Il ritorno di Zero. Джек Марс
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Читать онлайн книгу Il ritorno di Zero - Джек Марс страница 14
“Ci hai messo troppo”.
“Sei disgustoso”. Si avvicinò al vecchio frigorifero beige e tirò fuori una bottiglia d'acqua, non avrebbe più bevuto l'acqua del rubinetto, e, nel richiuderla, una lavagnetta attirò la sua attenzione.
Sussultò di nuovo.
Sulla porta del frigorifero c'era una lavagna magnetica con i nomi degli inquilini scritti in pennarello nero. Sotto ogni nome c'era scritto un numero. Ogni mese dovevano dividersi le spese dell'affitto e delle bollette. Se non potevano pagare la loro quota, avevano tempo tre mesi per cancellare il loro debito, altrimenti avrebbero dovuto andarsene. E il debito sotto il nome di Sara era il più grande.
Quella casa non era certo il peggior posto in cui vivere a Jacksonville. La vecchia casa aveva bisogno di alcune riparazioni, ma non era un disastro. C'erano quattro camere da letto, tre doppie e una adibita a studio e magazzino.
Il proprietario, il signor Nedelmeyer, era un tedesco sulla quarantina che aveva un sacco di proprietà come questa nell'area metropolitana di Jacksonville. Era piuttosto tranquillo; voleva che lo chiamassero semplicemente “Needle”, che a Sara sembrava un soprannome da spacciatore. Ma Needle era una persona alla mano. Non gli importava se ospitassero degli amici o se facessero delle feste occasionali. Non gli importava nemmeno delle droghe. Aveva dato loro solo tre regole: se vieni arrestato, sei fuori. Se non riesci a pagare il debito dopo tre mesi, sei fuori. Se aggredisci un altro inquilino, sei fuori.
Al momento, dopo aver visto la lavagna sul frigorifero, Sara si preoccupò per la seconda regola. Ma poi una voce proprio dietro il suo orecchio spostò la sua preoccupazione sulla terza.
“Qual è il problema, piccola? Ti preoccupa quel grande spaventoso numero sotto il tuo nome?” Tommy rise come se avesse appena fatto una gran battuta. Aveva diciannove anni, era magro e ossuto, ed era tatuato su entrambe le braccia. Lui e la sua ragazza, Jo, condividevano una delle camere dell'appartamento. Nessuno dei due lavorava; i genitori di Tommy gli davano del denaro ogni mese, più che sufficiente per coprire le spese di affitto. Il resto lo spendevano in cocaina.
Tommy pensava di essere un duro. Ma era solo un bambinetto in vacanza.
Sara si girò lentamente. Il ragazzo, più grande, era più alto di lei di quasi 10 centimetri e a pochi centimetri di distanza la sovrastava. “Penso”, disse lentamente, che “dovresti fare un paio di passi indietro”.
“Altrimenti?” Sorrise maliziosamente. “Mi colpirai?”
“Certo che no. Sarebbe contro le regole”. Lei sorrise innocentemente. “Ma sai, l'altra sera ho fatto un piccolo video. Mentre tu e Jo vi facevate di cocaina sul tavolo della cucina”.
Un lampo di paura attraversò il viso di Tommy, ma rimase fermo. “E quindi? A Needle non importa”.
“Hai ragione. Non gli importa”. Sara abbassò la voce fino quasi a sussurrare. “Ma a Thomas Howell, Esquire, di Binder & Associates? A lui potrebbe interessare”. Inclinò la testa da un lato. “È tuo padre, non è vero?”
“Come hai...”, Tommy scosse la testa. “Non oseresti fare una cosa del genere”.
“Forse no. Dipende solo da te”. Gli passò accanto, dandogli una spallata. “Smetti di pisciare nel lavandino. Fa schifo”. E si diresse di sopra.
