Alle porte d'Italia. Edmondo De Amicis

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Alle porte d'Italia - Edmondo De Amicis

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perchè lo rimettesse agli sposi quando il matrimonio fosse consumato, o lo restituisse alla famiglia quando il matrimonio andasse a monte. Gli sposini non essendo ancora in età di consumar altro che dei confetti, furono celebrati intanto gli sponsali; e la bimba rimase alla Corte degli Acaja ad aspettare gli anni dell'amore. Come avranno passato quel tempo i due ragazzi? Senza molta impazienza, si può credere. E nessuno gli avrà vigilati, di certo. Si saranno rincorsi mille volte per i viali di questo giardino. Essa avrà parlato del cofanetto miracoloso dell'Abate, egli dei bei puledri che avrebbero fatto caracollare insieme per le vie di Pinerolo, tra pochi anni. Sibilla del Balzo, che era ancor giovane, avrà fatto da mamma alla piccola nuora. Qualche bacio innocente nel collo alla sua ginevrina, Filippo ce l'avrà stampato, qualche volta, in mezzo ai roseti. Si saranno posti affetto l'un l'altro? Si saran bisticciati? Quanti lieti pronostici avran fatto i vassalli striscianti e le dame adulatrici! Ah poveri pronostici d'amore! Amedeo VI cresceva; nel 1347 usciva di pupillo. A che poteva giovare il Conte di Ginevra, scadendo dal suo ufficio di tutore? E allora, perchè il matrimonio? Con un tratto di penna, tutto fu sciolto. La povera sposina fu liberata dalle promesse. Le fecero un involtino delle sue bricciche, le rimisero in mano la scatoletta dei suoi gingilli, e la rimandarono al babbo e alla mamma... com'era venuta. Le cronache non dicono se i due ragazzi abbian singhiozzato separandosi, e maledetto “l'iniqua ragion di Stato.„ Si separaron forse con un sorriso. Ma chi sa che molti anni dopo, quando era sposa di Giovanni di Chalon, signore d'Arlay, udendo la miseranda fine di Filippo d'Acaja, la giovine signora non abbia pensato con tenerezza al suo piccolo fidanzato d'un tempo e lasciato cader una lagrima su quella memoria gentile!

       * * *

      Avevamo visto tutto, e stavamo per uscire, quando s'accese una discussione vivace tra la signorina e l'esattore intorno alla “mitezza„ dei principi d'Acaja. L'esattore peraltro ci metteva una puntina di malignità, e faceva un po' per chiasso. — Infine, saranno stati miti, diceva; ma fatto sta che nel registro dei loro conti c'è segnata di tratto in tratto una somma per l'acquisto d'una corda nuova, pro magna corda de nouo, che non serviva certamente a far all'altalena. Sì, perdonavano molti delitti.... per denaro. Ma quando i colpevoli erano spiantati, facevano torturare e impiccare de bon cuer, come scrive il mite Amedeo, con ortografia principesca. Uno aveva l'auriculam incisam, l'altro il naso deputatum, un terzo la fronte rabescata col ferro calido, un quarto, gli oculos decrepatos; una donna era combusta, nientemeno; un vecchio annegato come un cane; un altro rabellatus, trascinato alla forca per una corda attaccata alla coda d'un'asina comprata da un'ebrea. E per parua furta si contentavano di sbrindellare le cuoia a vergate. Le pare che sia mitezza, signorina? E quell'altra birbonata di tenere sepolti gli ostaggi in una torre, per anni e anni, dei poveri ragazzi astigiani, che ne uscivan mezzo morti? Perchè non facevano l'inferno per liberarli, quelle dolci principesse? — Ebbene, la signorina l'avrebbe fatto l'inferno, ne potevamo andar sicuri; ma quella di dar carico ai Principi dell'atrocità della giustizia punitiva, che era mostruosamente atroce da per tutto, in quel tempo, le faceva alzare le spalle (ammirabili). Conosceva anch'essa il famoso regesto, e sapeva che la mitezza degli Acaja si poteva dimostrare con altre prove. Bisognava vedere, per esempio, in qual maniera punivano le colpe che offendevano soltanto le loro persone. Un Barnabò non si sarebbe contentato di far pagare una piccola multa a chi avesse parlato in pubblico contro il suo onore; Galeazzo avrebbe levato qualcosa di più che pochi fiorini ad una donna che avesse bruciato in chiesa il banco d'una principessa, la vigilia del suo onomastico; nè altri Principi d'allora pagavano alla povera gente, come usavano gli Acaja, i danni fatti dai loro cani e dai loro falconi; no sicuramente. — Andiamo, le concedo questo, — rispose l'esattore; — ma non potrà negare che quella di far dormire le principesse sulla paglia era una vera barbarie. — Tutti gli diedero sulla voce: era un calunniatore. Ma egli addusse la prova, una somma registrata nei conti pro precio unius charrate palearum pro lectis faciendis pro adventu domicelle Bone; Bona principessina, figliuola d'Amedeo.... — Ci avranno dormito tutti sulla paglia, — osservò la signorina. Che! Che! — rispose l'altro trionfante, il dominus dormiva sulla lana. C'è registrato. Lanam materacii ad opus domini. Che mi viene a contare! — E allora tutti risero, e la discussione finì in quella maniera, sul morbido, come non sogliono finire le discussioni con gli esattori.

