L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi

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L'assedio di Firenze - Francesco Domenico Guerrazzi

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fermo del vostro proposto, a noi, come fanti, non appartiene conoscere che cosa sia conveniente a farsi. I magnifici ambasciatori ci stanno dietro il piccolo cammino; noi andremo per essi, e...»

      «Non potete tornare indietro.»

      «Aspetteremo.» E la voce del vecchio cominciava a infiochirsi per ira, il volto a divampargli il fuoco.

      «A me tarda adempìre l'obbligo mio; non posso mettere indugi tra mezzo, bisogna che vi lasciate frugare, e subito, — e per forza.»

      «Va, torna dal tuo signore e digli che se l'ordine ti commise e la insolenza per significarlo, dimenticò poi darti la forza per eseguirlo.»

      Queste parole proferì il giovine cavallaro Bindo di Marco Berardi, soprannominato il Gorzerino, e al punto stesso forte percosse con la mano aperta sul petto al cancelliere, ed abbrancatoglielo quanto era largo, lo sollevò da terra, e con quel vigore che la natura aveva posto nel suo braccio, e che l'ira accrebbe, lo lanciò impetuosamente lontano da sè. Descrisse il cancelliere una curva per l'aria volando, e toccata ch'ebbe con i piè la terra, prese a muoverli celerissimi uno dietro l'altro correndo all'indietro, finchè, perduto l'equilibrio, a braccia stese e a gambe levate casca supino nel fango della via. La zimarra nera ripiegandosi gli si avviluppa sul capo; ond'egli quanto più si sforza tôrsi d'impaccio, tanto più vi s'intrica e le vesti curiali di mota e d'immondezza contamina. Amici e nemici prorompono in altissime risa.

      Procedendo di alquanto spazio, prima degli altri, un ambasciatore che sembrava il meglio autorevole,... Cap. III, pag. 81.

      Pur finalmente si sbrogliò costui; scomposti i capelli, livido, tremante di rabbia, lanciò attorno uno sguardo, donde parve scaturire un getto di veleno.

      «Ridete eh?» prese a balbettare fissando i gabellieri. «Si tolga il demonio l'anima mia, se io non vi faccio gli uomini più dolenti del mondo. Vedremo un po' se riderete quando mastro Spedito vi acconcerà la corda attorno al collo.»

      Quindi la persona volge per parte, mentre tuttavia mantiene il volto di faccia; guarda in un lato, mentre co' piè s'indirizza in un altro, siccome fanno le nottole allorchè volano per le tenebre dei cieli, e con voce baldanzosa continua a gridare:

      «Fuori, sergente Montauto, arrestateli, — legateli, — menateli in prigione...»

      E in meno che non si dice un amen una torma di uomini armati comparve, come se fosse piovuta dai nuvoli o scaturita dalla terra.

      Bindo di Marco, staccatasi prestamente la daga dal fianco, la trasse fuori e, il fodero gettato per terra, esclama:

      «Fo voto a Dio che chiunque di tanto è ardito da muovere un passo oltre quel fodero, lo stendo morto ai miei piedi.»

      E fieramente turbato si pone in atto da eseguire la minaccia.

      «Ah! per questa volta monna Lessandra non rivedrà più la faccia del suo marito, nè la Dianora bella la faccia di suo padre», susurrò sommesso il vecchio cavallaro passandosi una mano sopra la fronte.

      Intanto il sergente Montauto, senza punto badare alle parole di Bindo, calatasi giù dalle spalle una partigiana, la spinse contra il fianco destro del giovane; e già stava per ferirlo, e lo avrebbe ucciso di certo, se il compagno, lo soccorrendo in buon punto, non avesse con un colpo di daga tagliato meglio che un palmo dell'asta della partigiana; e subito dopo con quanta aveva di voce nella gola gridava:

      «Che modi sono eglino questi, messere sergente? Dove avete appreso la milizia? Da quando in qua si è inteso dire che venti uomini armati di partigiane non adontino assalire due uomini armati soltanto di daga?»

