Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi. Francesco Domenico Guerrazzi
Чтение книги онлайн.
Читать онлайн книгу Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - Francesco Domenico Guerrazzi страница 49
Ora, può egli ritenersi in coscienza che io col Niccolini e co' suoi compagni mi fossi indettato? È egli vero o no che la Seduta dell'8 febbraio ebbe due periodi, procellosissimo il primo, per mia virtù composto, il secondo tranquillo? I miei conati furono diretti a esporre i miei Colleghi alla violenza, o non piuttosto a confortarli e metterli in condizione di opporsi alla furia irrompente del Popolo? Alla discussione pose termine il tumulto, o veramente il consiglio gravissimo di non lasciare il Popolo senza freno, ed il timore, ch'egli, riputandosi sciolto da qualunque governo, non precipitasse in enormezze contro le proprietà e le vite dei cittadini? Chi dirà che i Deputati furono costretti a votare, se molti ebbero facoltà di uscire, dei quali taluno tornava e tale altro no? Chi dirà i Deputati costretti a votare, se la volontà del Popolo era che non votassero, e dalla sala partissero? Chi dirà i Deputati costretti, se alcuni protestarono votare come semplici cittadini, e tali altri si astennero? Chi si assume il tristo diritto di deturpare, alla faccia del mondo, nomi chiarissimi e strascinarli nel fango come di uomini senza fede, sostenendo che mentirono quando ultronei dichiararono di dare il voto con intero e libero suffragio, e non volere disertare la causa pubblica neanche sotto lo impero della forza, e intendere far prova di freddo coraggio? Come può con pudore affermarsi che le attribuzioni del Governo Provvisorio dall'Assemblea s'intendessero limitate, quando non si volle appunto con limiti importuni imbarazzarlo, quando gli concessero libertà pienissima, quando di riporsi affatto nelle sue braccia protestarono? Come, che non gli si commettesse di consultare il Paese col suffragio universale, quando si legge che politicamente fu eletto appunto per questo? — Quanti foste presenti allora, benevoli o malevoli, venite e attestate con la mano sul cuore, se, il Paese stava o no in procinto di sobbissare: attestate s'era pericolo raccattare il Potere caduto in piazza, e se fu merito contenere le turbe furibonde! Attestate se pochi cenciosi fanciulli vi spaventarono, oppure moltitudini imperversanti e diverse! Dite, onesti colleghi: è vero o no, che temendo la ultima ora venuta della società, mi prendeste a mezza vita e mi gettaste in piazza dicendomi: «salvaci o muori?»
Havvi tale che suppone tutti i miei sforzi tendessero a circondare la violenza popolana con sembianze di legalità. Questa supposizione, comecchè ispirata da sensi a me punto benigni, è vera. Il Popolo era padrone quel giorno; ora, se da lui solo muoveva la elezione del Governo Provvisorio, questo avrebbe dovuto, per necessità, eseguire in tutto e per tutto il plebiscito decretato sotto le Loggie dell'Orgagna, e la rivoluzione si compiva. All'opposto, il Governo Provvisorio, appoggiandosi ad altra origine, e sopra un altro mandato fondandosi, non ristretto al Popolo fiorentino, ma esteso a tutta Toscana, rappresentata dai suoi Deputati, creava lo impedimento giuridico di sottostare al plebiscito. Più tardi vedremo i pubblicisti della rivoluzione sostenere acremente questo tema, e il Governo, opponendogli sempre la doppia origine e il mandato della Rappresentanza Nazionale, dichiarare che niente dovesse innovarsi senza il consenso di tutto il Paese. — La Costituente salvò la Toscana dalla Repubblica, o, a meglio dire, dalla Demagogia.
Ogni altro concetto a chiara prova è assurdo, e dimostra stupido e bieco ingegno tanto in cui lo esprime quanto in chi lo crede, o piuttosto finge di crederlo. Invero, dove non fosse stato pel fine poi oltre avvertito, da quando in qua la rivoluzione, che consiste nel sovvertimento delle forme legali, implora il battesimo della legalità? La rivoluzione nasce dalla forza, e in quella si appoggia. Se la forza si mantiene per essa, dura, e si costituisce una legalità nuova; o la forza l'abbandona, e allora, che le giovano non solo le forme più o meno legali di cui seppe circondarsi, ma le promesse eziandio, le convenzioni e i trattati? La rivoluzione dal conservare tutte o parte le istituzioni che ha osteggiato, tutti o parte gli ufficiali del Governo caduto, non ricava forza; all'opposto debolezza, e questo è facile ad intendersi.
