Gloria Primaria. Джек Марс

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Gloria Primaria - Джек Марс Le Origini di Luke Stone

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vicine quanto fosse in forma per la sua età.

      Ma non quel giorno. Tutto, il mondo intero, sembrava muoversi intorno a lui. Sentì dei conati di vomito. Inciampò e per una frazione di secondo vide due aerei. Poi le loro immagini si unirono improvvisamente.

      Un aereo, due aerei, aereo bianco, aereo blu.

      "Mi sento un po' stordito", disse.

      Lo presero per le braccia e lo trascinarono su per le scale. Per fortuna, le gambe non gli cedettero. Sarebbe stato imbarazzante. Sembrava che i suoi piedi non toccassero il suolo mentre gli uomini lo aiutavano a salire per le scale in fretta e furia.

      In pochi secondi erano all'interno dell'aereo. Nessuno gli chiese dove volesse andare. Si spostarono invece in gruppo lungo il corridoio fino all'angusto annesso medico, camminando velocemente, quasi trascinando Dixon di peso.

      Passarono attraverso la porta stretta e due agenti lo fecero sedere sul sedile di pelle vicino al lettino. Era uno spazio minuscolo, con apparecchiature mediche allineate alle pareti. Dixon sapeva che più in profondità all'interno della dependance avrebbe potuto aprirsi un tavolo operatorio se si fosse rivelato necessario. Sperava molto di non arrivare mai a tanto.

      C'era Travis Pender, il medico dell'Air Force One. Al suo fianco c'era un'infermiera, una donna di mezza età. Il suo viso era sempre serio. Dixon la conosceva, ma al momento la sua mente sembrava…

      "Buon giorno, Signor Presidente", disse.

      "Ciao", disse Dixon. Non provò nemmeno a chiamarla per nome.

      Pender era texano, Dixon lo ricordava. Era stato nell'Air Force. Lui sorrise. Era biondo, molto abbronzato, la sua carnagione era quasi aranciata. Aveva una grande mascella sporgente, come un uomo di Cro-Magnon. Dixon, per lunga esperienza, considerava quella mascella un tratto distintivo di sicurezza. Gli uomini con un tocco di Neanderthal sembravano avere più sicurezza in sé stessi rispetto agli altri uomini, a ragione o meno.

      Da parte sua, Pender sorrideva sempre, sembrava sempre divertirsi. La mascella poteva essere una delle ragioni, ma certamente non era la sola. Gli uomini sicuri di sé potevano essere scontrosi come chiunque altro. Pender non lo era. Dixon non capiva quell'uomo.

      "Come ti senti, Clem?" disse il dottore. “È una giornata turbolenta, eh? Mi hanno detto che forse hai avuto un po' di vertigini. Hai perso conoscenza? Ti ricordi?

      A Dixon balenò un pensiero, non certo per la prima volta. Ma questa volta lo espresse ad alta voce.

      “Hai sempre chiamato i presidenti per nome? O lo fai solo me?"

      Il sorriso di Pender si fece ancora più ampio. “Chiamo tutti per nome. Siamo tutti uguali agli occhi di Dio". Guardò uno degli uomini dei servizi segreti.

      "Puoi aiutarmi a togliergli giacca e camicia?"

      L'uomo dei servizi segreti raggiunse Dixon.

      "Ce la faccio, grazie!" disse Dixon. "Non sono un invalido!"

      Si tolse la giacca e iniziò a sbottonare la camicia. Non aveva senso opporre resistenza. Era successo qualcosa poco prima e lo avrebbero visitato, che gli piacesse o meno.

      Travis Pender sorrise ancora di più. Era un sorriso delle dimensioni del Texas.

      “Questo è lo spirito giusto. Mi piace".

      Dixon scosse la testa.

      "Zitto, Travis. Dimmi solo se sono vivo o morto".

      Alzò lo sguardo e Tracey Reynolds era lì sulla soglia. Dixon si sentì un po' sollevato alla sua vista. Tracey stava rapidamente diventando la sua guardia del corpo, la persona più fidata del suo entourage. Allo stesso tempo, avrebbe preferito che non lo vedesse senza camicia. Il tono muscolare non era uno dei suoi punti di forza.

