Goccia A Goccia. Juan Moisés De La Serna

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Goccia A Goccia - Juan Moisés De La Serna

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contrario, i clienti erano più pazienti perché non avevano alcuna fretta di pagare, ma avevo comunque l’obbligo di non far ritardare la gestione dei dati più di un giorno.

      La prima cosa che facevo era separare ogni documento secondo il nome del fornitore, come se fossi un impiegato delle poste. Leggevo ogni mittente e, successivamente, li classificavo.

      A volte mi capitava di trovare documenti che non erano destinati a noi e che ci avevano consegnato per sbaglio, come per esempio le copie erronee delle note d’entrata; tutti questi casi li risolvevo a mano a mano, separandoli in uno scaffale diverso per poterli gestire poi telefonicamente.

      Dopo aver separato il primo mucchio per ogni fornitore, facevo di nuovo una selezioni dei documenti dividendoli in bolle, fatture o note d’entrata.

      Tutto un mondo di piccole procedure prime di iniziare il lavoro vero e proprio; solo posizionare ogni documento al suo posto mi occupava buona parte della mattinata e, una volta terminato, avrei dovuto scansionarli per salvarne una copia nel computer, facilitandone la ricerca in caso fosse necessario.

      Successivamente, una volta verificata la corrispondenza con l’operazione che appariva nel sistema, ogni documento veniva archiviato nell’apposito cassetto, uno per ogni fornitore. Lì rimaneva custodito per un periodo minimo di cinque anni, nel caso in cui dovesse essere sottoposto a verifica in un’ispezione.

      Era già mezzogiorno e solo avevo avuto tempo di finire la parte dei venditori; mi mancava ancora la parte dei clienti che, vista la quantità, era la più corposa ma allo stesso tempo la più rapida, trattandosi delle note dei pagamenti che sarebbero stati saldati con contanti o carta di credito.

      Per queste ultime dovevo solo creare una nota nel computer affinché si potesse poi realizzare un addebito automatico, inserendo i dati del compratore, il numero della sua carta, l’importo del pagamento e la data della scadenza in caso di posticipo.

      Tutto questo avrei dovuto farlo dopo pranzo, e quello era l’unico momento in cui sarei potuta dall’edificio; l’azienda si faceva carico di una percentuale della consumazione qualora il pranzo si fosse consumato al suo interno, ma nonostante questo erano molti quelli che sceglievano di andare a mangiare nei locali adiacenti o a casa propria.

      Ero solita recarmi in un bar che si trovava a pochi passi dall’edificio, un posto piccolo in cui però mi sentivo quasi in famiglia, visto che lo frequentavo quotidianamente e ogni giorno mi facevano trovare piatti differenti.

      Mi angosciava l’idea di dover stare chiusa anche all’ora di pranzo come se non ci passassi già abbastanza tempo ogni giorno, e non ero abbastanza vicino a casa mia per poter andarci e tornare in tempo.

      Il bar era un mezzo anche per relazionarmi con gente normale, che non si preoccupava di mettersi in mostra con i clienti o vantarsi delle vendite con i colleghi.

      Mentre mi stavo godendo il mio piatto, si avvicinò al bancone del bar una giovane ragazza che, dopo aver scambiato qualche parola con il responsabile, lasciò una pila di fogli. Non gli detti molta importanza fino a quando mi avvicinai per pagare e vidi il mucchio di volantini che aveva lasciato.

      Aspettando che il cameriere mi desse il resto, aprì uno degli opuscoli e vidi che si trattava di una conferenza su di un nuovo prodotto terapeutico, che prometteva cure per ogni tipo di dolore inclusi quello mestruale e l’emicrania.

      Non ero solita frequentare posti simili, sapevo che erano tutte attività il cui unico scopo era di vendere il loro prodotto risaltandone le proprietà benefiche per la salute che in realtà non possedevano.

