Nel Segno Del Leone. Stefano Vignaroli
Чтение книги онлайн.
Читать онлайн книгу Nel Segno Del Leone - Stefano Vignaroli страница 11
«Mio Dio, Andrea! Sono crollata. Dovevo essere proprio stanca. Ho lavorato tutto il giorno per cercare di interpretare un nuovo documento, che ho ritrovato qui tra le scartoffie della tua biblioteca e che si riferisce al periodo in cui il tuo antenato Andrea Franciolini andò a combattere nei Paesi Bassi a sostegno del re di Francia contro l’imperatore Carlo V d’Asburgo. A parte il periodo politicamente ingarbugliato, per cui il papa parteggiava ora per la Francia, ora per l’impero, la cronologia delle date in questo documento appare strana. E poi c’è questa raffigurazione, che sembra un’immagine molto più antica rispetto ai tempi di cui stiamo discutendo. È un leone traverso, disteso, inciso su pietra, mi sembra. Non capisco che significato abbia: non è né il leone rampante simbolo di Jesi, né il leone di San Marco, simbolo della Repubblica Veneziana. Sembra più un’icona, un altorilievo su pietra, proveniente da qualche abitazione o da qualche costruzione di epoca romana, quasi somigliante a quelle piastrelle decorative che adornano la sagoma del portale di questo palazzo.»
«Come ormai ben sai, quelle piastrelle erano decorazioni di un antico tempio romano che sorgeva nell’antichità in questo luogo, e che sono state rinvenute durante gli scavi delle fondamenta.»
«Appunto. E quindi la mia idea è che chi ha disegnato questa illustrazione si sia rifatto a una decorazione dell’antico anfiteatro romano, che sorgeva più o meno tra Piazza Colocci e Via Roccabella. In fin dei conti i leoni venivano utilizzati dai romani, all’interno delle arene, nei combattimenti con i gladiatori.»
«E spesso ne facevano scempio. Che spettacoli orribili! Eppure al tempo erano graditi alla popolazione. In ogni caso, visto che siamo in argomento debbo riferirti che proprio poco fa forse ho individuato un passaggio che potrebbe condurre ai resti di questo antico anfiteatro. Sono riuscito a isolare una porta in legno, a un livello più basso rispetto al resto degli scavi, che secondo me avrebbe dovuto dare accesso alle cantine dell’antico Palazzo del Governo. E se i conti tornano, quelle cantine dovrebbero corrispondere con antichi ambienti riferibili ad alcune zone dell’anfiteatro.»
«Hai provato ad aprire la porta?»
«No, ho bisogno degli strumenti adeguati e di qualcuno che mi assista. Non vorrei provocare crolli.»
«E chi vuoi trovare come assistenti? Siamo prossimi alle festività natalizie, tutti i tuoi amici archeologi si sono dileguati ormai da un pezzo e l’amministrazione comunale ha già deciso di chiudere gli scavi a breve!»
«Credo che basti una persona. E credo che chi fa al caso mio sia ora qui di fronte a me.»
«Oh, scordati di coinvolgermi in un’altra delle tue balorde avventure solo perché fai leva sul fatto che sono innamorata di te», replicò Lucia, indignata. «Non ho alcuna voglia di rimanere sepolta viva tra i ruderi di un anfiteatro romano. E poi, sai bene che soffro di claustrofobia.»
«Lo so», ribatté Andrea sornione. «Ma so anche che la tua curiosità di studiosa riesce a prevalere su tutte le paure. Ne hai dato dimostrazione in passato. E se pensi che là sotto potresti rinvenire l’icona originale rappresentante quel leone traverso…»
«Ehi, pensi di riuscire sempre a farmi fare quello che vuoi?»
Lucia allungò nervosa una mano verso il pacchetto di sigarette e ne sfilò una per accendersela. Rimase con la sigaretta in bocca e l’accendino acceso in mano, interrotta dallo squillo del suo cellulare. Sul display compariva un numero di cellulare, non salvato in rubrica e preceduto dal prefisso internazionale +49.
