Amelia Calani ed altri scritti. Francesco Domenico Guerrazzi

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Amelia Calani ed altri scritti - Francesco Domenico Guerrazzi

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di consiglio, di alti sensi, e forse di affetti. E sì che le donne nascendo formano la metà del genere umano, e vivendo la superano; imperciocchè, o sia che le passioni, o le cure, o le fatiche logorino più gli uomini, o per qualsivoglia altra causa, eglino vivono meno delle donne assai; onde non avrebbe a parere strano che in parte almanco le cose di questo mondo si governassero da coloro, che oltre alla metà lo popolano. Anzi fa conto, che, o lo consentano o lo contrastino gli uomini, le donne arrivano sempre a reggere non parte, ma la massima parte delle faccende mondiali, ed eziandio di quelle nelle quali non dovrebbero entrare, così porgendo o la necessità, o la superba scioperatezza degli uomini. Al punto in che ne siamo, ognuno conosce a prova come la donna se per ordinario non fa la roba, ella o la conserva lunga pezza in famiglia, o presto la manda a male: però la buona massaia fu giudicata sempre in casa una vera benedizione di Dio. Questa comunella poi partorita dal matrimonio gli è mestiero che si distenda fuori di casa; imperciocchè le faccende possano durare tra l'uomo e la donna divise fino al punto in cui l'uomo si mantenga sano e stia presente; ma laddove egli caschi infermo, o i negozii lo tengano in viaggio, o la patria richieda l'opera sua, bisognerà pure, che allora gli sottentri la donna: in simili casi l'uomo di consueto fida in qualche suo fattore o commesso; ma se questo sia savio partito, e riesca sempre a bene, lascio che altri giudichi: ad ogni modo rimarrà sempre vero, che di rado troverai fede pari a quella di colei, che si giurò compagna alle tue fortune, ed ha da pascersi del tuo pane, bevere del tuo vino, e posare il capo sul tuo medesimo guanciale. Tuttavolta, anche ciò messo da un lato, l'uomo in ogni tempo ed in ogni maniera di civiltà, appena uscito alla vita, si abbandona in balía della donna, e da questa riceve le impressioni così morali come intellettuali: quindi prime maestre le madri, e più dei padri assai; conciossiachè i padri, ai figliuoli adulti, insieme con gli altri, che con esso loro conversano, insegneranno morale; professori, deputati a ciò, gli ammaestreranno nelle scolastiche discipline; mentre, finchè la infanzia dura, la madre si trovi ad essere maestra di tutto sola. Certo, le prime impressioni non si vogliono sostenere indelebili: può la educazione successiva cancellarle; ma oltrechè riesce difficile sempre, e i primi abiti quando meno te lo aspetti tornano a galla, il meglio che vada gli è di rifare i passi con perdita di tempo, e sovente con perdita della ingenua serenità dell'animo.

      Se le belle donne procreano i bei garzoni senza saperlo, virtuosi non li possono fare ignorandone l'arte. Di qui il bisogno di allevare bene le donne, se pure vogliamo che a posta loro sappiano educare i nostri figliuoli. Afferma la nostra filosofia le donne non avere ricevuto convenevole educazione nè presso le civiltà antiche, e nè durante il tempo che sogliamo appellare medio; e questa, a vero dire, parmi ricerca ardua; anzi dubito forte, se, mettendocisi di proposito, si venisse a capo di rinvenire la sua sentenza vera; infatti torna ostico a credere che Lucrezia, Cornelia, e la vedova del magno Pompeo, ed Arria, ed Eponima, e la moglie di Marco Bruto non fossero educate, nè capaci ad educare presso i Romani. Rispetto a Cornelia, Plutarco, nella vita dei Gracchi, racconta come dimorando ella nella sua vecchia età presso il Miseno soleva mettere tavola, e trattenersi in quistioni convivali, dove qualora cascava il taglio di favellare dei suoi figliuoli Tiberio e Caio, sì il faceva come se parlato avesse di uomini e di cose di altra età a lei remotissima; per lo che alcuni la giudicavano, a cagione degli anni o della grandezza dei mali, svanita; ma Plutarco dice, e dice bene, che insensati erano quei cotali, non sapendo quanto ai colpi di rea fortuna giovi la educazione magnanima, e come la virtù, troppo spesso in ogni altra cosa vinta, non può essere superata mai nella costanza. E a cui basterebbe il cuore di negare, che bene educata fosse Arria, Arria dico, la quale insegnò allo esitante marito come con morte si fugga servaggio, sicchè cacciatosi nelle viscere il pugnale, ne lo cavava fumante, e porgendolo al marito gli diceva: — Pete, non dolet?[1]

