Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi. Francesco Domenico Guerrazzi
Чтение книги онлайн.
Читать онлайн книгу Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - Francesco Domenico Guerrazzi страница 52
I Giudici e l'Accusa non hanno avuto occhi per leggere la risposta, che di mia commissione mandava il Segretario del Governo Chiarini al sig. Poggi, custode del Palazzo della Crocetta, il quale mi avvisava come una mano d'individui, nel 23 marzo 1849, minacciasse convertire cotesto Palazzo in Quartieri, e lo annesso giardino ridurre a orto, per seminarvi carote, cavoli e patate ad uso delle milizie.
«Sig. Poggi. Sono incaricato dal Governo Esecutivo di rispondere alla sua del 23 spirante. Avanti tutto le faccio sapere che le di lei osservazioni, in essa manifestate, sono ritrovate non giuste, ma giustissime. Nel tempo stesso rendo a sua piena cognizione, che il Governo mai ebbe in animo di ridurre il Palazzo della Crocetta ad uso di Quartieri, nè per ora soggetto a nessuna innovazione. Il Governo conosce benissimo le convenienze, e molto più sa rispettare le opere di Arte: mai è stato vandalo. Si rassicuri, caro sig. Poggi; usi il solito attaccamento alle cose affidatele, e vada persuaso che comunque girino gli eventi, i galantuomini sono sempre rispettati, e riveriti.» (Così allora credevo.) «Se il Governo non ha potuto in tutto e per tutto ostare alle esorbitanze e agli arbitrii dei molti intemperanti, non è stato suo volere, ma sola mancanza di cooperazione, e di forza. Dove non è ordine, non è legge. Però mai sotto il suo Governo (cioè del Guerrazzi) saranno compiti atti di violenza, nè contro le cose, nè contro le persone, di qualunque condizione si sieno.[193]»
A me da tempo remotissimo era noto il signor Poggi, che fu amico di mio padre, e sovente me lo era venuto ricordando con affetto, sicchè quando lo rividi, lo accolsi come conoscenza antica: però questa lettera, oltre lo scopo pel quale adesso è citata, giova maravigliosamente a provare quante esorbitanze avessi a subire, e a quante, con mio sommo dolore, non mi trovai capace di riparare per difetto di forza e di sussidio!
I Giudici non trovano parola di lode alla discretezza mia di fare apporre sigilli al gabinetto particolare di S. A., onde le sue carte non andassero rovistate; nessuna pel Proclama scritto da me nella notte dell'8 al 9, e pubblicato nel Monitore del 9 con la data dell'8, dove s'incontrano le parole: «Custodi per volere del Popolo della civiltà, della probità, della giustizia, noi siamo determinati a reprimere acerbamente le inique mene dei violenti e dei retrogradi;» nessuna alla perigliosa minaccia da me diretta al Niccolini e alla turba seguace, che intendeva irrompere nel Palazzo Corsini, e trambustarlo da cima in fondo, per trarne un supposto tesoro appartenente a S. A., di che eglino erano (come asserivano) informati da un servo di casa. I Giudici lodano il Prefetto Guidi Rontani, per avere fatto abbattere gli alberi nella corte del Liceo Imperiale; e me, che davanti le moltitudini affollate ostai al piantare dell'albero sopra la piazza, non ricordano nemmeno. Che più! quello che in altrui dai Giudici si scusa, in me s'incolpa: così si approva il medesimo Prefetto per avere fatto remuovere i granducali stemmi a scanso di oltraggi plebei; io poi che condotto dagli stessi motivi trasmettevo ordini uguali, al parere dei Giudici commettevo delitto. Dovevo io sopportare che si rinnuovasse la turpitudine di vederli da Fiesole strascinati a Firenze?[194]
XVIII.
Cause di delinquere.
