Gloria Primaria. Джек Марс
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Ci fu un lampo di luce e anche le persone intorno esplosero con lui. Teste, braccia, torsi volanti. Sangue sparso a fiumi. Una frazione di secondo dopo, giunse il suono dell'esplosione. Fu attutita dai finestrini, ma l'onda d'urto fece comunque tremare tutto.
Qualcosa volò in aria e colpì la macchina. Dixon se ne accorse a malapena. Era rosso e lacero e avrebbe potuto essere un grosso pezzo di frutta marcia.
Poi iniziarono le urla.
Un istante dopo, l'uomo dei servizi segreti si trovava sopra di lui e lo faceva abbassare. "Via!" urlò l'uomo agli autisti. "Andiamo via! Veloci! Subito!”
"Lasciami!" disse Dixon. "Sto bene!"
Ma ovviamente l'uomo continuò a tenerlo. Le sirene stavano impazzendo all'esterno. E nei dintorni si sentiva un suono di mitragliatrici. Dixon non riuscì a vedere niente di tutto ciò. Non sembrava che l'auto si stesse muovendo, sembrava intrappolata nella folla.
Tracey ansimò e lanciò un piccolo stridulo strillo simile al verso di un topo. Margaret trattenne il respiro. Dixon avrebbe voluto rassicurarle in qualche modo, ma quel colosso di 100 chili gli impediva qualsiasi movimento.
"Non siete ferite", disse l'uomo. "Andrà tutto bene".
L'auto finalmente accelerò. Il motore rombò mentre l'auto prendeva velocità.
Qualcosa colpì ripetutamente la carrozzeria dell'auto.
Tracey rimase a bocca aperta. "Ci stanno sparando".
"Non possono spararci", disse l'uomo dei servizi segreti. "Quest'auto è antiproiettile".
Se così fosse, allora perché l'uomo continuava a coprire Dixon?
"Non c'è Dio al di fuori di Allah".
Il suo passaporto diceva che proveniva dalla Grecia. Diceva di chiamarsi Anthony. Era un falso impeccabile e la gente ci aveva creduto. Il personale addetto al check-in e alla sicurezza negli aeroporti ci aveva creduto. Gli impiegati dell'albergo ci avevano creduto. Tutti gli avevano creduto.
Adesso niente di tutto questo aveva importanza.
Era immerso nella folla gremita. Era una giornata calda, ma all'improvviso il sole sembrava così caldo che sembrava esplodere. Si era lasciato alle spalle edifici colorati e balconi decorati. Di fronte a lui c'era una fila di macchine nere striscianti con i finestrini scuri e le bandiere americane e portoricane drappeggiate sul parabrezza.
Era senza fiato. Non riusciva a pensare a nient'altro che a cose meccaniche che aveva memorizzato molto tempo prima.
"Oh Allah", disse, ad alta voce, il suono della sua voce soffocato dalle grida e dalle acclamazioni delle persone intorno a lui. "Concedici il bene nel mondo e il bene nell'aldilà e salvaci dal tormento del fuoco".
La gente urlava. Rideva. La folla era impazzita. Lui venne spinto più volte, di qua e di là. Si sentiva male e gli salì un improvviso senso di nausea. Tutto intorno a lui girava.
Barcollò in avanti, verso la macchina davanti a lui.
All'improvviso, alla sua destra, più indietro nel corteo di automobili, qualcosa esplose. Vide l'esplosione con la coda dell'occhio. Non aveva nemmeno bisogno di guardare. Sapeva cos'era. Era un fratello in Allah, qualcuno che non aveva mai incontrato, il primo dei mujaheddin a morire quel giorno.
Era anche il segnale per gli altri, e Anthony era uno di quelli.
La gente continuava a urlare, ma il tono era cambiato. Adesso la gente correva e urlava. Si sentì una sirena.
Le macchine erano bloccate nella folla. Erano bloccate nel loro stesso corteo.
Anthony quel giorno indossava una colorata camicia hawaiana con stampa floreale che si appoggiava al rigonfiamento intorno alla sua vita. Chi lo avesse visto avrebbe potuto pensare che fosse un po' in carne. Ma non lo era. Lui era molto magro.
Fece due passi nel traffico, quasi inciampando quando scese dal marciapiede. La gente spingeva, cercando disperatamente di scappare. Un uomo portava un bambino piccolo sulle spalle. Anthony superò l'uomo.
Era molto vicino alla macchina nera. Era grande, più grande di quanto si aspettasse.
Da qualche parte nelle vicinanze, iniziarono gli spari. I fratelli, la polizia, l'esercito, non c'era modo di dirlo adesso.
“Allahu Akbar”.
Gridò a squarciagola.
Sbirciò nel finestrino dell'auto, ma non vide niente. Forse il presidente americano era lì, forse no. C'erano comunque delle sagome. La macchina non era vuota.
Accanto a lui, sulle spalle dell'uomo, il bambino piangeva.
Anthony non esitò. Teneva in mano un accendisigari in plastica. Si allungò la mano sotto la camicia e cercò la miccia che avrebbe avviato l'esplosione. Si era esercitato molto, la trovò subito. Fece scattare l'accendino.
“Salvami!” gridò. Non sentì nemmeno la propria voce. Non sapeva a chi si stesse rivolgendo.
Un secondo dopo, si sentì avvolto dal calore. Poi arrivò il fuoco e la luce accecante.
E poi l'oscurità.
"È un buon oratore", disse Don Morris. "Glielo concedo".
Si trovava insieme a Luis Montcalvo diverse vetture davanti all'auto del presidente. Tutt'intorno a loro, le persone erano quasi schiacciate contro i finestrini, scrutavano nell'oscurità, sperando di intravedere Clement Dixon.
"Un oratore eccezionale", disse Montcalvo. "E ha detto molte cose che il popolo portoricano ha bisogno di sentire".
Don annuì. "Penso che lei abbia ragione. Il pubblico ha apprezzato il suo discorso e le persone alla parata… " Fece un gesto fuori dal finestrino e lasciò che la folla elettrizzata parlasse per lui.
"Siamo pronti per l'indipendenza", disse Montcalvo. "Siamo stati troppo a lungo in questo limbo e ciò va a sostegno di chi vuole una completa scissione".
Don lanciò un'occhiata al giovane addetto ai servizi segreti che viaggiava in macchina con loro. Il ragazzo sembrava annoiato. Ascoltava e non ascoltava allo stesso tempo. La vera azione avveniva in un'altra macchina.
Don guardò Montcalvo. Sembrava appena più vecchio dell'uomo dei servizi segreti che doveva proteggerlo. Era sicuro di sé e composto. Si era incontrato con il Presidente degli Stati Uniti e aveva ottenuto il suo rispetto. Essere governatore di Porto Rico era di più, e al contempo di meno, che essere governatore di uno stato. In un certo senso, era come essere il presidente di un piccolo paese. Montcalvo gestiva bene questa responsabilità.
"Penso che lei ed io non siamo così diversi come sembra", disse Don.
Montcalvo annuì. "Sono d'accordo. Non potrei dire altrimenti. So che lei è un grande uomo. Ma la School of the Americas … Sono sicuro che capirà che noi abbiamo una grande affinità con tutta l'America Latina. Sono nostri fratelli e sorelle".
Don avrebbe potuto crederci. “Certo”.
"Andiamo per la nostra strada", disse Montcalvo. "Possiamo perdonare, ma non possiamo …"
All'improvviso,