Ndura. Figlio Della Giungla. Javier Salazar Calle

Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Ndura. Figlio Della Giungla - Javier Salazar Calle страница 4

Ndura. Figlio Della Giungla - Javier Salazar Calle

Скачать книгу

sua chiamata fu costante, indagatrice, invitante. Sarei andato con lui se avessi saputo dove andare.

      

      "No, non uccidetelo!" Urlai, agitandomi convulsamente e così facendo caddi dall'albero con un tonfo.

      Mi scossi da un lato all'altro, scappando dai miei stessi fantasmi, ignorando il dolore della caduta. Guardai dappertutto completamente disorientato e mi fermai per un momento, rannicchiato, gemendo come un animale gravemente ferito. Mentre mi massaggiavo la schiena ferita, mi resi conto che era stato un incubo, un incubo molto reale, dal momento che avevo sognato di rivivere la morte di Juan, lo schianto dell'aereo, di nuovo il corpo inerte di Alex nelle mie mani. Il sudore mi colava sulla fronte, le mani mi tremavano. Feci un respiro profondo e decisi di muovermi, desideravo solo allontanarmi il più possibile dall'aereo in cui avevo perso parte della mia vita. Il mio passato era terribile, il mio futuro desolante.

      La schiena mi faceva molto male per la postura che avevo tenuto, per la caduta o per entrambi i motivi, ed ero un po’ arrabbiato. Lamentosamente mi alzai per raccogliere gli zaini e mi resi conto che mancava lo zaino col cibo. Il salto che feci per lo stupore quasi mi fece cadere di nuovo dall'albero. Senza quello zaino non potevo fare niente. Cercai spaventato tra i rami e, quando ormai credevo che non lo avrei più ritrovato, vidi che era steso a terra con tutto il suo contenuto sparso. Probabilmente l'avevo lanciato io, trascinandolo nella mia caduta o muovendomi di notte. Scesi con cura con l'altro zaino sulle spalle e raccolsi tutto quello che trovai: tre lattine di soda, un panino con la salsiccia, alcuni biscotti rosicchiati e pieni di formiche, una scatola con sacchetti di sale da usare nelle insalate e le due scatole, che risultarono essere di mele cotogne. Il resto era scomparso, doveva essere stato portato via dagli animali. Ciò mi fece concludere che era caduto di notte.

      Decisi di fare un inventario di tutto ciò portavo, per vedere cosa poteva essermi utile e buttare via ciò che non lo era. Non aveva senso portare peso inutile e avevo bisogno di sapere di che strumenti potevo disporre. Nel mio zaino, a parte il cibo, portavo il coltello che avevo comprato a mio padre, tutte le figure di legno, un diario di viaggio sull'Africa centrale, un pacchetto di fazzolettini, un binocolo 8x30, un cappello di tela color kaki e una maglietta con scritto "I love Namibia". Del kit di pronto soccorso mi rimanevano una scatola di aspirina a metà, un'intera scatola di antidiarroici, una benda, tre cerotti e alcune pillole per il mal di mare. A parte, ovviamente, i documenti. Anche nello zaino di Juan c'erano i suoi documenti e, inoltre, le tre coperte e un cuscino da aereo, un piccolo libro con frasi Swahili, i suoi occhiali da sole, un berretto, alcune barrette di cioccolato, una bottiglia d’acqua di plastica da un litro quasi vuota, una forchetta, una grande figura di legno di un elefante e molte altre più piccole, un pacchetto quasi pieno di sigarette e un accendino.

      Non potevo portare due zaini, quindi tenni tutto nel mio, che era in condizioni migliori, tranne una delle coperte, il cuscino che occupava molto spazio e tutte le figure di legno, inutili in questo ambiente, che seppellii e coprii con resti di foglie. Mentre scartavo alcune cose, ricordavo le persone per le quali erano; Elena, la mia famiglia, i miei amici, Alex, Juan… e non passò molto tempo prima che ricominciassi a piangere. Non li avrei rivisti mai più, nessuno di loro. Beh, avrei rivisto presto Alex e Juan, in paradiso o dovunque si vada una volta morti.

      In quel momento mangiai le barrette di cioccolato disfatte dal calore, pulendo l'involucro con la lingua fino a quando non ne rimase traccia. Erano buonissime. Bevvi anche quella poca acqua rimasta nella bottiglia. Fu allora che mi resi conto che dovevo fermarmi un attimo per riflettere sui miei passi successivi. Mi vennero in mente alcune domande: i ribelli sapevano che ero vivo? Dove sarei andato adesso?

