Amelia Calani ed altri scritti. Francesco Domenico Guerrazzi

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Amelia Calani ed altri scritti - Francesco Domenico Guerrazzi

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intorno all'amore. Il Don Chisotto di Michele Cervantes non esagera punto la sperticata reverenza, che un dì gli uomini professarono per le donne, e ce ne persuaderemo alla prima quante volte pongasi mente a Santo Ignazio lojolita, il quale incominciò la vita beata dichiarandosi cavaliere della Madonna, e facendo la veglia d'avanti al suo altare con sacramento espresso di sostenere con lancia e spada, a piedi e a cavallo, a primo transito, o a tutta oltranza l'onore della sua dama contro qualunque

      «Ebreo, Turco o Cristian rinnegato.»

       Certo, non vuolsi mettere in oblio come Santo Ignazio, prima di diventare quel gran santo che tutti sanno, avesse dato nei gerundii, ma ciò non toglie niente alla verità del fatto, che le donne durante l'età mezzane furono reputate assaissimo e forse d'avanzo.

      Anzi, cosa non vista più mai prima nè dopo, Roma sacerdotale in cotesti tempi ebbe viscere davanti lo spettacolo dello amore infinito di due donne, e disse santo per loro quello che aveva predicato fin lì e continuò poi a predicare per gli altri misfatto. Narra il reverendo dottore Lorenzo Sterne come il conte di Gleichen, combattendo in Giudea, venisse preso e mandato a lavorare nei giardini del Sultano: ora piacque a Dio, che la figliuola di questo principe infedele avendo posto gli occhi addosso al cavaliere, e parendole, come veramente egli era, di signorili sembianze, e bello, si sentisse accesa forte di lui, sicchè certo giorno, capitatole il destro, messo da parte ogni ritegno, gli aperse il conceputo ardore, dandogli ad intendere sè essere disposta, amante e sposa, a seguitarlo libero dalla catena a casa sua. Al conte sembrò divino ricuperare la cara libertà; ma dall'altra parte riputando diabolico tradire la fiduciosa trasse un lungo sospiro, e poi la chiarì aspettarlo nel paterno castello una moglie amantissima e amata. La Saracina sopra sè stette alquanto; poi rispose, che non faceva ostacolo, come quella che per sua legge era assueta vedere più femmine mogli di uno stesso marito. Allora senza porre tempo fra mezzo entrati in nave dopo molte fortune arrivarono a salvamento a Venezia, dove ristoratisi dei patiti travagli mossero uniti al castello di Gleichen. La Castellana (tanto in lei poteva lo sviscerato affetto pel marito!) di leggeri sofferse riacquistarlo a qualsivoglia patto, non rifinando di abbracciare e baciare la Saracina, professandole grazie maravigliose pel benefizio ricevuto. In seguito, essendo ella non meno religiosa che magnanima, considerò che a rimanere insieme legittimamente uniti si opponevano i sacri canoni; e a starsi in casa in tutto altro aspetto che moglie dissuadeva la Saracina il senso di donnesca dignità destosi alfine sotto lo influsso degli esempii gentili, e dei santi comandamenti. Per la qual cosa la Castellana propose, e l'assentirono gli altri, di recarsi a Roma di conserva, e quivi supplicare il Papa, affinchè nella sua plenipotenza il duplice matrimonio al conte acconsentisse. Sedeva allora su la cattedra di San Pietro Gregorio IX, al quale parve da prima quella del conte una faccenda imbrogliata, ad assettarsi impossibile; ma preso tempo a meditare, si sentì commosso dalla fede della Saracina, dall'alto spirito della contessa, dalla bontà del marito, dallo affetto di tutti; e poi bilanciò da un lato l'acquisto di un'anima se concedeva, e dall'altro la perdita sicurissima di quella se ricusava; onde in virtù della sua potestà permise il doppio vincolo, a condizione che la Saracina si rendesse cristiana: il che fu fatto. Così rimasero uniti: e la storia aggiunge, che la Saracina non avendo generato figliuoli amò di amore materno quelli della rivale. Per molto secolo si mostrava, a cui volle vederlo, il letto dove riposavano il capo questi tre avventurati; e, come il letto, ebbero comune la tomba nella chiesa dei Benedettini a Petersburgo di Allemagna. Il conte superstite alle amate donne, prima di raggiungerle nel sepolcro, ci fece scolpire sopra questo epitaffio di sua composizione:

      «Qui dormono in pace due donne le quali si amarono come sorelle, e me amarono del pari. Una abbandonò la legge di Maometto per seguitare il suo sposo; l'altra tutta amore si strinse al seno colei che glielo restituì. Uniti col vincolo dell'affezione e del matrimonio, avemmo comune il letto in vita, e morti ci copre la medesima pietra.»

