Il ritorno di Zero. Джек Марс

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Il ritorno di Zero - Джек Марс

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Apparentemente il governo americano si era ripreso dall'infiltrazione di cospiratori e dall'influenza russa, solamente attraverso i numerosi mandati di arresto. Il presidente Eli Pierson era rimasto in carica per altri sette mesi dopo l'attentato alla sua vita, ma era stato sconfitto alle successive elezioni dal candidato democratico. Fu una vittoria facile dopo che fu rivelato che il gabinetto di Pierson era un vero e proprio nido di serpi.

      Ma a Zero non importava molto. Non era più coinvolto in nulla di tutto ciò. Non aveva nemmeno un'opinione sul nuovo presidente. Sapeva a malapena cosa stesse succedendo nel mondo; evitava le notizie ogni volta che era possibile. Adesso era solo un cittadino. Qualunque cosa si stesse svolgendo nell'ombra, se ne sarebbe lavato le mani.

      “Sto bene”.

      Indugiò.

      “Davvero. Sto bene”.

      Alan bevve un altro sorso, visibilmente perplesso ma senza ribattere. “E Maria?”

      Un lieve sorriso attraversò le labbra di Zero. “Se la sta cavando bene”. Ed era vero. Stava ricoprendo la sua nuova posizione con professionalità. Dopo la scoperta della cospirazione, gli organi interni della CIA erano stati completamente rinnovati; David Barren, membro di alto rango del Consiglio di sicurezza nazionale e padre di Maria, era stato nominato direttore ad interim dell'agenzia e aveva supervisionato personalmente il controllo di ogni singola persona fino a quando non è stato nominato un nuovo direttore, un ex direttore della NSA di nome Edward Shaw.

      Maria Johansson era stata nominata vicedirettore della divisione Attività speciali, un lavoro precedentemente ricoperto dall'ormai defunto Shawn Cartwright, il vecchio capo di Zero. A sua volta lei aveva nominato Todd Strickland come Responsabile degli Agenti Speciali, una posizione precedentemente ricoperta da Kent Steele.

      Ed era molto capace nel suo nuovo incarico. Non ci sarebbe stata corruzione sotto la sua supervisione, non sarebbero stati assunti agenti precedentemente espulsi come Jason Carver, né cospiratori come Ashleigh Riker. Era ovvio, tuttavia, che le mancava il lavoro sul campo; non accadeva spesso, ma a volte accompagnava la sua squadra in qualche operazione.

      Zero, d'altra parte, non era tornato al lavoro. Né alla CIA, e nemmeno all'insegnamento. Non era tornato a nulla.

      “Come va il negozio?” chiese ad Alan, cercando di cambiare argomento.

      “Mi tiene impegnato”, rispose Reidigger con noncuranza. Gestiva il Garage della Terza Strada, che nonostante le esperienze di Alan nello spionaggio e nelle operazioni segrete era, di fatto, un'autofficina. “Non c'è molto da dire. A che punto è il seminterrato?”

      Zero alzò gli occhi al cielo. “È un lavoro in corso”. Dopo aver litigato con le sue ragazze, non riusciva a stare da solo nella casa di Alessandria. L'aveva messa sul mercato e aveva accettato la prima offerta che gli era stata fatta. A quel punto lui e Maria avevano reso ufficiale la loro relazione, e anche lei voleva cambiare residenza, quindi avevano comprato una piccola casa nella periferia della città di Langley, non lontano dal quartier generale della CIA. Era un “bungalow per artigiani”, così lo aveva chiamato l'agente immobiliare. Era un posto semplice, adatto ad entrambi. Una delle tante cose che lui e Maria avevano in comune era il desiderio di semplicità. Avrebbero potuto permettersi qualcosa di più grande, più moderno, ma quella piccola casa era perfetta per loro. Era accogliente, calda, aveva una grande vetrata sul retro, un soppalco per la suite padronale e un seminterrato incompiuto, con le pareti e il pavimento ancora in cemento grezzo.

      Circa quattro mesi prima, all'inizio dell'estate, Zero aveva avuto l'idea di finire il seminterrato, trasformandolo in spazio abitabile. Da allora aveva solamente passato dell'isolante rosa.