Lucia e Andrea si scambiarono uno sguardo interrogativo, poi lui le fece cenno di rispondere. Lucia attivò il vivavoce, in modo che anche Andrea potesse ascoltare la conversazione. Dall’altro capo del telefono, una voce maschile iniziò a parlare in lingua italiana quasi perfetta, anche se con accento marcato sulla erre.
«Parrrlo con la Contessina Lucia Baldeschi-Balleani?»
«Per servirla! A cosa debbo l’onore…?»
«Lasci che mi prrresenti! Sono Sua Altezza Imperiale e Rrregale, l’Arciduca Sigismondo d’Asburgo Lorena, Granduca titolare di Toscana e Gran Maestro dell'Insigne Sacro Militare Ordine di Santo Stefano Papa e Martire.»
«Accidenti!», si lasciò sfuggire Andrea in un bisbiglio, per non far arrivare la sua voce al microfono del telefono. «Magari ha deciso di continuare a finanziare le nostre ricerche archeologiche!»
Lucia mise l’indice avanti al naso, per intimare al suo compagno di fare silenzio.
«È un piacere per me apprendere del suo interesse per la mia persona. A cosa debbo, se mi è lecito chiedere, questo onore?»
«Vedo che ha ricevuto un’ottima educazione, e di questo devo congratularmi con lei e con la sua famiglia. Ma veniamo al dunque. Vede, ai sensi dell'articolo 5 dell'attuale Statuto dell’Ordine di Santo Stefano, e in conformità agli antichi Statuti dell'Ordine stesso, ogni anno scelgo tre nobiluomini da elevare al grado di Balì Gran Croce di giustizia, in considerazione di alti meriti acquisiti nella vita, nel lavoro e nello studio. Mai prima d’ora questa onorificenza è stata riservata a una donna. Ma, visti i risultati dei suoi lavori di ricerca sulle origini e sulla storia della sua nobile famiglia, mi sono sentito per quest’anno di fare uno strappo alla regola. E ho deciso che sia lei la prescelta per essere da me nominata Cavaliere di Gran Croce del Balì. Pertanto, la invito ufficialmente alla cerimonia di investitura, che si terrà a Firenze nel giorno del Santo Natale.»
«Ma, Natale sarà appena tra quindici giorni! Ho degli impegni, sia di lavoro, sia personali. Sa, il mio fidanzato, la mia famiglia», cercò di prendere tempo Lucia, un po’ confusa.
«Non si preoccupi. Venga pure a Firenze in compagnia del suo fidanzato o di altri membri della sua famiglia. Chiaramente, il viaggio per lei è del tutto a mie spese. Le sto già inviando per e-mail la prenotazione per il treno Frecciarossa Ancona – Firenze, andata e ritorno, in prima classe. L’aspetto con ansia!», e riattaccò, senza neanche darle il tempo di rispondere.
Andrea e Lucia si guardarono lì per lì con aria allibita, poi scoppiarono in una risata.
«Cavaliere di Gran Croce del Balì! I miei rispetti, Madonna!», declamò Andrea con aria canzonatoria, proferendosi in un inchino. «Penso di avere abbastanza motivi per iniziare a essere geloso. A mie spese, ti accompagnerò a Firenze, non c’è da fidarsi.»
«Ma dai! Sua Eccellenza Imperiale e Regale sarà di certo una vecchia cariatide», replicò Lucia con aria divertita.
«Sua Altezza, non Sua Eccellenza», la corresse Andrea. «In ogni caso, la voce sembrava abbastanza giovanile. Non mi fido, non mi fido. Verrò con te, sempre che tu decida di andare, sia mai che ti lasci andare da sola! E poi non possiamo trascorrere il Natale uno distante dall’altra, non se ne parla nemmeno. Firenze è una bella città, una delle città più romantiche d’Italia. Meglio non sprecare l’occasione di regalarti il più appassionante bacio della tua vita sopra l’Arno, sul Ponte Vecchio.»
«Oh, e da quando in qua saresti diventato romantico, tu che sei sempre stato un ammasso di muscoli e testardaggine?»
«Beh, da quando mi hai fatto ingelosire!», sorrise Andrea. «Ma al di là di questo, Firenze è una bellissima città d’arte e potremmo unire l’utile al dilettevole. In fin dei conti qualcuno