      Rispetto alla prima domanda, non avevo risposta. Forse erano riusciti a convincere qualche passeggero a confessare che mi aveva visto, forse avevano cercato nei dintorni e avevano trovato le mie tracce o la lattina che avevo gettato a terra dopo averla bevuta (era stato un grosso errore, anche se in quel momento ne avevo abbastanza col problema di dover scappare), forse stavano dappertutto e mi avrebbero trovato comunque, o magari non sapevano nulla. Qualunque cosa fosse successa da quel momento in avanti, avrei dovuto cercare di stare più attento e lasciare il minor numero di tracce possibile ovunque andassi.

      Rispetto a dove andare. Mi sembrava di ricordare che dall'aereo, durante l’atterraggio vertiginoso, avevo visto un villaggio all'orizzonte, in una grande radura nella giungla. Quello che non sapevo era se sarebbe stata la base dei ribelli o no, ma era molto probabile, visto che era molto vicino a dove ci avevano attaccato. Dato che stavamo viaggiando dal Sud Africa verso il nord, dovevo presumere che continuando sempre verso nord avrei lasciato la giungla, sarei arrivato in un altro paese e avrei avuto più possibilità di trovare aiuto. Come mi mancavano i miei amici adesso! In quel momento mi sarebbero serviti l'entusiasmo, l'ottimismo e la gioia traboccanti di Alex e la fredda capacità di analisi, calma e determinazione nell’affrontare le situazioni di Juan. Quanto avevo bisogno della loro compagnia per trovare abbastanza coraggio e per affrontare questa sfida indesiderata che mi si presentava inevitabilmente! Con loro sarebbe stato più facile, addirittura un'avventura da raccontare al ritorno; ma erano morti, assassinati, sterminati come mosche volgari senza pietà, annientati nel fiore della vita… e io dovevo sopravvivere in un modo o nell’altro. Bastardi, figli di…! Tranquillo, Javier, tranquillo, dovevo cercare di mantenere la calma, era la mia unica opzione se volevo avere qualche possibilità. Bene, il sole sarebbe dovuto sorgere a est e tramontare a ovest, quindi se aveva albeggiato più o meno da quel lato… sarei dovuto andare in quella direzione. Se con quel sistema di orientamento fossi arrivato da qualche parte non sarebbe stata abilità, ma un miracolo. Comunque, per essere sicuro, scalai con attenzione uno degli alberi più alti che riuscii a vedere.

      Fu facile, poiché aveva molti rami da usare come scale, anche se più in alto salivo più erano piccoli e flessibili, quindi feci molta attenzione ad appoggiare i piedi proprio sulla base dei rami, che era la parte più ampia e resistente. Spuntava sopra la maggior parte degli alberi e, quando raggiunsi quasi il punto più alto, il panorama era scioccante. Un mare verde si stendeva in tutte le direzioni come un tappeto, salendo e scendendo, seguendo il contorno della terra, imitando le onde, una vasta distesa di vita. Solo alcuni alberi solitari molto più alti degli altri spiccavano nell'immensità di quell'arazzo, formato dalla chioma delle cime infinite della giungla. Non vedevo altro che le cime degli alberi in tutte le direzioni, senza fine. Anche con l'aiuto del binocolo non si vedeva nulla da nessuna parte. La verità è che questo non mi aiutava troppo nella mia ricerca della direzione da seguire. Scesi dall'albero e nascosi lo zaino di Juan, con tutto ciò che rimaneva in esso, seppellendolo per metà sotto un tronco caduto. All'ultimo momento decisi di tenere la giraffa per Elena, se mai l'avessi rivista, volevo avere un regalo per lei. Diedi un'ultima occhiata in giro per controllare che non restassero chiari segni della mia presenza e, quando ero mediamente convinto, iniziai a camminare senza troppe speranze. Quanto avevo bisogno dei miei amici!

      Durante la marcia incontrai alcuni uccelli colorati con suggestivi petti rossi e il resto del corpo verdastro6. Volteggiavano in uno stormo di circa dodici o quindici tra i rami degli alberi con incredibile agilità. Non appena feci un po’ di rumore scomparvero dalla mia vista in un batter d'occhio. Solo quegli splendidi animali mi fecero uscire per un momento della opprimente sensazione di solitudine con cui la giungla mi colpiva implacabilmente, un mondo opprimente, ostile, spietato, nell'oscurità permanente in cui il peso, lo sconforto o il soffocamento non erano altro che abituali compagni di viaggio.

      Il percorso era difficile. Dovevo costantemente aggirare o saltare ostacoli. A volte c'erano delle piccole radure, ma le costeggiavo per paura di risultare troppo visibile. Sudavo senza sosta e avevo molta sete, ma non volevo bere un'altra lattina perché ne restavano solo tre. Dovevano essere circa 25º con un'umidità molto elevata, il che accentuava la sensazione di oppressione e calore. Per un

Скачать книгу


<p>6</p>

Fauna: Trogone Narina (o Surucuá), Apaloderma narina.