Il Decreto del 10 giugno 1850 affermava che io mi condussi ad arringare: osservai, ch'egli era il bel sollazzo davvero buttarsi là, per le angustie di scale lunghissime, in mezzo alla folla imperversata, la quale, se nemica, ti opprime per odio; se amica, ti soffoca per tenerezza. Il nuovo Decreto e l'Atto di Accusa si compiacquero introdurre nella storia una lieve variante: non mi condussi, ma vi fui condotto. Ma perchè non dire a dirittura il vero, che vi fui portato? O che fa tanta paura il vero ai Giudici miei? Perchè non rammentare, che intimato a scendere in piazza recusai apertamente? Tanto sagaci i Giudici, perchè non avvertirono che il Popolo a me solo appellava? Nè anche notarono, che una seconda mano di Popolo, troppo più numerosa della prima, venne per istrascinarmi in piazza? Perchè sfuggì loro, come alla forza fisica si aggiungesse la forza morale dei Colleghi, e segnatamente quella del Vice-Presidente Zannetti, che acceso, come sempre, di amore pel pubblico bene, con fervorose parole scongiurava andassi, e alla pericolante società con ogni supremo sforzo sovvenissi?
Esposta la storia della Seduta come resulta dal Monitore, e com'è vera, a che montano le inesattezze, gli artificii e le insinuazioni nemiche dell'Accusa? — Quello che avevamo a pubblicare a tutti non potevamo comunicare segretamente. Con noi, in qualità di Ministri, non v'erano misure da prendere, perchè, pel fatto dell'assenza del Principe, cessavamo dal Ministero. Più ancora: il Parlamento, se si sentiva capace a provvedere, non aveva mestieri affatto del Ministero nè giuridicamente nè materialmente. Il segreto, impossibile e forse fatale. Popolo, ora composto di ragazzi, di cenciosi e di poca plebaglia; ora minaccioso, fremente, operante irresistibile violenza; ma prima composto e poco; poi nelle Camere si estende e costringe; la quale contradizione grossolana è così apparecchiata a modo di fantasmagoria con fine sinistro, ed è questo: le milizie non si mossero a reprimere, perchè, ordinate contro la vera e propria sommossa, non ravvisarono siffatto carattere nella scarsa, cenciosa e ben composta plebaglia che si condusse a deliberare il suo plebiscito sotto le Logge dell'Orgagna; ma quel medesimo Popolo come uscito fuori del sacco del prestigiatore giganteggia dentro la Camera per giustificare la violenza fatta ai Deputati: però vi era da calafatare un'altra fessura, e per questa trapela l'acqua nella barca storica dell'Accusa, così che minaccia passare per occhio; invero, se poca, di ragazzi e cenciosa era la turba, tanto doveva riuscire più agevole alla Guardia Civica repulsarla dalla Camera. Le pretese minaccie di morte a cui fra i Deputati si assentasse, non impedirono che molti partissero incolumi, e taluno non ritornasse. La discussione vi fu, e obiettiva, non terminata da violenza popolare, ma per volontà dei Deputati pensosi non tanto del Popolo presente, quanto del Popolo rimasto senza freno a imperversare per la città. Al Governo Provvisorio furono date amplissime le facoltà di provvedere alla salute della Patria, e per convocare i comizii, onde il Paese sopra le sue sorti si consultasse. Se in quel giorno, e nei successivi, e sempre, il partito d'interpellare il consenso universale alla prepotente violenza della fazione non si opponeva, io vorrei che mi dicesse l'Accusa che cosa mai avrebbe saputo ella opporre? Il mio detto, che non temevo del Popolo, riportato con tanta ostentazione, che cosa poteva significare se non che fiducia che il Popolo non trascorresse a iniqui fatti; fiducia, che, onorandolo, giovasse a confortarlo e a persuaderlo di frenarsi? Forse egli importa che l'atteggiamento del Popolo non fosse pauroso, o forse, che sempre uguali si mantenessero le condizioni dell'animo mio? Riguardo allo avere accettato favellerò fra poco.
Intanto giovi riportare la opinione di un Giornale a me infestissimo, organo del Partito avverso al mio Ministero, la quale varrà a chiarire come i Deputati, senza la spinta del Popolo, avrebbero eletto un Governo Provvisorio:
«La fuga del Capo dello Stato e la dimissione del suo Ministero, alteravano sostanzialmente la economia del Governo Costituzionale, e imponevano la necessità alle Assemblee legislative di provvedere per qualche modo straordinario ed eccezionale al reggimento dello Stato. Questa necessità era nella mente di tutti; e dove il Circolo politico non avesse invasa l'Assemblea ed imposto il suo voto, il Consiglio avrebbe deliberato un Governo Provvisorio.[185]»
Ma via, sopra tutto questo diamo di spugna; — frego, e da capo. Immagini l'Accusa di essere a sua volta tradotta davanti un Tribunale (e non deve riuscirle a immaginarlo difficile, imperciocchè al cospetto della coscienza pubblica ella stia quanto me, e forse più di me), e risponda. Se l'uomo che ora è segno a scellerata ingratitudine, nel giorno ottavo di febbraio 1849 non aveva cuore per voi altri tutti, che cosa sarebbe accaduto