Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti. Italo Svevo
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Se Maller perdendo la pazienza gli dava con franchezza lo schiarimento chiesto, allora la lotta era perduta, altrimenti e precisamente per questa via era vinta.
Seccamente Maller osservò che non usava derogare dalle misure prese, e che se Alfonso si contentava egli ne sarebbe stato lieto, altrimenti... e completò la frase con un gesto che chiaramente significava che anche se Alfonso avesse abbandonato la banca egli se ne sarebbe consolato.
— Ebbene! — gridò Alfonso — io lascerò l’impiego! — E si sentì forte al rammentarsi che il peggio che gli potesse accadere era di rimanere senza impiego. Continuò più calmo, ma col desiderio di colpire e di offendere: — Naturalmente non posso rimanere in un impiego ove mi si perseguita senza cagione... almeno che appaia.
Quest’ultima aggiunta gli diede sollievo; s’era sfogato. Rimase ancora per un istante indeciso non volendo abbandonare quel luogo prima di essere certo d’aver detto tutto, poi s’inchinò e s’avviò verso l’uscio.
Maller all’ultima aggiunta aveva fatto un lieve movimento che ad Alfonso non era sfuggito. Poi sollevò la testa fuori del giornale:
— Non prenda delle risoluzioni tanto gravi su due piedi, — disse con suono di voce dolce quasi di preghiera e che sorprese Alfonso perché stonava singolarmente col suono con cui gli erano state date le risposte fino allora. — Sia sicuro che, se potrò, la farò richiamare alla corrispondenza.
Era evidente! Il grosso uomo era un po’ agitato.
Per il momento addirittura abbacinato dall’insperata vittoria, ad Alfonso non bastò il risultato ottenuto.
— E devo continuare a lavorare in contabilità?
Troppo si risentiva ancora della noia sofferta quel giorno per non sollevare anche questa questione.
— Darò ordine ch’ella venga aiutato nel suo lavoro, — disse Maller cedendo subito.
Alfonso uscì senza ringraziare e salutando con un piccolo inchino.
Questo colloquio lo lasciò in un’agitazione terribile. Uscì dalla stanza di Maller insoddisfatto. Ottenuta la vittoria, sentiva con evidenza che non era quella la desiderata perché non gli era riuscito di togliere la disistima in cui era caduto agli occhi dei capi della banca. Conservava l’impiego — ecco tutto! L’onesto Cellani avrebbe continuato a trattarlo con freddezza e disprezzo! Oh! se avesse potuto parlare liberamente, raccontare quanta parte nella sua avventura avesse avuto la civetteria di Annetta ed il proprio sentimento, un sentimento poco nobile e poco puro ma irresistibile, non lo avrebbero più ritenuto per un individuo che si fosse insinuato in casa Maller per carpirvi una dote con arti poco oneste.
Riandava pensieroso su ogni particolare di quel colloquio a cercare invano una parola della quale avrebbe potuto rammentarsi con compiacenza. Ogni parola detta da Maller era stata improntata dell’antipatia o della noncuranza quando non aveva tradito paura, ed era lui che aveva sbagliato perché ogni sua parola era stata rivolta a conservarsi e migliorare la posizione, nessuna a rendersi più amichevole Maller. Anzi, e questo lo disperava, se aveva vinto nella lotta, era stato per quell’allusione alle cause recondite per cui egli veniva maltrattato alla banca. Aveva fatto una minaccia che aveva spaventato Maller?
Ma lo credevano dunque un ricattatore! Per questo lo avevano temuto! Sotto il peso di quell’accusa non voleva rimanere! Se egli non agiva, nessuna voce si sarebbe levata in sua difesa! Maller non lo conosceva abbastanza per non sospettare di lui, ed in Annetta l’odio doveva avere mutato il ricordo di lui in modo che non poteva restarne che la figura di un avventuriere qualunque.
La dimane egli avrebbe chiesto un altro colloquio a Maller e, liberamente esponendo le ragioni che a quell’atto lo costringevano, avrebbe dato le sue dimissioni! Non voleva conservare neppure per un giorno solo ciò che gli veniva lasciato per timore della sua vendetta. — Lei mi odia, — gli avrebbe detto, — è il padrone, e perché mi conserva presso di sé? Mi offende non licenziandomi!
