Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi. Francesco Domenico Guerrazzi

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Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - Francesco Domenico Guerrazzi

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scioglimento delle Camere.

      Ora qui, da chiunque goda del bene dello intelletto, o per istudio infelice di parte non chiuda gli orecchi alla coscienza, o per turpe consiglio, o per altra qualunque più malnata passione non rinneghi il vero, sarà agevolmente concesso, che se Niccolini ed io andavamo d'accordo non ci potevamo intendere di peggio, conciossiachè Niccolini pretendesse la Camera sciolta; io mi sforzassi a tenerla unita: Niccolini il Principe decaduto proclamasse; io cotesto plebiscito deludessi: Niccolini sovrani i Decreti del Popolo in piazza a sostenere si ostinasse; io a dire che nessuno, tranne la Camera, avesse diritto di proclamare leggi persistessi: per lui decadenza del Principe, e reggimento mutato fossero fatti compíti, e non vi fosse più luogo a deliberare: per me tutto da farsi, e l'Assemblea a risolvere liberissima: il Popolo di scendere in piazza m'imponesse; io dichiarassi non mi volere muovere dall'Assemblea.

      Credo che non mi rifiuteranno fede gli onesti, quando dico che, ordinariamente di salute mal fermo, adesso per la veglia durata e le angoscie dell'animo, io mi sentissi prossimo a mancare; pure non volli rimanermi da profferire parole le quali indicassero come per me veruna cosa fosse ancora decisa, e tutto rimanesse a deliberare, vituperassero i tristi, minacciassero gli audaci.

      «Da questo momento i Ministri cessano essere Ministri di Leopoldo II, e divengono semplici cittadini. L'Assemblea e il Popolo deliberino il resto. Frattanto abbiamo spedito in tutte le parti della Toscana; abbiamo preso provvedimenti necessarii affinchè un Governo immediato, pronto e vigoroso, possa erigersi per reprimere i disordini che potessero insorgere così per le fazioni infami dei retrogradi, come per le fazioni non meno infami degli anarchici.[184]»

      Queste ultime parole erano per quattro quinti dirette alle persone che mi stavano davanti. Errano le carte dell'Accusa (e vorrei credere per inavvertenza) quando affermano che Niccolini intimasse alla Camera di aderire alla nomina del Popolo, però che egli mai disse questo. Il suo concetto era troppo bene disegnato diversamente: egli pretendeva decaduto il Principe a cagione della sua partenza, il Popolo padrone di disporre di sè, ed in fatti disporre sciogliendo tutti i poteri costituiti, e nominando un Governo Provvisorio. Niccolini, latore degli ordini popolari, non poteva fare contro al mandato contenuto nel Decreto del Popolo, che l'Accusa male finge ignorare.

      Quando per le mie parole Niccolini tacque, incominciò veramente la discussione. La stessa Accusa dichiara, ed io mi maraviglio come questa confessione le sia caduta dalla bocca, che io solo riuscii a far tacere il Niccolini (§ 77).

      Io ho sostenuto, che i Deputati potevano uscire, e usciti non tornare, perchè invero molti uscirono, e parecchi non tornarono, e perchè Niccolini latore degli ordini popolari intimava sciolte le Camere. Dicono che vi furono alcune minaccie di morte, e vi saranno state, ma scarse, e rade così che io non le udii; comunque sia ciò, non toglie efficacia alla mia osservazione, confermata dal fatto dei molti Deputati usciti incolumi dalla sala, e dallo essere andati immuni da offesa tutti coloro cui non piacque tornare. Il Decreto del 10 giugno parlava sempre dell'assenza del Presidente, taceva quella dei molti Deputati. Se il Presidente tornava, lo faceva coartato dalla minaccia della guerra civile, ed anche qui dei Deputati persistenti a rimanere lontani non si profferiva parola, e ciò a bella posta, perchè non si voleva credere che la minaccia della guerra civile non fu coartazione, ma presagio al quale rimasero indifferenti tutti coloro che vollero, e che i pertinaci a stare fuora non corsero danno o pericolo di sorta alcuna.

      Invano si nega; se violenza avvenne, e' fu per cacciar via i Deputati, non già per ritenerli.

      Dopo che, ridotto al silenzio il Niccolini, s'incominciò la discussione, Cosimo Vanni Presidente con molto grave sentenza impegnava il nazionale orgoglio, affinchè la turba raccolta tacesse, e lasciasse «tranquilli in cotesto luogo i Rappresentanti del Popolo a deliberare quello che deva farsi in così grave e solenne circostanza.»

