Le avventure di Pinocchio: Storia di un burattino. Carlo Collodi

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Le avventure di Pinocchio: Storia di un burattino - Carlo Collodi

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sacrifizi!... —

      Mentre tutto commosso diceva così, gli parve di sentire in lontananza una musica di pifferi e di colpi di grancassa: pì-pì—pì, pì-pì—pì, zum, zum, zum, zum.

      Si fermò e stette in ascolto. Quei suoni venivano di fondo a una lunghissima strada traversa, che conduceva a un piccolo paesetto, fabbricato sulla spiaggia del mare.

      — Che cosa sia questa musica? Peccato che io debba andare a scuola, se no.... —

      E rimase lì perplesso. A ogni modo, bisognava prendere una risoluzione; o a scuola, o a sentire i pifferi.

      — Oggi anderò a sentire i pifferi, e domani a scuola. Per andare a scuola c'è sempre tempo — disse finalmente quel monello, facendo una spallucciata.

      Detto fatto, infilò giù per la strada traversa e cominciò a correre a gambe. Più correva e più sentiva distinto il suono dei pifferi e dei tonfi della grancassa: pì-pì—pì, pì—pì-pì, pì-pì—pì, zum, zum, zum, zum.

      Quand'ecco che si trovò in mezzo a una piazza tutta piena di gente, la quale si affollava intorno a un gran baraccone di legno e di tela dipinta di mille colori.

      — Che cos'è quel baraccone? — domandò Pinocchio, voltandosi a un ragazzetto che era lì del paese.

      — Leggi il cartello, che c'è scritto, e lo saprai.

      — Lo leggerei volentieri, ma per l'appunto oggi non so leggere.

      — Bravo bue! Allora te lo leggerò io. Sappi dunque che in quel cartello a lettere rosse come il fuoco, c'è scritto: Gran Teatro dei Burattini....

      — È molto che è incominciata la commedia?

      — Comincia ora.

      — E quanto si spende per entrare?

      — Quattro soldi. —

      Pinocchio che aveva addosso la febbre della curiosità, perse ogni ritegno e disse, senza vergognarsi, al ragazzetto col quale parlava:

      — Mi daresti quattro soldi fino a domani?

      — Te li darei volentieri, — gli rispose l'altro canzonandolo — ma oggi per l'appunto non te li posso dare.

      — Per quattro soldi ti vendo la mia giacchetta — gli disse allora il burattino.

      — Che vuoi che mi faccia di una giacchetta di carta fiorita? Se ci piove su, non c'è più verso di cavarsela da dosso.

      — Vuoi comprare le mie scarpe?

      — Sono buone per accendere il fuoco.

      — Quanto mi dai del berretto?

      — Bell'acquisto davvero! Un berretto di midolla di pane! C'è il caso che i topi me lo vengano a mangiare in capo! —

      — Vuoi darmi quattro soldi di quest'Abbecedario nuovo?

      Pinocchio era sulle spine. Stava lì lì per fare l'ultima offerta: ma non aveva coraggio: esitava, tentennava, pativa. Alla fine disse:

      — Vuoi darmi quattro soldi di quest'Abbecedario nuovo?

      — Io sono un ragazzo e non compro nulla dai ragazzi — gli rispose il suo piccolo interlocutore, che aveva più giudizio di lui.

      — Per quattro soldi l'Abbecedario lo prendo io — gridò un rivenditore di panni usati, che s'era trovato presente alla conversazione.

      E il libro fu venduto lì su due piedi. E pensare che quel pover'uomo di Geppetto era rimasto a casa, a tremare dal freddo in maniche di camicia, per comprare l'Abbecedario al figliuolo!

       Indice

      Quando Pinocchio entrò nel teatrino delle marionette, accadde un fatto che destò una mezza rivoluzione.

      Bisogna sapere che il sipario era tirato su, e la commedia era già incominciata.

      Sulla scena si vedevano Arlecchino e Pulcinella, che bisticciavano fra di loro e, secondo il solito, minacciavano da un momento all'altro di scambiarsi un carico di schiaffi e di bastonate.

      La platea tutta attenta, si mandava a male dalle grandi risate, nel sentire il battibecco di quei due burattini, che gestivano e si trattavano d'ogni vitupero con tanta verità, come se fossero proprio due animali ragionevoli e due persone di questo mondo.

      Quando all'improvviso, che è che non è, Arlecchino smette di recitare, e voltandosi verso il pubblico e accennando colla mano qualcuno in fondo alla platea, comincia a urlare in tono drammatico:

      — Numi del firmamento! sogno o son desto? Eppure quello laggiù è Pinocchio!...

      — È Pinocchio davvero! — grida Pulcinella.

      .... Eppure quello laggiù è Pinocchio!...

      — È proprio lui! — strilla la signora Rosaura, facendo capolino in fondo alla scena.

      — È Pinocchio! è Pinocchio! — urlarono in coro tutti i burattini, uscendo a salti fuori delle quinte.

      — È Pinocchio! È il nostro fratello Pinocchio! Evviva Pinocchio!...

      — Pinocchio, vieni quassù da me! — grida Arlecchino — vieni a gettarti fra le braccia dei tuoi fratelli di legno! —

      A questo affettuoso invito, Pinocchio spicca un salto, e di fondo alla platea va nei posti distinti; poi con un altro salto, dai posti distinti monta sulla testa del direttore d'orchestra, e di lì schizza sul palcoscenico.

      È impossibile figurarsi gli abbracciamenti, gli strizzoni di collo, i pizzicotti dell'amicizia e le zuccate della vera e sincera fratellanza, che Pinocchio ricevè in mezzo a tanto arruffio degli attori e delle attrici di quella compagnia drammatico-vegetale.

      Questo spettacolo era commovente, non c'è che dire: ma il pubblico della platea, vedendo che la commedia non andava più avanti, s'impazientì e prese a gridare: — Vogliamo la commedia! vogliamo la commedia! —

      Tutto fiato buttato via, perchè i burattini, invece di continuare la recita, raddoppiarono il chiasso e le grida, e, postosi Pinocchio sulle spalle, se lo portarono in trionfo ai lumi della ribalta.

      Allora uscì fuori il burattinaio, un omone così brutto, che metteva paura soltanto a guardarlo. Aveva una barbaccia nera come uno scarabocchio d'inchiostro, e tanto lunga, che gli scendeva dal mento fino a terra: basta dire che, quando camminava se la pestava coi piedi. La sua bocca era larga come un forno, i suoi occhi parevano due lanterne di vetro rosso, col lume acceso di dietro;

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