      Ultimamente, il solo pensiero di tornare laggiù lo sfiniva.

      “Se vuoi che ti venga a dare una mano, chiamami”, disse Alan.

      “Va bene”. Alan gli faceva la stessa proposta ogni settimana. “Roma non è stata costruita in un giorno, lo sai”.

      “Avrebbe potuto se avessero assunto appaltatori competenti”. Alan gli fece l'occhiolino.

      Zero sorrise. La lattina in mano sembrava leggera, troppo leggera. La scosse e si sorprese rendendosi conto che era vuota. Non ricordava nemmeno di aver bevuto un sorso, di averla anche solo assaggiata. Posò la lattina sul patio accanto a lui e ne prese un'altra.

      “Attento”, avvertì Reidigger con un sorriso. Indicò l'addome di zero che si stava facendo sempre meno tonico.

      “Già”. Aveva guadagnato qualche chilo nel suo semi-pensionamento. Cinque, forse sei. Non ne era sicuro e certamente non sarebbe salito su una bilancia per verificarlo. “Senti chi parla”.

      Reidigger rise. Era molto diverso dall'agente dalla faccia tonda che Zero aveva conosciuto quattro anni prima, con il suo aspetto da ragazzo e il torso incredibilmente imponente. Per camuffarsi dopo la sua presunta morte e per assumere le sembianze di un meccanico di nome Mitch, Alan aveva messo su almeno venti chili, si era fatto crescere una folta barba macchiata di grigio e indossava perennemente un cappello da camionista abbassato sulla fronte, macchiato di sudore e di olio per motori.

      Il berretto era diventato un accessorio integrante della sua persona, tanto che Zero si chiedeva se lo indossasse a letto.

      “Che? Questo?” Reidigger ridacchiò di nuovo e si diede una pacca sullo stomaco. “Questo è tutto muscolo. Sai, vado in palestra due volte a settimana. Hanno un ring. I ragazzi adorano prendersi gioco dei più anziani. Prima che io li metta a terra”. Bevve un sorso e aggiunse: “Dovresti venire qualche volta. Di solito vado …”

      “Martedì e giovedì”, Zero lo interruppe. Alan gli faceva anche quella proposta ogni settimana.

      Apprezzava lo sforzo. Apprezzava il fatto che Alan passasse così spesso a sedersi nel patio con il suo vecchio amico. Apprezzava le visite e i tentativi di portarlo fuori di casa che diventavano sempre più spensierati ad ogni visita.

      La verità era che senza la CIA o l'insegnamento o le sue figlie in giro, non si sentiva sé stesso e aveva portato a una sorta di malattia che si insediava nel suo cervello, un malessere generale che non riusciva a superare.

      La porta a vetri scorrevole si aprì all'improvviso, ed entrambi si voltarono mentre Maria li raggiungeva sotto il sole di ottobre. Indossava un elegante blazer bianco con pantaloni neri e una sottile collana d'oro, i capelli biondi le ricadevano sulle spalle e il mascara scuro metteva in risalto i suoi occhi grigi.

      Fu strano, ma per un breve istante Zero provò gelosia. Dove lui si era fermato, lei era rifiorita. Ma soppresse questa sensazione nella palude oscura delle sue emozioni e si disse che era contento di vederla.

      “Buon pomeriggio, ragazzi”, disse con un sorriso. Sembrava di buon umore; il suo umore all'arrivo a casa dal lavoro tendeva a variare quanto i suoi orari. “Alan, è bello rivederti”. Si chinò per abbracciarlo.

      “Sbalordita”, non c'era altra parola per descrivere la reazione di Maria quando Zero le aveva detto che Alan non solo era ancora vivo, ma che viveva nascosto in un garage a meno di trenta minuti di Langley. Ma aveva accolto subito la notizia con piacere. Dargli un pugno alla spalla e rimproverarlo con un “avresti dovuto dircelo!” sembrava essere stato sufficiente a riportarla alla realtà.

      “Ciao, Kent”. Lo baciò prima di prendere una delle sei birre di Alan e unirsi a loro. “Tutto bene?”

      “Sì”. Lui annuì. “Tutto bene”. Non voleva aggiungere

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