Il ritorno di Zero. Джек Марс

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Il ritorno di Zero - Джек Марс

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o almeno per portarlo a perdere le elezioni...”

      Smettila di fissarmi. Voleva gridarlo, ma si trattenne. Percepiva quanto disperatamente suo padre volesse parlarle. Questo era parte del motivo per cui aveva portato Greg, in modo che non potessero uscire gli scheletri dall'armadio. Sapeva che voleva chiedere di Sara. Sapeva che voleva scusarsi, provare a fare ammenda, a lasciarsi alle spalle tutti i suoi errori.

      La verità era che non lo odiava. Non più. Per odiare qualcuno aveva bisogno di energia e lei la stava dedicando tutta alla sua formazione. Per lei, era un non-problema. Questa visita non era riconciliante; era burocrazia. Decoro. Galateo. I valori che l'Accademia aveva trasmesso ai suoi cadetti non erano del tutto applicabili alla situazione unica di Maya, ma aveva ritenuto in ogni caso opportuno passare a salutare l'uomo che l'aveva cresciuta. Se non altro per dimostrare a sé stessa che riusciva ancora a stare nella stessa stanza con lui.

      Ma ora avrebbe voluto non avere mai accettato quell'invito.

      “Allora”, disse Maria all'improvviso. Greg aveva smesso di parlare per mangiare un po' di stufato, e Maria stava approfittando del silenzio temporaneo. “Maya. Hai parlato con tua sorella ultimamente?”

      La domanda la prese alla sprovvista. Se l'aspettava da suo padre, ma non da Maria. Comunque, era un momento buono come un altro per esercitarsi nelle abilità che aveva sviluppato nel suo tempo libero. Combatté l'emergere di qualsiasi espressione che avrebbe potuto tradirla e sorrise leggermente.

      “Sì”, rispose Maya. “Proprio ieri, in realtà. Sta bene”. Solo metà era una bugia.

      “Hai una sorella?” Chiese Greg.

      Maya annuì. “Di due anni più giovane. È in Florida per un progetto di scuola-lavoro. Occupatissima”. Era un'altra bugia, ma le uscì con facilità. Stava migliorando sempre di più, e qualche volta ne diceva alcune solo per fare pratica e, certamente, per divertirsi un po'.

      “E…” Suo padre si schiarì la gola. “Sta andando bene? Ha tutto ciò di cui ha bisogno?”

      “Mm-hmm”, rispose Maya seccamente senza guardarlo. “Benissimo”.

      Greg fece una smorfia e si rivolse a suo padre. “Lo chiede come se non le parlasse, signor Lawson”.

      “È come ha detto Maya”, rispose piano suo padre. “Sara è molto impegnata”.

      Maya sapeva che la sua improvvisa partenza era stata un duro colpo per lui. Ma quella di Sara era stata un colpo mortale.

      In quella prima estate, pochi mesi dopo che il padre aveva salvato la vita al presidente Pierson, dopo che aveva detto loro la verità sulla madre e la tensione nella loro casa era alle stelle, Maya aveva confidato a sua sorella i suoi piani. Disse a Sara di aver superato l'ultimo anno di liceo e di star preparando l'ammissione per West Point.

      Non avrebbe mai dimenticato l'espressione di panico sul viso della sua sorellina. Per favore. Per favore no, Sara l'aveva supplicata. Non lasciarmi sola con lui. Non posso farcela.

      Per quanto le spezzasse il cuore, Maya aveva i suoi progetti e non poteva scendere a compromessi. Quindi Sara aveva fatto i suoi. Cercò online e trovò un avvocato che avrebbe preso la sua causa pro bono. Quindi presentò domanda di emancipazione. Si aspettava che sarebbe stato difficile; non c'erano prove di abbandono, abuso o cose del genere.

      Ma con una mossa che scioccò entrambe le sorelle, suo padre non si oppose. Meno di due settimane dopo che Maya partì per la scuola militare a New York, suo padre si presentò in tribunale e, di fronte a un giudice, disse a sua figlia quindicenne che se avesse voluto andarsene a tal punto da portarlo in tribunale, poteva avere la sua libertà.