      Nè inculte riputerò io nè altri le Lacedemonie, se consegnando ai figliuoli lo scudo in procinto di combattere, superato ogni senso imbelle, poterono ordinare: — Con questo torna, o dentro questo. — Rozza a mio parere non fu la madre di Cleomene, la quale a verun patto sofferse che, per francarla dalla servitù di Tolomeo, il figliuolo stringesse lega con gli Achei; e meno di ogni altra quel fiore eterno di gentilezza Cleonida, che, prevalendo il consorte Cleombroto nella contenzione del regno, figlia pietosa seguitò consolando il padre Leonida nello esilio; e quando poi i nemici di Cleombroto richiamato Leonida da Tagea lo restituirono nel dominio e l'altro riparò nel tempio di Nettuno sfidato, la valorosa donna mutando animo con la fortuna conteneva il furore del padre cercante il genero a morte: alfine ottenuto a Cleombroto lo esilio, pose nelle braccia di lui il figlio primogenito, e l'altro pargoletto recatosi ella medesima in collo, dopo adorato il Dio, tenne dietro ai passi del marito, invano il padre colle braccia tese e singhiozzoso supplicando, che non lo abbandonasse. Narra la fama lontana, che la divina donna a blandire l'ansio genitore non ci adoperasse parole altre che queste: — la parte della donna è quella dei miseri. — Plutarco, insegnatore stupendo di sensi magnanimi, questa avventura raccontando considera, che se Cleombroto non fosse stato del tutto guasto dalla superbia avrebbe creduto lo esilio, in compagnia di tanta donna, fortuna troppo migliore del regno. Presso gli Ebrei doveva farsi stima maravigliosa delle femmine, se Salomone, re di quella sapienza che tutto il mondo conosce, ebbe a dire la donna valorosa essere la corona della vita; e così pure tra gli Egizii, porgendo le storie che un re dei loro, volendo mostrare ad un altro re le sue ricchezze, ultimamente per la cosa più nobile che possedesse gli additò la moglie, con assai acconci ragionamenti persuadendolo non potersi trovare al mondo gemma, per quanto preziosa ella sia, che superi in pregio la donna prudente. Nè fra gli antichi si reputi già che le femmine di alto affare soltanto ci somministrino indizio di ammiranda coltura, imperciocchè credendo questo andremmo errati: all'opposto per quanto scenderai tra persone umili ed anco abiette non ti verranno meno gli esempii; così troverai Frine cortigiana profferire la pecunia turpe a rimettere in piede le mura di Tebe, e il collegio amplissimo delle meretrici greche condursi a supplicare Diana in Corinto, affinchè la patria invasa dai barbari liberasse, e liberata poi magnifici tempii in Efeso e sul territorio di Abido le votarono.

      In altre età, presso altra gente, io non temerei obiezione; ma qui dubito, che non mi si opponga trattarsi negli esempii allegati piuttosto di amore di patria che di coltura; al che risoluto rispondo, come il fine di ogni disciplina, e di qualsivoglia istituto, anzi pure della stessa famiglia, sia l'amore di patria, anzi pensiero e palpito di questa umana creta finchè le si concede argomentare e sentire.

       Neppure apparisce puntuale, che nei tempi mezzani fossero stimate le donne materia pretta, e forse sembrerà piuttosto vera la contraria sentenza, che le non ricevessero mai culto più fervente d'allora; e non fie arduo chiarirsene pensando come, gli ordini del vivere civile obliati od offesi, a contenere i feroci appetiti non avanzasse altro freno che la mente della donna. Le virtù e le scienze più sante furono simboleggiate con simulacri femminei; e Dante, che per lo Inferno e il Purgatorio si contenta di Virgilio e di Stazio, in Cielo poi non patisce altra scorta che di donna, la Beatrice sua, per la ragione espressa nei dolci versi che incominciano:

      «Donne che avete intelletto di amore.»

      Vanno per le storie famose le Corti di amore di Guascogna, Narbona, Fiandra, Sciampagna, e della regina Eleonora, dove un collegio di femmine non giudicava solo i piati della gaia scienza, bensì quistioni coniugali scabrosissime, quali appena ai dì nostri attenterebbonsi decifrare dottori solenni in jure, come a mo' di esempio la sarebbe questa. Sottoposto alla decisione della contessa di Sciampagna il quesito se vero amore potesse fra marito e moglie durare, rispose: — «Col tenore delle presenti facciamo sapere a cui spetta, che amore fra gente maritata non regge, e ciò per causa che gli amanti l'uno l'altro largisconsi quanto possiedono liberi e sciolti da qualsivoglia obbligo, necessità, patto, e condizione, mentre all'opposto gli sposi sono costretti a sopportarsi a vicenda e a darsi scambievolmente quello di cui vengono richiesti. Questo giudizio da noi profferito con molta ponderazione, e dietro avviso di molte e sapute gentildonne, di ora in poi intendiamo e vogliamo che sia considerato come cosa ferma e non soggetta a dubbio. Così deciso l'anno 1174, il terzo calen di maggio, indizione VII». — E correndo la temperie propizia le donne non si chiamarono contente alla parte di giudice, chè vollero altresì sperimentare la dolcezza di comporre leggi; e le composero, chiudendole dentro un codice di 33 ordinanze, le quali se te ne piglia talento potrai leggere nelle opere

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