      Il Monitore, il processo verbale della Seduta, non notano che d'ora in poi il Popolo interrompesse. La storia della Seduta raccolta dagli stenografi, e compilata dai segretarii presenti, deve preferirsi a reminiscenze talora inesatte, qualche volta sleali.

      Questi Documenti diranno come il Popolo due sole volte disapprovasse il signor Viviani, Deputato di molto seguito, e tutti gli oratori, compreso il signor Corsini, applaudisse. Io non apersi più bocca; assai e troppo l'avevo aperta per mettere in compromesso la mia sicurezza; e quando avessi voluto, non lo avrei potuto, tanto mi sentiva rifinito di forze.

      Il Deputato Socci fa la proposta che venga eletto un Governo Provvisorio, nel modo che domanda il Popolo di Firenze. Il Deputato Trinci censura il Popolo per avere preoccupato il voto della Camera venendo a proclamare il Governo Provvisorio, ma conforta a rispettarlo: ambedue questi Deputati dichiarano il Paese senza Governo, la necessità di crearlo, l'ordine pubblico gravemente minacciato. Il Deputato Corsini conviene della gravissima condizione del Paese, e della necessità di supplire al suo Governo con un Governo Provvisorio; aderisce con intero e libero suffragio alla elezione degli uomini distinti che si vorrebbero nominare, solo desidera aggiungervi il Gonfaloniere di Firenze, e Ferdinando Zannetti. Trinci replica che gli eletti potranno aggiungersi coloro che meglio penseranno, non volendo imbarazzare con nomi la libertà che intendeva lasciare pienissima, come pienissima era la sua fiducia, ai tre membri del Governo Provvisorio. Il Deputato Cioni rigidamente pone la quistione che si voleva lasciare velata: Ai termini delle Leggi costituzionali, mancato un Potere, gli altri cessano. Noi non siamo rappresentanti, ma potremo votare come semplici cittadini. Un Governo di 3 o di 5 è cosa indifferente, purchè questo Governo assuma sopra di sè il Governo di tutto il Paese, e pensi a convocare i Comizj, affinchè un'Assemblea nazionale provvegga a' destini del Paese. Viviani combatte il Cioni, e sostiene la mia opinione, che i Deputati rappresentano tutta Toscana, non il solo Popolo di Firenze, il quale non può presumere di rappresentare Toscana intera; però conviene che, mancato un Potere, cessino gli altri; solo restringe la rappresentanza dei Deputati alla facoltà d'istituire un Governo Provvisorio. Insiste su la necessità che i Deputati concorrano col voto a confermare il Governo Provvisorio, affinchè le Provincie lo accettino, e non rimproverino i loro Deputati, reduci a casa senza avervi cooperato. «Non dire questo (egli professava) per amore alla Deputazione perpetua, ma perchè ognuno deve, con freddo coraggio, eseguire il mandato del Paese, e non disertarne la causa, anche sotto lo impero della forza. Quando il Governo sarà consolidato col voto indipendente di tutti noi, io sono il primo a dire che la Camera è sciolta, e che ognuno deve tornare alla vita privata.»

      Chi pone fine alla discussione? forse il Popolo? No: il Monitore non lo dice; dice, all'opposto, che la proposizione di troncarla venne dal Trinci, il quale, per amore del Popolo e per la imponenza dei casi, vuole si scenda a deliberare. «Il Governo Provvisorio scioglierà la Camera, se lo reputerà convenevole, e allora lo scioglimento sarà legale; non s'imbarazzino le sue attribuzioni; la Camera ha dato ai tre individui, che vogliamo al Governo Provvisorio, segni non dubbii di fiducia: riposiamoci nelle loro braccia

      Zannetti aderisce a Trinci, e invoca solleciti provvedimenti. «Urge, egli dice, una circostanza che non bisogna nasconderci. Il Popolo, in piazza, attende vedere i membri del Governo Provvisorio. Il Popolo non si frena; però questi tre componenti il Governo Provvisorio, approvati dalla Camera, discendano a mostrarsi al Popolo, e gli dicano: Popolo, unione, rispetto alla proprietà, rispetto agli uomini

      Tre Deputati insistono per la immediata votazione. Il Corsini aderisce anch'egli. Allora soltanto, il Popolo, plaudente, grida: ai voti, ai voti. — Però quattro Deputati energicamente insistono a dichiarare che ogni Potere è sciolto, che non sono più rappresentanti, e tali diventeranno quando eletti dal Suffragio Universale; — tre votano come cittadini, uno ricusò votare. Segue la votazione; nessun voto è contrario. Io taccio sempre, e, prima di accorgermene, vengo preso, aggirato, passato di braccia in braccia, fino in piazza, rovesciato a terra, e in pericolo di essere calpestato dalla folla delirante, se molti, con furia di spinte

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