      Quella stessa notte era successo qualcos'altro che Maya non avrebbe mai dimenticato. Suo padre l'aveva chiamata. Lei non aveva risposto. Lo odiava ancora. Le aveva lasciato un messaggio in segreteria, che non aveva ascoltato per due giorni. Quando alla fine lo aveva riprodotto, se ne era pentita immediatamente. La sua voce piatta le comunicava che Sara se ne era andata. Ammetteva che si era meritato tutto questo. Si scusò tre volte e le disse che l'amava.

      Passarono altri sei mesi prima che si parlassero di nuovo.

      Ma Maya era rimasta in contatto con la sorella. Quando aveva ottenuto l'emancipazione, Sara aveva impacchettato ciò che poteva trasportare ed era salita su un autobus. Si era diretta in Florida e aveva accettato il primo lavoro che aveva trovato, quello di cassiera in un negozio dell'usato. Lavorava ancora lì. Viveva in una casa in affitto con altre cinque persone. Condivideva la camera da letto con una ragazza di un paio d’anni più grande di lei e un bagno con tutti gli altri.

      Maya chiamava sua sorella almeno una volta alla settimana e anche più spesso quando il suo programma lo consentiva. Sara le assicurava di star bene, ma Maya non era sicura di poterci credere. Aveva lasciato il liceo con la certezza che sarebbe tornata, ma non l'aveva mai fatto. In quei giorni Maya non si era preoccupata di cercare di convincerla a tornare; al contrario, l'aveva spinta a sostenere il GED. Era un'altra cosa che Sara aveva promesso di fare. Prima o poi.

      Maya viveva all'accademia tutto l'anno e ogni semestre riceveva una borsa di studio per la divisa, i libri, il cibo e tutto il resto. Di solito non le restava molto, ma quando poteva inviava dei soldi a sua sorella. Sara era sempre riconoscente.

      Nessuna di loro aveva più bisogno di lui. Non volevano più niente da lui.

      Avevano davvero parlato il giorno prima; quella era l'unica verità tra le risposte di Maya. Sara aveva sedici anni e una delle sue coinquiline le stava insegnando a guidare. Maya era addolorata all'idea di perdere dei momenti così importanti della vita di Sara, ma aveva i suoi obiettivi ed era determinata a raggiungerli.

      In poche parole, la verità sulla morte della madre e sulle bugie del padre aveva creato un muro non solo tra loro e loro padre, ma anche tra le due ragazze. Erano su percorsi separati, e sebbene potessero rimanere in contatto e aiutarsi a vicenda quando possibile, nessuna si era spinta al punto da scendere a compromessi nella propria vita.

      “Qualcuno ne vuole ancora un po'?” Chiese Maria. “Ce n'è ancora molto”.

      L'attenzione di Maya tornò al tavolo da pranzo. Si era persa nei suoi pensieri e quando si guardò intorno vide che tutti gli altri avevano finito di mangiare. Posò il cucchiaio. Voleva solo ringraziarli e andarsene da lì. “No grazie. Era molto buono”.

      “Davvero”, disse Greg con entusiasmo. “Assolutamente delizioso”. E poi quell'idiota dai capelli biondi aprì nuovamente la sua grande bocca. “Grazie, signora Lawson”.

      Un lampo di rabbia la percorse all'istante. Le parole si fecero strada fuori dalla bocca di Maya prima ancora che ci pensasse. “Non è la signora Lawson”.

      Maria rimase senza parole. Suo padre continuava a fissarla, ma ora i suoi occhi erano spalancati per la sorpresa e la bocca era leggermente aperta.

      Greg si schiarì la voce nervosamente. “Scusa”, mormorò. “Pensavo...”

      La sua rabbia non fece che aumentare. “Te l'ho detto mentre venivamo. Se per cinque minuti la smettessi di parlare di te stesso e ascoltassi non avresti bisogno di pensare nulla!”

      “Ehi”, ribatté Greg. “Non puoi parlarmi in questo modo...”

      “Perché no?” lo sfidò. “Tua madre mi farà qualcosa? Sì, Greg, lo so, è stata sindaco di Baltimora per due anni. Lo dici ad ogni frase.

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