Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi. Francesco Domenico Guerrazzi

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Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - Francesco Domenico Guerrazzi

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      Intorno a questo particolare rispondo, che di rado il signore Montanelli mi partecipava gli atti del suo Ministero, ed io immaginando che li concertasse col Principe, taceva; ond'ebbi a maravigliarmi non poco certo giorno, che S. A. mi domandava, che cosa vi fosse di nuovo. Alla quale domanda risposi: «Chi meglio informato di V. A., che avrà ricevuto in giornata le partecipazioni del Ministro degli Esteri?» Ed egli a me: «Io non so nulla; mi si fanno mancare le necessarie notizie.» Mi permisi rispettosamente osservargli, che di me non poteva lamentarsi, perchè non mancavo di giorno in giorno tenerlo informato di tutto, anzi pure di ora in ora così di giorno come di notte, quando ce n'era il bisogno; in quanto agli altri Ministri avrei provveduto; ed infatti tornato allo Uffizio, mi dolsi col sig. Montanelli, che tanta poca diligenza ponesse a compire non pure un riguardo verso persona tanto autorevole, ma un dovere costituzionale verso il Capo dello Stato. Queste lettere, questi trattati a cui accenna l'Accusa, io non conosco; non mi furono esibiti; ignoro qual carattere rivestano; non sono chiamato a rispondere di loro.

      Con questa riserva esaminandoli, osservo che egli spediva lo Incaricato segreto quando già il Papa si era allontanato, e quando le cose romane versavano manifestamente alla Repubblica, onde impedire che questa fiamma in paese confinante si accendesse e su noi si avventasse, procurare che aderisse a Governo ordinato, promuovere, in qualunque vicenda (e tutte erano temibili o sperabili allora), gl'interessi del Principe nostro colà; frattanto nè di principato, nè di repubblica si favellasse. Se io non isbaglio, mi sembra che il Montanelli in questo modo operando, mettesse in pratica lo ammaestramento del sommo Politico, che nelle improvvise e non riparabili fortune, il meglio è, potendo, aspettare: da cosa nasce cosa, e tempo la governa. Ed anche acconsentendo che il Montanelli si affaticasse in prevenzione a volgere a pro del suo paese lo esito probabile di cotesti tramutamenti, io non so come e in che lo si voglia incolpare.

      Nel volume dei Documenti, a pag. 543, trovo lettera particolare del sig. Montanelli al conte Bargagli Ministro Toscano a Roma: «Se Roma convoca immediatamente la Costituente, e vota la Presidenza di Leopoldo, noi avremo ottenuto un doppio effetto: 1º Fusione dei due Stati dell'Italia Centrale. 2º Centro italiano, al quale il Piemonte e certo anche Napoli dovranno concorrere.» (28 novembre 1848.) — Più sotto, a pag. 544: «Colla Costituente sarebbe tutto rimediato (ogni padre ama i suoi figliuoli).... I Repubblicani non farebbero colpi di mano. Gli Albertiani sarebbero temperati nelle loro ambizioni dinastiche ecc.» (Senza data.) — «Tocca agli Stati a decidere se convenga meglio Deputati con mandato senza limiti o con limiti.» (pag. 545). — «Sebbene, qual è stata proclamata, la Costituente romana non sia d'accordo con quella proposta in Toscana, pur non ostante è sentita la necessità di astenerci da tutto ciò che può essere causa di discordia, e l'adesione Toscana, alla Costituente non mancherà.» (Senza data.) — «Sterbini...... assentì molto volentieri, che la Costituente fosse proclamata a Roma sotto la Presidenza di Leopoldo Secondo.» (Rapporto di La Cecilia del 30 novembre 1848, pag. 547.) — Di qui scendono le conseguenze: 1º Che Montanelli trattava comporre uno Stato della Italia Centrale, che servisse nelle prevedibili eventualità di equilibrio fra Napoli e Torino. 2º Che si adoperava a prevenire la Repubblica. 3º Che s'ingegnava di comporlo a benefizio di Leopoldo II. Io comprendo ottimamente che al Governo Pontificio questo possa e debba riuscire amarissimo; ma in che, e come possa essere argomento di crimenlese di faccia alla Toscana, io non veggo. E neppure mi persuado in che guisa questi trattati offendano la pietà cristiana del signor Montanelli. — Carlo V imperatore teneva imprigionato il papa Clemente VII in Castel S. Angiolo, e faceva nei suoi Stati esporre il SS. per lui; di più, egli fu persecutore acerrimo della Riforma Luterana, e morì santamente da frate nel convento di S. Giusto. Nè tacciarono il Bossuet di empietà per avere composto nel 1682 gli articoli della Libertà della Chiesa gallicana sotto Luigi XIV; nè empio chiamarono Napoleone quando elesse suo figlio Re di Roma. Chi conosce le conferenze dei trattati di Vienna, sa come i sovrani più religiosi e cattolici stessero per tôrre al Pontefice lo Stato, il quale gli fu salvo mercè la destrezza del cardinale Consalvi, e l'appoggio della Inghilterra, ma non sì che in qualche parte non gli venisse tarpato.