      Lo avevo visto fare centinaia di volte nella mia azienda, l’ingresso di una persona indecisa o semplicemente con qualche dubbio su un determinato prodotto ed uscire poi con quell’esatto articolo sotto il braccio, con la certezza di aver comprato qualcosa di essenziale per la sua vita.

      Le avevano semplicemente creato la necessità psicologica di quell’oggetto e poi glielo avevano venduto. Supponevo che il posto indicato nel volantino avrebbe fatto lo stesso, tante belle parole spese con l’obiettivo finale della vendita.

      Nonostante la mia perplessità iniziale, ne presi uno per parlarne ad un’amica che credeva fermamente in queste cose: guarigioni, chiromanzia e tutto quello che vi è relazionato; anche se molte volte le avevo detto che era una credulona e una persona estremamente influenzabile, sembrava che le mie parole non avessero nessun effetto su di lei, a parte provocarle una risata per la mia incredulità.

      Più volte le avevo ripetuto che in passato ero uscita con un farmaceutico, che mi aveva confermato che molti dei medicinali erano composti da piante naturali trattate e poi incapsulate, senza aver nessun effetto maggiore del consumo della pianta stessa attraverso infusi o impacchi, a seconda della zona da trattare.

      Ma lei continuava a pensarla allo stesso modo, che ci fosse qualcosa in più al di là dell’apparenza che non poteva essere spiegato. Al termine della giornata la chiamai e mi convinse ad incontrarci davanti la porta del locale dove il pomeriggio stesso si sarebbe tenuta quella conferenza.

      Mi mostrai restia nel perdere il mio tempo con loro, ma mi ricordò che in più di una occasione mi aveva accompagnato ad alcune corsi formativi che si organizzati dalla mia azienda.

      Senza rendermene conto mi ritrovai in una sala piena di persone vestite in modo abbastanza informale e, in alcuni casi, persino appariscente, anche se loro preferivano definirsi alternativi. Addirittura qualcuno guardava quelli vestiti in modo distinto come se non dessero importanza ai dettagli, e la stessa cosa mi era stata detta in più di una occasione per essere andata in un posto simile vestita ancora da ufficio.

      Non ero molto a mio agio in quell’ambiente a differenza loro che, invece, sembravano davvero contenti e senza nessuna preoccupazione; forse, da un lato, ne ero invidiosa.

      Io non avrei potuto permettermi di dedicare il mio tempo a pensieri così elevati, come l’esistenza di altri pianeti o la ricerca della mia essenza. Le mie mete erano focalizzate sulla mia vita quotidiana, affrontare e superare le sfide che ad ogni passo mi si presentavano ed arrivare alla fine del mese con qualche risparmio per poter festeggiare con le amiche.

      Per fortuna per me, i tempi di vacche magre si erano conclusi dopo i miei anni penosi della facoltà in cui dovevo lavorare per pagarmi gli studi, oltre all’appartamento in cui alloggiavo.

      Il mio lavoro mi aveva permesso di potermi preparare un futuro accogliente. Vivevo in affitto in un appartamento lontano dal centro e, per questo, ero costretta ad usare ogni giorno i mezzi pubblici, ma in compenso potevo godere di uno spazio tutto mio; per di più le mie amiche avevano la macchina e quando ci organizzavamo per uscire, qualcuna di loro mi passava sempre a prendere.

      La conferenza iniziò, e il relatore si presentò dicendo:

      ―Buon pomeriggio, prima di cominciare vorrei porvi delle domande. Quanti di voi si sentono stanchi? ―molti dei partecipanti alzarono la mano.

      ―Quanti hanno una relazione? ― altre persone la alzarono.

      ―Quante persone non hanno una relazione da meno di un anno? ―questa volta, la alzarono in minor numero.

      ―Chi non ha una relazione da più di un anno? ―solo per due persone la risposta fu affermativa e, ad un tratto, la mia amica mi dette un colpo con il gomito e dovetti alzarla anche io.

      ―Le tre persone che hanno alzato la mano, potrebbero gentilmente venire qui? ―chiese il relatore.

      Ancora

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