      Qui però non giace il nodo; chè se in antiquo le femmine o no ricevessero convenevole educazione, se poco se ne facesse conto o molto, importa mediocremente indagare; di troppo maggiore portata è conoscere se ai tempi che corrono l'abbiano o non l'abbiano, se meritino reverenza, o vituperio. Se dovessi giudicare proprio di mio, ci penserei due volte, e poi me ne asterrei; ma dacchè femmine di alto intendimento lo confessano, ripeterò con loro, che la più parte delle nostre donne compaiono d'ingegno ottuse, frivole di mortale fatuità, infaticate cicale di cose inani, di cuore stupide, corrompitrici e corrotte, alla patria danno, alla famiglia disdoro, maledizione ai figliuoli, delle stesse discipline gentili maleaugurose guastatrici, avendo ridotto a scusa d'imbelli ozii, ed arnese di turpitudine, ciò che una volta fu carissimo ornato del vivere urbano, e quindi con lieve trapasso diventano argute fabbre di servaggio, confederate di ogni maniera di tirannide, fomentatrici di viltà; morte insomma della italiana virtù.

      Gravi carichi questi, e meritati, se non da tutte le donne, chè saría temerario affermarlo, da molta parte di loro; e questo egli è doloroso come vero pur troppo! L'anima spaventata raccapriccia a pensare come parecchie femmine, nè tutte grossiere, ma talune di natali illustri, il commercio degli abborriti oppressori nostri sofferissero, nè soltanto soffersero, ma lo cercarono, e ambirono, e — lo dico, o lo taccio? — (Io pur dirò, onde sia chiarito a prova, che il secolo vile ha vinto il paragone col più vile metallo) — seco loro si mescolarono in abbracciamenti, i quali non so se benedicessero i preti, usi sempre a benedire chi gli atterrisce o li paga; questo altro ben so, che gli maledissero tutti: anzi una perduta la casa disertata e il figliuolo, si cacciò dietro ustolando al tedesco lurco, il quale indi a poco ristucco la buttò via come calzare sdrucito, ed ella tornò per fare la gente dubbia se fosse maggiore o la sfrontatezza sua riparando dentro le religiose mura della Patria o la viltà dei cittadini patendo ch'entrasse, ed entrata sopportandola. — Che se taluno statuisse contrappormi essere stati cotesti accidenti radissimi, io vorrei pure potere rispondergli: — Dio volesse! — Ma poche non furono per avventura coteste matte e crudeli, che nulla memori del recente oltraggio della occupazione straniera, nulla della perduta libertà affannose, nulla curando l'angoscia di chi si consuma negli squallidi esilii, nulla la strage menata di tante vite dal morbo asiatico, nulla l'altro flagello della fame minacciante; nulla sbigottite o irate dal pensiero, che i nomi stessi dei magnanimi morti in difesa della Patria svelti dalla vista dei pietosi fossero posti in disonesta carcere; niente sospettando di sdrucciolare sul sangue sparso per le pubbliche vie dagli assassini tedeschi,... con piè irrequieto, la cervice alta, larvata la faccia come chi commette misfatto, su per coteste vie menavano balli! La storia piangerà nel registrare questa infamia nelle sue pagine, ma nè lacrime nè sangue varranno a cancellarle giammai. Mercè vostra, o gentilissime donne toscane, i posteri sputeranno in faccia a questo tempo come al ladro esposto alla gogna!

      E che presumete voi dire con cotesti labbri irrequieti, che mordendo contenete appena? Lo so: tacete: infamia partecipata non iscema; e se nel fallire vostro aveste complici gli uomini, io non mi rimuovo da considerare la vostra colpa principale, però che a voi sopra ogni altra creatura Dio commise la santa custodia degli affetti, il pudore nello infortunio, ed il pio blandimento alle ferite dell'anima. Dove corre maggiore obbligo, quivi eziandio la mancanza è più grave; e ragione vuole, che ne conseguitino esasperati la rampogna, e il castigo.

      Però qui cade in acconcio notare, che ogni educazione femminile verrà manco se innanzi tratto gli uomini non attendono ad emendarsi, ed educarsi davvero: se quali sono mantengonsi, egli è negozio spacciato, chè qual coltello tal guaina si rimarranno pur sempre; e in ciò sta tutto.

      Inoltre considera, che il guaio della educazione parziale pareggia, se pure non vince, quello del difetto assoluto di educazione. La prima radice dei mali diuturni così intrinseci come estrinseci, che travagliano i popoli, secondo il mio parere, deve cercarsi nella disparità di scienza, d'istituti, di civiltà, e di possanza fra loro. Se il male del precipitare innanzi di un popolo, o di un ordine di cittadini, stesse unicamente nell'obbligo dei precorsi di attendere i serotini, non meriterebbe la spesa di rammaricarcene troppo. Ma la non va così: i precursori reputandosi da più degli altri retrogradano riottosi per la dominazione, di che i serotini sbigottiti stornano a posta loro, e a fine del conto per civanzo della classe o stirpe che volle stracorrere tu trovi come le sieno andate tutte a ritroso.

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