Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi. Francesco Domenico Guerrazzi

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se a sostegno o a rovina del Paese, è diversa ricerca: nessuno si opponeva; i dissidenti vi erano, ma non avevano coraggio di fiatare; anzi si spenzolavano, smaniosi più degli altri, a proclamare la Repubblica; mani e piedi pestavano per volerla, e subito: per poco me non accusavano di traditore opponendomi ai legittimi voti del Popolo, al desiderio eterno riposto nell'intimo del loro cuore repubblicano. Io contemplava la nuova viltà, e sorrideva. Udite un po' come si esprimeva il Conciliatore del 28 febbraio 1849: «Che cosa possiamo sperare da coloro che s'inchinano a tutti i poteri, che stancarono le anticamere delle Corti e dei Ministeri, e che oggi proclamano svisceratissimi la Repubblica? O Libertà.... quando il tuo culto era proscritto, tu conoscevi a nome i tuoi addetti; oggi, che hai altari su le piazze e su i trivii, anche i tuoi più crudeli ed antichi nemici ti portano pubbliche offerte fra le acclamazioni delle immemori turbe.» Non ti pare quasi sentire un lamento del Conciliatore che altri gli abbia vinta la mano, e possa essere reputato più amante della Repubblica di lui? Bassa voglia poi sarebbe indicare chi questi svisceratissimi della Repubblica si fossero: la morale pubblica ne scapiterebbe; e poi picchiandosi il petto, essi si confessarono pentiti e dichiararono di non peccare mai più.... fino alla prima occasione. Io non mi prevalsi nè della ebbrezza, nè del furore, nè della pazienza, nè della viltà. Eletto tutore del Popolo, e consapevole dei suoi veri desiderii, mi sarebbe parso fare opera di ladro, che carpisce la firma ad una cambiale dall'uomo preso dal vino, sospingendolo al Partito della Repubblica. I Repubblicani in questo fanno appunto consistere la mia colpa; io la mia probità. A me piace proporre al Popolo, dopo pranzo, le risoluzioni ch'egli confermerà anche la mattina a digiuno: perfida mi è parsa sempre la dottrina di mettere a repentaglio così moltitudini, come individui: più tardi, risensati, lacerano lo ingannatore, ne maledicono la fama. Io di altri Popoli nè so, nè parlo; ma affermo, che non ostante la ebbrezza e il furore di molti, gli eccitamenti interni ed esterni, la viltà e la pazienza, — la grande maggioranza dei Toscani, finchè vissi nel mondo politico, non era repubblicana; il Partito compariva, più che non bisognava, gagliardo a violentare e a distruggere, ma per creare cosa durevole, non sarebbe bastato. Questa gente, infervorata nella sua idea, non vuole comprendere come con uomini, che al vedere bandiere, udire tamburi, gridi e simili altre diavolerie, guardano trasognati, poi si ritirano in casa chiudendo le finestre, non si può creare Repubbliche. La grandissima maggioranza delle persone educate in Toscana, stando al Ministero e prima, conobbi appassionata delle vere libertà costituzionali, e non delle bugiarde che si gittano alle genti come un osso da rodere, e poi non si vogliono o non si possono mantenere; agli altri, in ispecie ai campagnuoli, bisognava dare ad intendere la Libertà come la dottrina cristiana. Io certa volta dissi alla Corona, che il Governo doveva essere educatore di libertà in Toscana, e mi parve dire bene; se i tempi sono mutati dopo due e più anni di carcere, non so, nè m'importa conoscere; ma allora era così. Intanto i Repubblicani mi regalano il titolo di stolto, e sarò; mi basta quello di onesto: ma quello che parrà più strano a credersi, si è che mentre i miei Giudici mi tengono in prigione per avere cospirato contro il Principato, e promossa la Repubblica, i Repubblicani protestano che mi ci avrebbero messo eglino medesimi, per averla attraversata: «La Repubblica Romana era divenuta per esso come uno spino, e quello spino vie più gli era infesto, allorchè gli si parlava di Unione.»[197] E poco oltre, a pagina 174, così si esprime il signor Rusconi: «Una Commissione fu istituita, che disse governare in nome del Principe, e gli amici del Principato toscano cominciarono dal retribuire Guerrazzi dei servigi fatti loro, con quella carcere che da tutti altri che da essi avrebbe dovuto meritare

      Sicchè, a quanto pare, non ci è rimedio; io nacqui proprio nel mondo sotto la costellazione della prigione!!! — Pericula in mare, pericula in terra, — diceva S. Paolo.

      Sembra pertanto che io non avessi motivo alcuno a sovvertire il Principato Costituzionale; all'opposto lo avessi grandissimo a mantenerlo.

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