      La premura del sig. Montanelli per impedire la limitazione del mandato dei Deputati alla Costituente, sia intorno alle cose, sia intorno alle persone, era conseguenza del suo Programma accettato dalla Corona come condizione del Ministero; ma non si opponeva che gli altri Stati conferissero mandato limitato; nè ricusava aderire alla Costituente comunque fosse. Qui non vi è delitto; o se vi fosse, sarebbe delitto da essere accusato dalla Camera dei Deputati, giudicato dai Senatori; ma nè Deputati accuserebbero, nè Senatori giudicherebbero, però che essi alla unanimità votassero la Legge della Costituente. Strano suona poi lo addebito al Montanelli di avere difeso energicamente il suo progetto, avvegnadio pei Ministri Costituzionali questo è dovere, come quello delle Camere, se non piace, disapprovarlo con le orazioni, rigettarlo co' voti, e costringere il Ministero a ritirarsi; nè gioverebbe punto la violenza (comodo arnese in mano dell'Accusa, la quale per iscusare i fatti altrui, lo ha sempre in pronto; per iscusare i miei, o non lo crede, o lo pretende provato luminosamente), dacchè vedremo in breve i Deputati stessi attestare averla votata spontanei, e i Senatori poi non venissero neppure disturbati dagli schiamazzi delle tribune.

      Secondariamente, l'Accusa s'ingegna cercare un nesso relativo fra le dimostrazioni del Circolo e la presentazione della Legge della Costituente; ma insinuazioni siffatte cadono, quante volte tu consideri, che la Costituente formando la sostanza del Programma ministeriale, il Montanelli, senza mestiero pretesti e senza sollecitazioni, doveva proporla, difenderla, vincere, o ritirarsi.[118]

       Aggruppare intorno al Ministero le intemperanze, e di straforo perfino le stragi, condirle di benevole insinuazioni d'inerzia, o di complicità, e allacciarle con i suoi atti, come se tutto cotesto turpe, stolto, e insidioso mosaico fosse fattura ministeriale, non è ufficio da Giudici. L'Accusa intemperantissima, penetrando con le sue supposizioni fin dentro le secrete stanze dei Consigli del Principe, mi costringe a rivelare le consulte. Se davanti le Camere fossi stato interpellato intorno a siffatte materie, io, seguitando le tradizioni costituzionali, mi sarei schermito da rispondere senza previa facoltà della Corona: ma qui si tratta di Accusa, qui si tratta di Accusatore che mi muove incontro co' ferri arroventati; egli è pel diritto chiamato moderamen inculpatæ tutelæ, che mi devo difendere; ed io potrei consentire tacendo alla offesa della persona, ma a quella della fama non mai.[119]

      Da parecchi giorni il signor Montanelli aveva presentato il Decreto della Costituente alla firma del Principe, e questi andava differendo a restituirglielo. La trattativa di questo negozio, come di cosa a lui spettante, aveva assunto sopra di sè il sig. Presidente; solo ci dichiarava la sua dimissione sicura, là dove il Principe non gli avesse firmato il progetto. Certo giorno, il Presidente si recò per questo motivo al regio palazzo, ma anche allora egli ebbe a partirsi sconclusionato, chè il Principe lo rimandò ordinandogli gl'inviasse il Ministro dello Interno; io pure per negozii del mio ufficio ero andato a Pitti, e il Principe si restrinse immediatamente meco a consulta. — Ecco le considerazioni, che sottoposi al giudizio della Corona: «Piemonte è in guerra con Austria; nè deve supporsi che lo armistizio si converta in pace, perchè a romperlo lo persuaderanno il dolore della sconfitta, il cruciare della vendetta, l'antica cupidità dello acquisto, tanto più intensa adesso in quanto per un momento appagata, il desiderio di gloria, la irresistibile violenza delle cose; e questa forza avrebbe strascinato anche noi, quantunque, discorrendo strettamente degl'interessi della Toscana, questi ci consigliassero a posare; poco il nostro soccorso a vincere, e troppo per provocare lo sdegno del nemico; pericolosa forse la vittoria piemontese, esiziale certamente la perdita. Due essere naturali vicende della impresa contro Austria, vincere o perdere. Vincendo Piemonte, venivamo ad acquistare per confinante uno Stato di 10 milioni di uomini all'incirca, orgoglioso per vittoria, e intento sempre a dilatarsi; noi piccoli, deboli e senza frontiere difendibili dalla parte del Piemonte. Ora non era da supporsi, che Piemonte, in mezzo alla petulanza compagna ordinaria della buona fortuna, si mostrasse più temperato verso di noi di quello che fosse prima di vincere. Invero, avemmo a provare dalla parte di cotesto Regno una lotta difficile, per cagione dei confini; voleva tôrci l'Avenza, la quale perduta, era forza le tenesse dietro Carrara; e se

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