due di loro. La più piccola, Erin, avrebbe apprezzato l’avventura, mentre Nerra avrebbe visto volentieri quella strana creatura, forse piangendo per la sua morte, a dispetto delle sue sembianze. Godwin sogghignò al pensiero della sua bontà, sebbene, come sempre, quel sorriso sfumò dietro al ricordo del suo ultimo attacco di tosse e dell’infermità che custodivano con cura. Lenore avrebbe forse preferito restare al castello ma, del resto, aveva delle nozze da preparare.
Invece di qualcuno degli altri, c’erano Godwin e Rodry. Si era portato dietro una mezza dozzina di Cavalieri dello Sperone, Lars e Borus, Halfin e Twell, Ursus e Jorin, tutti uomini di fiducia, che lo servivano a dovere da decenni in alcuni casi; le loro armature erano goffrate con i simboli che avevano scelto e che adesso luccicavano tenui nella nebbia circostante il fiume. C’erano i paesani che avevano trovato quella cosa e, lì, sopra a un cavallo dall’aspetto malaticcio, si scorgeva la sagoma ricoperta da una tunica del suo stregone.
“Grey,” disse Re Godwin, facendo cenno all’uomo di avanzare.
Il Maestro Grey si avvicinò lento, sorreggendosi col bastone.
In circostanze diverse, Re Godwin avrebbe riso per quanto erano diversi. Grey era snello e rasato, aveva la pelle talmente pallida che quasi rendeva giustizia al suo nome e indossava sempre una tunica bianca e oro. Godwin era più robusto, aveva le spalle larghe e, nell’ultimo periodo, aveva anche messo una discreta pancia; era barbuto e sempre chiuso dentro a un’armatura, con i capelli scuri che gli sfioravano le spalle.
“Credi ci stiano mentendo?” chiese Re Godwin, facendo un cenno secco con la testa verso i paesani.
Godwin sapeva che gli uomini ci provavano, con ossa di mucca e frammenti di pelle, ma il suo stregone tacque. Grey si limitò a scuotere la testa e lo guardò dritto negli occhi.
Un brivido gli si arrampicò rapido su per la spina dorsale. Non c’era dubbio di quanto tutto ciò fosse reale; non era uno scherzo per cercare e ottenere favori, soldi, o entrambi.
Quello era un drago.
Aveva squame rosse come il sangue riversato su del ferro arrugginito. Le sue fauci erano zanne, lunghe quanto l’altezza di un uomo e i suoi artigli erano affilati come lame; le grandi ali erano aperte, lacerate e stropicciate, simili a quelle di un pipistrello gigantesco, e sembravano appena sufficienti a tenere in volo una bestia così possente. Il corpo della creatura era rannicchiato a terra, più lungo di una dozzina di cavalli e abbastanza grande che, in vita, avrebbe potuto sollevare Godwin come un giocattolo.
“Non ne ho mai visto uno prima,” ammise Re Godwin, poggiando una mano su quella pelle squamosa. Si era immaginato fosse calda ma, invece, era fredda e immobile come la morte.
“Pochi l’hanno fatto,” disse Grey. Se la voce di Godwin era profonda e sonora, quella di Grey era come il sussurrare delle foglie.
Il re annuì. Senza dubbio, lo stregone non avrebbe rivelato tutto ciò che sapeva e questo non era un pensiero che lo confortava. Vedere un drago in quel momento, per giunta morto…
“Cosa sappiamo di questo?” chiese il re e camminò giù per tutta la sua lunghezza, fino a ciò che restava di una coda che si estendeva in modo inverosimile oltre la carcassa.
“È una femmina,” disse lo stregone, “ed è rossa… con tutto ciò che ne consegue.”
Ovviamente, non spiegò cosa ne conseguisse. Lo stregone vi girò attorno, assorto nei pensieri. Di tanto in tanto, mandava un’occhiata all’entroterra, come calcolasse qualcosa.
“Com’è morta?” chiese Godwin. Aveva partecipato a numerose battaglie a suo tempo, ma non vedeva ferite da ascia o spada sulla creatura e non riusciva a immaginare quale arma potesse far male a una simile bestia.
“Forse… solo di vecchiaia.”
Godwin lo guardò fisso.
“Credevo vivessero per sempre,” disse Godwin. In quel momento, non era un re, ma il ragazzino che molti anni prima si era recato a incontrare Grey, in cerca di aiuto e conoscenza. Lo stregone gli era sembrato anziano anche allora.
“Non per sempre. Un migliaio di anni, solo quelli nati sotto alla luna dei draghi,” disse Grey, e sembrava stesse citando qualcosa.
“Un migliaio di anni sono comunque tanti per trovarne uno morto qui, adesso,” disse Re Godwin. “Non mi piace. Mi sa molto di profezia.”
“Può darsi,” ammise Grey, ed era un uomo che di rado ammetteva qualcosa del genere. “La morte a volte è una profezia molto potente, altre è solo morte e altre ancora può essere anche vita.”
Lanciò un’altra occhiata al regno.
Re Godwin sospirò, afflitto per non riuscire mai a comprendere a fondo quell’uomo, poi tornò a concentrarsi sulla bestia, cercando di determinare come qualcosa di così magnifico e potente potesse essere morto. Non c’erano segni di battaglia sul suo