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      A forza di ricordare e d'immaginare, insomma, uscimmo tutti dal palazzo con la gradita illusione d'aver visto mille meraviglie. Gran bel dono, proprio, quello dell'allucinazione volontaria! Per questo, io potrei dare dei punti a quel caro signor Joyeuse del Nabab, il quale, andando la mattina all'ufficio, si rappresentava così al vivo l'atto del direttore che gli dava una gratificazione di mille lire, e vedeva così nettamente il suo biglietto bianco e i suoi colleghi verdi, che arrivato alla banca, rimaneva ogni mattina stupito e avvilito di non ricever la croce d'un quattrino. Io pure, ritornando verso la villa Accusani, mi raffigurai, e posso dire d'aver visto davvero una stranissima cosa. Mi trovavo sopra un alto ballatoio del palazzo degli Acaja, e vidi sorgere tutt'a un tratto accanto a me i quattro Principi morti, diritti stecchiti nelle loro armature corrose, coi visi consunti e con gli occhi orribilmente infossati sotto le fronti che mostravan l'osso nudo. Si fregaron le palpebre cadenti come destandosi da un altissimo sonno, e s'atteggiarono a un'espressione di stupore indescrivibile, riconoscendo a poco a poco la pianura immensa e i luoghi vicini e lontani dove avevan combattuto durante la loro vita mortale. E si vedevan passare nel loro sguardo lento e girante mille curiosità e mille inquietudini, come se domandassero affollatamente a sè stessi: — Che fu del nostro sangue? Dove sono i nostri nemici? Che cosa avvenne dei Marchesi di Saluzzo e di Monferrato? E le repubbliche d'Asti e di Chieri? E i re di Sicilia? E i Signori di Milano? — Principi! — io gridai allora; e i quattro teschi si voltarono. — Non c'è più Marchesi di Saluzzo, non c'è più Marchesi di Monferrato, non c'è più repubbliche d'Asti e di Chieri, non c'è più dominii piemontesi nè di Re di Sicilia nè di Visconti: fin dove arriva il vostro sguardo, sventola l'insegna della vostra famiglia, splende la croce bianca di Pietro II, vostro progenitore di Savoia. — I loro occhi cavernosi mandarono un lampo, dilatandosi, e si fissarono profondamente ne' miei. — Principi! — ripresi, — quello che appena avreste osato ambire in segreto, nei più audaci sogni della vostra giovinezza, tutta la bella riviera di ponente, e le terre dei Gonzaga, e i possedimenti degli Scaligeri, e i domini degli Estensi, e le quarantadue città di Gian Galeazzo, son raccolte sotto lo scettro dei vostri nipoti, e glorificano il nome della vostra stirpe.... Ascoltatemi! — gridai, frenando col cenno un movimento impetuoso con cui si traevano indietro. — Ciò che non avete mai sognato un istante, nemmeno nei più febbrili delirii della vostra ambizione, nei giorni di battaglia e di trionfo, la città poderosa e superba, che portava il terrore tra i Saraceni, e che voi salutavate con riverenza salpando pel mar di Liguria a tentar la conquista del vostro principato di Grecia; e quella più formidabile e più bella, signora del mar dell'Adria, che avrebbe potuto coprire i vostri domini con le vele distese dei suoi navigli; e quell'altra piena d'oro e di gloria che ammiravate di lontano come un immenso chiarore all'orizzonte, e da cui vi giunsero come echi di un nuovo mondo i nomi immortali di Giotto e di Dante, sono unite sotto il regno del vostro sangue, e portano nella stessa bandiera la croce della vostra Casa!... Ascoltatemi ancora! — gridai con tutte le forze del mio petto, soffocando un'altissima voce che stava per prorompere dalle quattro bocche spalancate e convulse. — Immaginate avverato il sogno d'un pazzo, incominciata l'età dei prodigi, le leggi del mondo sconvolte: tutte le terre soggette ai vicarii di Cristo, da Radicofani a Ceprano, l'Emilia, i possedimenti della duchessa Matilde, Spoleto, tutto quanto è mai stato donato da Re o da popoli a San Pietro e ai suoi successori; e tutto il vasto paradiso sul quale ondeggiò per tant'anni il vessillo temuto di Casa d'Angiò; e tutta la terra splendida e favolosa che sottostette alla spada d'Aragona; tutto, tutto, da un estremo all'altro della penisola enorme, popolata di mille città e armata d'un milione di spade, tutto riconosce e inchina un Re solo, un Umberto di Savoia! — A queste ultime parole i quattro Principi d'Acaja rimasero un momento immobili e muti, girando intorno i loro grandi occhi insensati; poi barcollarono come percossi da una mazza ferrata sul cranio, e stramazzarono riversi tutti insieme nell'oscurità del sepolcro.

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