      "Ti hanno lasciato entrare?" disse.

      Lei sorrise. I suoi denti erano bianchi e perfetti, come ogni suo lineamento.

      "Mi hanno detto che potresti aver bisogno di qualcuno che ti tenga la mano in caso dovessero prelevare del sangue".

      "Sei assunta", disse il dottor Pender. "Chiunque riesca a tener testa al sarcasmo di questo presidente merita un lavoro per la vita".

      Clement Dixon si rese conto di quanto fosse vera quella dichiarazione.

* * *

      Nel frattempo, nella completa oscurità, proprio al di sotto di Clement Dixon, l'uomo sentì l'aereo iniziare a muoversi. Aveva passato mesi ad allenarsi per riconoscere la sensazione del movimento.

      Pochi istanti dopo, l'aereo accelerò. Infine si staccò dal suolo. Sentì lo sbalzo dell'aereo che saliva verso la sua quota di crociera. Ci fu qualche istante di turbolenza.

      L'uomo aprì gli occhi, ma nulla cambiò. Tutto intorno a lui era nero come la notte più profonda. Era vivo. L'uomo trasalì. Il suo nome era… il suo vero nome non aveva importanza. Rispondeva al nom de guerre Abu Omar.

      Il suo corpo era terribilmente freddo, ma si era anche allenato a resistere, dormendo ripetutamente a temperature gelide. Riusciva a malapena a sentire i suoi arti. Dopotutto, era chiuso in una cella frigorifera. Era un trucco perfetto per ingannare i cani da fiuto. C'erano uomini dentro tutte quelle celle frigo, nascosti tra le bistecche, il pesce e il gelato.

      Rabbrividì. Fece un respiro profondo che suonò più come un rantolo. Non era rimasto molto ossigeno.

      Aveva funzionato! L'aereo era in aria e lui, se non altro, era dentro l'aereo.

      Non era morto, non ancora. Ovviamente era un mujahid, un guerriero santo. Era pronto a morire in qualsiasi momento. Ma in quel momento, Allah aveva ritenuto opportuno che fosse ancora vivo e ancora in grado di lavorare per l'obiettivo prefissato.

      Molti probabilmente erano morti per condurlo in quella situazione, ed era consapevole di quei sacrifici. Ma era anche consapevole che da un grande sacrificio derivano grandi responsabilità e forse grandi ricompense.

      Cercò la cerniera vicino alla sua vita. Trovò il piccolo cursore e lo tirò lentamente su per il petto e oltre il viso. Una debole luce entrò. Lui sbatté le palpebre. Era chiuso con la cerniera lampo in una spessa borsa di vinile nero, all'interno di una pesante scatola di cartone, che a sua volta era chiusa dentro una cassa della cella frigorifera.

      Ci sarebbe voluto un po' di lavoro e molto tempo per uscire di lì. Dopo di che, se Allah lo avesse concesso, avrebbe liberato i suoi compatrioti dalle loro tombe congelate.

      Il tempo era essenziale, ovviamente, ma sapeva che avrebbero incontrato qualche difficoltà. Le sue mani erano blocchi di ghiaccio congelati. Ma non importava. Il lavoro difficile non lo aveva mai infastidito.

      Passo dopo passo, diligentemente, iniziò.

      Quaranta minuti dopo, sette uomini (Omar e altri sei) si radunavano nel ventre oscuro del grande aeroplano. Erano tutti usciti da scompartimenti per la carne e alimenti di vario genere. Ogni scompartimento era stato progettato per eludere i cani da ricerca e i rilevatori di metalli ed esplosivi.

      Degli otto uomini all'interno dell'aereo, sette erano sopravvissuti. Uno era morto: la morte per esposizione al freddo e mancanza di ossigeno erano state considerate come possibilità reali durante le fasi di pianificazione. Non si sapeva cosa lo avesse ucciso, ma Omar sospettava fosse il freddo. Il suo congelatore sembrava più freddo degli altri e il cadavere

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