I Colori Del Drago. Virginie T.

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I Colori Del Drago - Virginie T.

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frulla nella testa. Come adesso.

      – Calma Dakota. Facciamo il briefing e subito dopo ti porterò a casa affinché tu possa sdraiarti sul tuo divano davanti ad una rapa.

      Gli mostro il mio sorriso più bello. Mi ha appena descritto la giornata ideale, lo sogno. Il mio divano, un caffè e un film romantico che conduce verso un mondo ideale e armonioso.

      – Non preferisci trascorrere la serata come me, mia bella? Ti farò rilassare, promesso.

      Jared, il playboy incallito. Un meraviglioso trentenne con il corpo di un dio, forgiato da anni di palestra. Peccato che il bel ragazzo, dall’alto del suo metro e 90 di altezza, tratti le ragazze come fazzoletti: usa e getta. D’altra parte, bisogna ammettere che la natura segreta delle nostre missioni e la loro pericolosità non ci permettono di stringere legami profondi con chiunque non faccia parte della squadra. Quindi, ha fatto la scelta di godersi la vita. Lo rispetto, ma sarà senza di me e lo sai. Ad ogni modo, lui ama prendermi in giro e, soprattutto, suscitare il lato altruistico dei nostri compagni. Non ho il tempo di dire che Russel lo fa per me.

      – Tu non la tocchi, pervertito.

      Russel, il ragazzo gentile, avvocato delle cause perse. E io sono la sua ultima opera di carità in programma. Lo adoro, è sempre al mio fianco ed è stato il primo a sostenermi quando mi sono opposta ai massacri sistematici dei demoni, ma sono ben lontana dal piccolo fiore fragile per il quale mi fa passare. Sono capace di difendermi da sola davanti ai tentativi patetici di Jared. Soprattutto perché sono principalmente parole all’aria. Non sono assolutamente il suo tipo. Per piacergli, bisogna essere una stupida  che apre le gambe quando lui schiocca le dita. Io sono bruna, minuta, formosa, ma senza eccessi, e soprattutto sono capace di fargli molto male se mi crea problemi o mi manca di rispetto. Jasper peggiora la situazione.

      – Lei non finirà mai nel tuo letto, amico, è troppo intelligente per farsi tentare dal tuo bel viso.

      – Grazie per il complimento.

      Jasper, l’ultimo arrivato nella squadra. Un amico fedele e prezioso. È la persona che chiamo quando ho un peso sullo stomaco e con la quale ho davvero bisogno di rilassarmi ridendo. No, è falso. È colui che Luke chiama in soccorso quando nota che ho il morale a terra. In questo lavoro, è rischioso stare fermi. Ogni errore di attenzione può costarci la vita. Jasper mi consente di alleggerirmi con il suo buon umore e le sue buffonate, e di partire in missione concentrata e in allerta.

      – Basta, bambini. Il generale sta arrivando. Restate tranquilli o vi darà un’altra strigliata.

      Non posso non borbottare.

      – Come se restare calmo sulla mia sedia gli impedisse di urlarmi addosso.

      – Deve passare questo brutto momento Dakota. Dopo, potrai tornare a casa fino alla prossima missione.

      Non aggiungo niente. Papà George ha senz’altro ragione. La cosa migliore da fare è sicuramente tacere e acconsentire a tutte le cavolate che  dirà il generale. Ma ammetto di avere sempre più problemi a mantenere il mio ruolo da buon piccolo soldato quando il mio cuore mi grida che sono soprattutto sua figlia e che, alle soglie dei 25 anni, è da molto tempo che lui non se ne accorge. Stringo i pugni e la mascella, facendo digrignare i denti, e mi siedo su una sedia libera. Luke si posiziona alla mia sinistra e Jasper alla mia destra, entrambi prendendomi per mano e realizzando cerchi con i pollici nei palmi. Si tratta di un gesto semplice, insignificante a priori, ma che mi manca subito quando avverti i passi del generale nel corridoio, obbligando i miei amici ad allentare la presa per evitare l’ira di chi ha vietato ogni avvicinamento all’interno dell’unità. Ai suoi occhi, anche un segno d’affetto amichevole è inaccettabile. Siamo colleghi e le nostre relazioni devono restare professionali. Si tratta di una riflessione di grado che non esce mai dal suo ufficio! Quale persona sensata affida la propria vita ad uno sconosciuto? Perché un collega di lavoro, senza alcun legame affettivo, alla fin fine, si rivela come un estraneo.