Sara aveva lasciato la Virginia più di un anno prima, e allora era una quindicenne spaventata e ingenua. Non era passato molto più di un anno, ma era cambiata. Sull'autobus da Alexandria a Jacksonville, si era data due regole. La prima è che non avrebbe mai chiesto niente a nessuno, meno che mai a suo padre. E l'aveva sempre rispettata. Di tanto in tanto Maya l'aveva aiutata, e Sara le era grata di ciò, ma non le aveva mai chiesto niente.
La seconda regola era che non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da nessuno. Ne aveva passate già troppe. Aveva visto cose di cui non avrebbe mai potuto parlare. Cose che la tenevano ancora sveglia di notte. Cose che un ragazzo come Tommy non avrebbe mai potuto immaginare. Aveva superato le sue turbe adolescenziali. Aveva accettato il suo passato.
Al piano di sopra aprì la porta della camera da letto sua e di Camilla. Era sistemata come un dormitorio, con due letti singoli alle pareti opposte e un comodino in comune. Avevano un piccolo tavolino e un armadio che condividevano. La compagna di stanza era ancora a letto e stava giocando con il telefono.
“Ehi”, disse con uno sbadiglio mentre Sara entrava. Camilla aveva diciotto anni e per fortuna era simpatica. Era la prima amica che Sara aveva trovato in Florida e aveva garantito per lei presso il proprietario dell'appartamento. Andavano molto d'accordo. Camilla le stava anche insegnando a guidare. Le aveva insegnato come mettere il mascara e come scegliere dei vestiti che valorizzassero il suo fisico. Sara aveva imparato nuovi termini e nuove cose da lei. Era un po' come una sorella maggiore.
Come una sorella maggiore che non ti abbandona con un uomo che non sopporti.
“Ehi tu. Alzati dal letto, sono quasi le dieci”. Sara prese la borsa dal comodino e si assicurò di avere tutto ciò di cui aveva bisogno.
“Ho fatto tardi ieri sera”. Camilla lavorava come cameriera e barista in un ristorante di pesce. “Ma… ehi, guarda qui”. Lei lanciò una spessa mazzetta di denaro, mance della sera prima.
“Fantastico”, mormorò Sara. “Devo andare al lavoro”.
“Bene. Sono libera stasera. Vuoi che ti faccia di nuovo i capelli? Si vede un po' la ricrescita”.
“Sì, lo so, fanno schifo”, scattò Sara irritata.
“Uh, stai calma”. Camilla si accigliò. “Cos'è che ti ha innervosita?”
“Mi dispiace. Tommy fa lo stronzo”.
“Dimentica quel ragazzo. Si dà delle arie”.
“Lo so”. Sara sospirò e si strofinò la faccia. “Ok. Mi alzo”.
“Aspetta. Sembri piuttosto in difficoltà. Vuoi una barra?”
Sara scosse la testa. “No, va tutto bene”. Fece due passi verso la porta. “Fanculo, sì”.
Camilla sorrise e si mise a sedere sul letto. Prese la propria borsa e tirò fuori due oggetti: una bottiglietta arancione senza etichetta e un piccolo cilindro di plastica con un tappo rosso. Tirò fuori una barra di Xanax blu dalla bottiglia, la lasciò cadere nel trita pillole e avvitò saldamente il tappo rosso. “Mano”.
Sara tese la mano destra, con il palmo verso il basso, e Camilla fece cadere un po' di polvere tra pollice e indice. Sara si portò una mano sul viso, si tappò una narice e tirò.
“Bravissima”. Camilla la schiaffeggiò leggermente sul sedere. “Ora esci di qui o farai tardi. Ci vediamo stasera”.
Sara la salutò mentre chiudeva la porta alle sue spalle. Sentiva in bocca il retrogusto amaro della polvere. Non ci sarebbe voluto molto prima che facesse effetto, ma sapeva che un tiro l'avrebbe fatta arrivare a malapena a metà giornata.
Faceva ancora caldo, per essere ottobre. Ma si stava abituando a quel clima. Le piaceva che ci fosse il sole quasi tutto l'anno, e di trovarsi abbastanza vicina alla spiaggia. La sua vita non era fantastica, ma era decisamente meglio di come era due estati fa.
Sara