La battaglia di Benevento: Storia del secolo XIII. Francesco Domenico Guerrazzi
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¹ Petri de Vineis. Epist. liber 1.
«Viv'egli Enrico lo Sciancato?» gridò Rogiero, che ascoltando attentamente questo racconto non potè reprimere un moto di meraviglia.
«Troppo duro sarebbe, o figliuol mio, lo stato nostro quaggiù, se la pietà profonda che ne regge non ci fosse stata cortese di alcuno di quegli spiriti compassionevoli nati a temprare i misfatti, pei quali di giorno in giorno la nostra stirpe scellerata aumenta il tesoro della vendetta di Dio. Uno di questi bennati pose la Provvidenza a lato del consigliere di Federigo, e volle che in lui ogni sua fede riponesse: a questo furono gli atroci misteri svelati: a questo fu dal consigliere imposto che si trasferisse in Puglia; quivi col laccio, col ferro, o in qualunque altro modo, s'ingegnasse di spegnere Enrico, e poi in tutta fretta ne recasse in corte la nuova. Partiva il messo; con la nuova della morte di Enrico tornava, ma Enrico era stato salvato.»
«Oh! che possa essere io il primo ad annunziarlo a Manfredi; certo grande gioia sarà quella del Re a tanto grata novella!» interruppe Rogiero.
«E il figlio pure dell'infelice Enrico,» continuava senza badargli l'uomo misterioso «da crudele ambizione perseguitato, fu sottratto alla morte, surrogando in sua vece il cadavere di altro fanciullo defunto per naturale malattia.»
«E vive egli?» domandò Rogiero.
«Vive.»
«Perchè dunque non palesarlo a Manfredi?»
«Perchè il tradire la innocenza frutta il disprezzo degli uomini, e l'ira di Dio.»
«Manfredi lo restituirebbe in reale condizione.»
«Manfredi lo ucciderebbe prima che se ne sapesse parola, per risparmiarsi anche la spesa dei funerali.»
«A chiunque voi siate.» rispose con terribil voce Rogiero «che così meno che onesto favellate del mio Re, faccio solenne protesta, che non ne tolgo vendetta in questo luogo perchè non siete vestito di armi convenienti. Nondimeno fino da questo punto dichiaro voi mentitore, e cavaliere sleale, e me pronto a sostenere con lancia, spada, e pugnale, o a piedi o a cavallo, a primo transito, o a tutta oltranza,¹ il Re Manfredi di Svevia, il più virtuoso signore di tutta la Cristianità.»
¹ Modi cavallereschi antichi, equivalenti ai moderni primo sangue, ultimo sangue. Vedi Fausto, del Duello.
«Accetto la sfida, e sostituisco un campione.»
«Si avanzi il campione,» disse Rogiero, traendo la spada; «chi sarà mai costui?»
«Quantunque in cavalleria non sia lecito domandare il nome del cavaliere, voglio non pertanto soddisfarvi: egli è il figlio di Enrico, il nepote di Manfredi.»
«Dov'è egli?»
«In questa stanza.»
«Io non lo vedo…. Sarebbe forse quel vostro compagno silenzioso, che si vanta figliuolo di Enrico?»
«Non egli nasce da tanto illustre lignaggio.»
«Dunque?» disse Rogiero guardandosi intorno.
«Dunque, siete voi stesso.»
«Io nepote dell'Imperatore Federigo!» gridò tutto stupefatto Rogiero, e la spada gli cadeva dalla mano tremante. «Ma perchè….» dopo riprendeva a fatica quasi anelando «ma perchè non palesarmelo innanzi? Perchè, invece di sospettare tanto vilmente del Re Manfredi, non manifestargli l'esser mio? Il tempo ha forse calmato l'odio, se pure il Re lo ha mai sentito pel suo fratello Enrico, ed egli mi avrebbe accolto con quello amore col quale si accolgono i più cari parenti….»
«Il tempo consuma il cuore che odia, ma l'odio…. oh! l'odio non cessa neppure col palpito del cuore.—Egli scende nei sepolcri, ed agita perfino la polvere dei morti. Egli è la sola passione immortale concessa all'anima costretta dentro spoglie mortali. Ma ora non è proposito di odio; si tratta di cruda, fredda, calcolata ambizione.»
Benchè la mente di Rogiero fosse da gran tempo assuefatta a veementi commozioni, pure non potè di tanto sopportare quelle che referimmo senza che la sua testa si smarrisse. Gli si affacciarono agli occhi globi di luce: gli oggetti circostanti parvero volgerglisi attorno; uno indefinibile spossamento gl'invase la persona, e suo malgrado lo costrinse ad abbandonarsi.
L'uomo che gli aveva fin qui favellato stava immobile a riguardarlo, come se dal suo stato angoscioso ricavasse argomento di piacere; ma quegli che era rimasto taciturno, balzò premuroso dalla sedia, lo sostenne cadente, gli fu cortese di ogni soccorso, e quando lo conobbe tornato in sè con voce soffocata gli domandò: «Vi sentite confortato?»
«Oh! non è nulla,» rispose Rogiero «assolutamente nulla:» ed ostentando sicurezza allontanava le braccia di lui; «un breve disordine qui nella mente…. ma ora è tutto passato.»
«Ei mi rifiuta!» Disse, con suono che più che a voce umana rassomigliava al bramito di una fiera, quel silenzioso, e a passi lenti ritornava al suo luogo.
«Rogiero, nostro pensiero, prima di favellarvi, era condurvi presso vostro padre. Veramente sarebbe compassione celarvelo: egli è miserabile avanzo di tal vita, che l'ira e la follia hanno lacerato a vicenda; e questo avanzo adesso sta nel dominio della morte. Pensate dunque qual fiero spettacolo voi dovrete sostenere.—Lo stato di debolezza in che adesso vi scorgo, mi fa grandemente temere per la prova alla quale siete chiamato.—Se non volete subirla, sta in voi. La vista del padre moribondo è più angosciosa di quello che cuore umano possa soffrire.» Tutto questo discorso fu fatto dal primo favellatore, il quale ad ogni periodo si soffermava, quasi per godere della impressione dolorosa che faceva nell'anima di Rogiero.
«Tacete, uomo spietato,» riprese questi: «se le vostre parole sono profferite da voi per gioire del mio affanno, la vostra perfidia non è cosa mortale; se per consolazione dell'anima afflitta, siete il meno destro confortatore di quanti vissero