      E Bindo inferocito nel medesimo tempo anche più forte gridava:

      «Marrani! poltroni! venite oltre, che Dio vi mandi il mal giorno e il mal anno; — vi mostrerò ben io che le vostre partigiane sono di paglia.»

      «O Bindo, per la testa di san Giovanni Battista! manda cotesta lingua al beccaio, se ami riportare le tue ossa a casa...»

       «Berrovieri del papa! Scherani usciti da bastonare i pesci...»

      «Deh! Bindo, ci ammazzeranno qui come cani, nè tu potrai difendere la diletta tua patria...»

      E Bindo, fatto senno, alle ultime parole si tacque...

      Il cancelliere, salito di nuovo sul banco dei doganieri, non cessava un istante dal replicare:

      «Ammazza, ammazza!»

      Il sergente Montauto, un poco atterrito dal colpo del vecchio, un poco trattenuto per la vergogna, non ardiva di stringere da più vicino i cavallari.

      In questo, il popolo si spingeva, si urtava, si affollava, a mano a mano spazio maggiore di terreno occupava, come il serpente tocco dal calore del sole distende le terribili spire e striscia maestoso pei campi; — curioso, anelante domandava chi fossero — a che venissero — perchè gli molestassero.

      Fra mezzo al popolo si erano intanto insinuati gli oscuri agenti del governo sospettoso, spie, sbirri ed uomini altri siffatti, pessimi vermi di società putrefatta; e ad ogni domanda rispondevano un inganno, ad ogni fatto apparecchiavano una insidia, i più clamorosi notavano ed attendevano il destro di legarli e condurli al bargello.

      Il popolo deluso gridava: «Dalli! dalli! che sono contrabbandieri; — vennero ad appiccare i cedoloni in vituperio di Sua Beatitudine e di Sua Maestà cesarea; — hanno portato veleno per attossicare il papa, l'imperatore e i baroni; dentro le costoro valigie c'è il fuoco infernale, c'è la scomunica;» e infamie altre cotali.

      Ma la ragione all'improvviso balenando sull'anima del popolo, gli dimostra apertamente la frode: — I contrabbandieri non si accostano di bel giorno alle dogane; il veleno non è cosa da portarsi in valigie: — il fuoco nemmeno; nè si scomunica il papa; — e allora vergognando taceva.

      Per somma infelicità di questa nostra umana natura, la ragione, illuminando l'anima del popolo a modo di baleno, dura poco, sicchè presto ricade nel buio della ignoranza e nel furore, miserabili malattie, e non le sole nè le più turpi, le quali con dolcezza infinita de' suoi oppressori lo tengono del continuo travagliato; onde di nuovo più fieramente che mai il popolo prorompeva: «Giù le valigie! Aprite le valigie! Vogliamo vedere quello che sta chiuso nelle valigie! Le valigie! le valigie!»

      E negl'intervalli la voce del cancelliere, come lo strido dell'uccello dal sinistro augurio, ripeteva: «Ammazza! ammazza!»

      I cavallari, fermi nel proposito di non si lasciare manomettere, se ne stavano apparecchiati a morire non senza vendetta.

      Il Montauto, dall'universale consenso del popolo imbaldanzito, usciva dalla sua prima esitanza e comandava ai soldati abbassassero le partigiane e quei due ostinati investissero.

      Sangue italiano sta per versarsi e da mani italiane sopra terra italiana.

       «Gli ambasciatori!»

      Udita appena questa voce, il popolo, secondo il suo costume, si volge ai nuovi venuti, come a personaggi sopraggiunti in buon tempo a rendere più complicato il dramma. I soldati sospendono l'assalto; rimangono tutti ansiosamente aspettando ciò che stava per nascere.

      Ed in vero onorevoli di fanti e palafreni i magnifici ambasciatori della Repubblica

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