      

Dakota

      Non ho un granché in comune con il generale. In ogni caso, fisicamente, non possiamo dire che la somiglianza sia così evidente. Il fisico di Robert Jones è austero come il suo carattere. Il suo aspetto sembra sezionato, con lineamenti spigolosi e angolari senza l’ombra di una barba. I suoi capelli sono tagliati in una piccola spazzola senza che non vada fuori neanche un piccolo pelo, come un militare di alto grado dovrebbe essere. Per quanto riguarda il suo abbigliamento, indossa l’abito ufficiale di un generale, un costume senza alcuna piega finta. Senza che sia stato immerso nell’amido per essere rigido fino in fondo, come la sua postura. Direi di avere una madre, ma non ho alcuna sua foto e mio padre si rifiuta di parlarmene. Dopo due tentativi senza esito che si sono conclusi in umiliazione, ho lasciato perdere. Mantengo la speranza di essere stata adottata e che un giorno i miei veri genitori verranno a cercarmi. Immagino che sia la bambina presente in me a sperare sempre di avere due genitori che la amino.

      Tuttavia, per adesso, è l’adulta che si trova in questa stanza, che tiene su le spalle e attende la rimostranza che non si fa attendere a lungo. Il generale ci osserva con il suo sguardo severo che, unito ai suoi occhi scuri senza profondità, mi fa rabbrividire la schiena. Sorprendentemente, ho più paura della sua presenza che in mezzo a demoni capaci di farmi a pezzi. Scoprite perché!

      – Dakota, sei in ritardo, come al solito. Pensavo di averti educata meglio. La puntualità è un valore e il tuo nome non dovrebbe darti alcun aiuto.

      Iniziamo bene. Con quanto, 30 secondi di ritardo? Ed ero nella sala riunioni prima che arrivasse, mi pare, quindi qual è il problema? Lo so, esisto. Questo è il problema. Contro ogni volontà, ha bisogno di me e lo detesta così tanto da non potermi sopportare. D’altro canto, non mi guarda mai negli occhi. Diciamo che gli occhi sono lo specchio dell’anima. Cosa ha paura di trovare nei miei per evitare il contatto sistematico?

      – Mi spiace, mio generale.

      Stringo i denti su questa denominazione. So che è la norma presso l’esercito, si chiamano le persone per il loro grado e se fosse solo in pubblico non mi darebbe fastidio. Solo che lui pretende che io lo chiami generale fin da quando ho la possibilità di ricordare. Ha sempre rifiutato che io lo chiamassi papà, come se non mi considerasse come sua figlia, il che mi lascia l’amaro in bocca quando rivendica la mia educazione. La prima volta che ho chiamato un uomo papà è stato per prendere in giro George dopo il suo ennesimo sermone. Mi sembra patetico.

      – Bene, che ciò non succeda più. Ora iniziamo il debriefing. Comandante?

      George tossisce per schiarirsi la voce e racconta la nostra missione, tralasciando alcuni particolari che che mi avrebbero messo in difficoltà, ancora una volta.

      – Nient’altro da segnalare?

      Stringe gli occhi, con fare sospettoso. Ha dubbi su possibili emissioni nel racconto, sembra. Ad ogni modo, nessuno parla. Ciò visibilmente non piace al generale, che inizia a picchiare sul tavolo, col suo tic nervoso quando la situazione non va come vuole.

      – Ho studiato il video degli occhiali di sorveglianza prima di convocarvi. Ho osservato le immagini con tutta la dovuta attenzione.

      Fortunatamente, gli occhiali sono solo occhi e non orecchie e i miei auricolari servono solo a comunicare, senza registrare niente, altrimenti li avrei scambiati per la mia matricola.

      – Tanto per dirvi subito che ora mi aspettavo di avere qui il cadavere di un serpente all’obitorio. Allora, spiegatemi perché non è così.

      Russel prende la parola.

      – Il

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