Questo proposito avrebbe dovuto dargli calma. Andò a casa e volle coricarsi. Mezzo vestito si gettò sul letto; provava ancora il bisogno di sfogarsi sognando. Era deciso! Egli si trovava senza impiego; che cosa avrebbe fatto della sua vita? Con gli studî, anche se fossero stati molto più perfetti che non erano i suoi, non avrebbe potuto vivere; e gli sarebbe stato ben difficile trovare un altro impiego. Di tutte le relazioni annodate in città quali avrebbero potuto servirgli? Soltanto quelle fatte in casa Maller e di queste su una, la più importante, non poteva contare. E si vedeva abbandonato e povero, affamato forse, ed egli si conosceva, alla fame non avrebbe potuto resistere; avrebbe finito collo stendere la mano anche ai Maller chiedendo loro la carità o forse persino li avrebbe minacciati per indurli ad aiutarlo. Nel lungo soliloquio più volte gli erano venute le lagrime agli occhi. Finché poteva, doveva cercare di conservare la sua posizione in casa Maller.
E gli parve di aver trovato la via per poter dare le spiegazioni occorrenti senza perciò perdere il suo posto. Le poteva dare ad Annetta stessa! L’aveva conosciuta vana e egoista ma non senza cuore; gli aveva perdonato tante volte e per sola compassione, una compassione dolce che le faceva dimenticare i suoi propositi di contenersi in modo da non compromettersi. A lei si sarebbe rivolto. Egli infine non domandava altro che di esser lasciato tranquillo e lo chiedeva a gente che doveva avere anche maggiore interesse di lui acciocché il silenzio venisse conservato; certo da Annetta gli sarebbe stata accordata la sua domanda.
La sua prima idea era stata di attendere l’occasione per parlare con Annetta, fermarla magari sulla via, ma poi gli parve di non poter vivere in quell’agitazione e volle levarsela subito. Il giorno appresso avrebbe scritto ad Annetta pregandola di accordargli un colloquio.
Finì col farlo subito; gli parve che quell’attività gli avrebbe ridato la calma. Saltò dal letto e accese la lampada. Da lungo tempo a quel tavolo non aveva scritto; la penna irrugginita resisteva e dovette diluire l’inchiostro che non fluiva.
Incominciò con un “Illustrissima signorina” che gli parve dignitoso e umile, e in brevi termini chiese il colloquio dicendo che aveva a comunicarle cosa di somma importanza per lui e, credeva, anche per lei. Se accordava questo colloquio, egli non ne dubitava, la pregava di portarsi fra le otto e le nove ore della sera del giorno appresso sul primo molo, il più vicino alla via dei Forni. Ebbe poi un accento d’ingenuo rammarico: — Non so più come trattarvi, o Annetta, perché voi forse mi odiate, — e poi d’ironia altrettanto ingenua: — Firmo con nome e cognome perché al nome solo forse non mi riconoscereste.
Non dormì ma era cessato quell’avvilimento che più volte gli aveva cacciato le lagrime agli occhi. Ora l’agitazione era di tutt’altra specie e facilmente scoperse che gli era derivata da quelle due frasi più dolci, quasi da innamorato imbizzito dirette ad Annetta. Come aggradevolmente lo molceva il pensiero che il giorno appresso l’avrebbe riveduta! Ecco, un’altra volta dimenticava le faccie nemiche che lo circondavano dinanzi a quel viso che per lui aveva arrossito e impallidito d’amore. Per lui solo, non per Macario; lo sapeva da Macario stesso che aveva negato che su quel volto la passione potesse gettare la sua ombra.
Non gl’importava più neppure dello scopo per cui chiedeva quel colloquio; il suo desiderio principale era di riabilitarsi agli occhi di lei, farle sentire ch’egli non era l’avventuriere ch’ella supponeva. Non sarebbe perciò tramontato il progetto di matrimonio con Macario, ma nel cuore della donna che aveva amata sarebbe rimasto per lui un sentimento affettuoso di riconoscenza e d’amicizia che a lui sarebbe bastato.
Andò immaginando le parole che le avrebbe dette. Non si sarebbe scusato di averla sedotta perché sarebbe stato poco abile. La sua passione lo