Toccai sopra di quanta importanza sia investigare le cause per le quali l'uomo può essersi diretto ad agire, imperciocchè ogni atto che si parte da mente supposta sana, se manchi di causa proporzionata e razionale, deve per necessità ritenersi involontario o costretto; i Giuristi dicono: non informato da dolo. Qui vuolsi considerare come due motivi soli potessero persuadermi a cospirare per la rivoluzione; o personali od opinativi. Personali sono, cupidigia di averi e di onorificenze. Quanto io fossi vago di pecunia lo mostrai, quando abbandonati floridissimi negozii, consentii a tenere tale carica di cui l'onorario bastava alla metà sola delle spese del dignitoso vivere di mia famiglia, e mio. Scrittori no, ma arpie, di cui instituto è contaminare tutto quello che toccano, non mancarono appormi cupido ingegno, anzi avaro. I libri della mia domestica economia ricercati, dimostrarono quanto sia poca cosa la mia sostanza, quali le vie per acquistarla, quali le spese, e i motivi delle spese. Se coloro che scrivono facessero studio di onestà come e' professano, porrebbero cura a bene informarsi prima di asserire cosa che leda la estimazione altrui; nè a sfuggire la taccia bruttissima di calunniosi, può loro giovare punto la protesta di ritrattarsi subito che venga dimostrato lo errore in cui sono caduti, avvegnadio non si comprenda con quale autorità essi citino al proprio tribunale uomini dabbene, per colpe che mai non furono, tranne nella loro matta fantasia; tribunale per di più spregevole, come quello che già si mostrò o leggiero o maligno; — e finalmente domando io che cosa si penserebbe di un uomo il quale ti dicesse: lascia che io ti ferisca, nè richiamarti che io ti faccia torto, perchè tengo in pronto balsamo e fila per medicarti la piaga? Tali sono quei moderati scrittori, che dopo averti calunniato si protestano dispostissimi a ritrattarsi. Ipocriti! Il vostro dovere è quello di bene esaminare prima di gittare la pietra; e di coteste ipocrisie oggimai logoro è il conio.[195]
In quanto a vaghezza di onori, io prego prima di tutto di non attribuire a immodestia quanto sono per dire. Io veramente non credo che ad acquistarmi un po' di fama nel mio paese, mi abbisognasse la carica ministeriale; nè per uomo travagliato da libidine di ambizione può bastare il Ministero Toscano, di cui la fatica è pari a qualunque Ministero del mondo, superiori le ansietà perchè ogni acqua ci bagna, e ogni vento ci muove; infinitamente minore la fama. — Ma via, posto che questa febbre ambiziosa mi fosse caduta addosso, o non doveva essere sazia con la promozione alla carica di Ministro, e forse, in breve, a quella di Presidente del Consiglio? Lo intento che aveva potuto proporsi il mio cuore era già conseguito, e consisteva nel fare palese, col perdono, con la tutela, col beneficio di coloro che non pure mi erano proceduti avversi, ma nemici, quanto io fossi diverso da quello che mi avevano dipinto. E se dico questo, non faccio per rimbrottarlo, no, — o per suscitare memorie oggimai date all'oblio; io lo faccio costretto a difendermi, perchè la mia vita non è stata altro che affanno; — compatitemi, e non rimettete della vostra benevolenza che mi ridonaste. Continuiamo amici, dacchè siamo miseri assai. Intanto corse un grido che diceva: «Chiunque vuole aver bene dal Guerrazzi, bisogna che gli faccia del male.» Esagerava questo, ma la esagerazione stessa prova la verità delle cose. Possano dunque le ambizioni altrui proporsi sempre uno scopo non diverso dal mio!
Forse, avvertirà l'Accusa sottilissima, v'increbbe il Governo Costituzionale, perchè vedeste durarvi instabili i Ministeri. Certo, i Ministeri vi sono instabili e pericolosi, ma nelle Repubbliche appaiono instabilissimi e pericolosissimi; sicchè il sospetto non ha luogo. Ma l'Accusa insisterà dicendo: Forse vi prese cupidità di più alto seggio. — Vennero da Roma, una volta, deputazione di uomini distinti per natali e per condizione, ed un'altra, di messi speciali nelle ore più tarde della notte, a offerirmi carica suprema, ed io la rifiutai; e prova di quanto affermo occorre nel Decreto proposto dal Principe C. G. Bonaparte all'Assemblea della Repubblica Romana, che suona così:
«Visto che il Popolo tanto della Toscana quanto della Repubblica Romana, hanno più che bastantemente dimostrato che vogliono la unificazione sotto un regime repubblicano; l'Assemblea sovrana della Repubblica Romana:
«1º Invita i 120 Deputati, componenti la Costituente Toscana, a venire a sedere fra noi per formare la Costituente della Repubblica della Italia Centrale.
«2º Offre al Guerrazzi un seggio nel Triumvirato della Repubblica complessiva ec.»[196]
Dunque nè anche la supposta cupidità mi mosse.