Le Avventure di Pinocchio. C. Collodi

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Le Avventure di Pinocchio - C. Collodi

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lì quell'Arlecchino, legatelo ben bene, e poi gettatelo a bruciare sul fuoco. Io voglio che il mio montone sia arrostito bene! —

      Figuratevi il povero Arlecchino! Fu tanto il suo spavento, che le gambe gli si ripiegarono e cadde bocconi per terra.

      Pinocchio alla vista di quello spettacolo straziante, andò a gettarsi ai piedi del burattinaio, e piangendo dirottamente e bagnandogli di lacrime tutti i peli della lunghissima barba, cominciò a dire con voce supplichevole:

      — Pietà, signor Mangiafoco!...

      — Qui non ci sono signori! — replicò duramente il burattinaio.

      — Pietà, signor Cavaliere!...

      — Qui non ci sono cavalieri!

      — Pietà, signor Commendatore!

      — Qui non ci sono commendatori!

      — Pietà, Eccellenza!... —

      A sentirsi chiamare Eccellenza, il burattinaio fece subito il bocchino tondo, e diventato tutt'a un tratto più umano e più trattabile, disse a Pinocchio:

      — Ebbene, che cosa vuoi da me?

      — Vi domando grazia per il povero Arlecchino!...

      — Qui non c'è grazia che tenga. Se ho risparmiato te, bisogna che faccia mettere sul fuoco lui, perchè io voglio che il mio montone sia arrostito bene .

      — In questo caso — gridò fieramente Pinocchio, rizzandosi e gettando via il suo berretto di midolla di pane — in questo caso conosco qual è il mio dovere. Avanti, signori giandarmi! Legatemi e gettatemi là fra quelle fiamme. No, non è giusta che il povero Arlecchino, il vero amico mio, debba morire per me! —

      Queste parole, pronunziate con voce alta e con accento eroico, fecero piangere tutti i burattini che erano presenti a quella scena. Gli stessi giandarmi, sebbene fossero di legno, piangevano come due agnellini di latte.

      Mangiafoco, sul principio, rimase duro e immobile come un pezzo di ghiaccio: ma poi, adagio adagio, cominciò anche lui a commuoversi e a starnutire. E fatti quattro o cinque starnuti, aprì affettuosamente le braccia e disse a Pinocchio:

      — Tu sei un gran bravo ragazzo! Vieni qua da me, e dammi un bacio. —

      Pinocchio corse subito, e arrampicandosi come uno scoiattolo su per la barba del burattinaio, andò a posargli un bellissimo bacio sulla punta del naso.

      — Dunque la grazia è fatta? — domandò il povero Arlecchino, con un fil di voce che si sentiva appena.

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      E arrampicandosi come uno scoiattolo su per la barba del burattinaio....

      — La grazia è fatta! — rispose Mangiafoco; poi soggiunse sospirando e tentennando il capo:

      — Pazienza! per questa sera mi rassegnerò a mangiare il montone mezzo crudo: ma un'altra volta, guai a chi toccherà!... —

      Alla notizia della grazia ottenuta, i burattini corsero tutti sul palcoscenico e, accesi i lumi e i lampadari come in serata di gala, cominciarono a saltare e a ballare.

      Era l'alba e ballavano sempre.

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      XII

      Il burjittinaio Mangiafoco regala cinque monete d' oro a Pinoccliio perchè le porti al suo babbo Geppetto: e Pinocchio, invece, si lascia abbindolare dalla Volpe e dal Gatto e se ne va con loro.

      Il giorno dipoi Mangiafoco chiamò in disparte Pinocchio e gli domandò:

      — Come si chiama tuo padre?

      — Geppetto.

      — E che mestiere fa?

      — Il povero.

      — Guadagna molto?

      — Guadagna tanto quanto ci vuole per non aver mai un centesimo in tasca. Si figuri che per comprarmi l'Abbecedario della scuola dovè vendere l'unica casacca che aveva addosso: una casacca che, fra toppe e rimendi, era tutta una piaga.

      — Povero diavolo! Mi fa quasi compassione. Ecco qui cinque monete d'oro. Va' subito a portargliele, e salutalo tanto da parte mia. —

      Pinocchio, come è facile immaginarselo, ringraziò mille volte il burattinaio: abbracciò, a uno a uno, tutti i burattini della compagnia, anche i giandarmi; e fuori di sè dalla contentezza, si mise in viaggio per ritornarsene a casa sua.

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      — Com'è che sai il mio nome?

      Ma non aveva fatto ancora mezzo chilometro, che incontrò per la strada una Volpe zoppa da un piede e un Gatto cieco da tutt'e due gli occhi, che se ne andavano là là, aiutandosi fra di loro, da buoni compagni di sventura. La Volpe, che era zoppa, camminava appoggiandosi al Gatto: e il Gatto, che era cieco, si lasciava guidare dalla Volpe .

      — Buon giorno, Pinocchio, — gli disse la Volpe, salutandolo garbatamente.

      — Com'è che sai il mio nome? — domandò il burattino.

      — Conosco bene il tuo babbo.

      — Dove l'hai veduto?

      — L'ho veduto ieri sulla porta di casa sua.

      — E che cosa faceva?

      — Era in maniche di camicia e tremava dal freddo.

      — Povero babbo! Ma, se Dio vuole, da oggi in poi non tremerà più!

      — Perchè?

      — Perchè io sono diventato un gran signore.

      — Un gran signore tu? — disse la Volpe, e cominciò a ridere di un riso sguaiato e canzonatore: e il Gatto rideva anche lui, ma per non darlo a vedere, si pettinava i baffi colle zampine davanti.

      — C'è poco da ridere — gridò Pinocchio impermalito. — Mi dispiace davvero di farvi venire l'acquolina in bocca, ma queste qui, se ve ne intendete, sono cinque bellissime monete d'oro. —

      E tirò fuori le monete avute in regalo da Mangiafoco.

      Al simpatico suono di quelle monete, la Volpe per un moto involontario allungò la gamba che pareva rattrappita, e il Gatto spalancò tutt'e due gli occhi, che parvero due lanterne verdi; ma poi li richiuse subito, tant'è vero che Pinocchio non si accòrse di nulla.

      — E ora — gli domandò la Volpe — che cosa vuoi farne di codeste monete?

      — Prima di tutto — rispose il burattino — voglio comprare per il mio babbo una bella casacca nuova, tutta d'oro e d'argento, e coi bottoni di brillanti: e

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