Le Avventure di Pinocchio. C. Collodi

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Le Avventure di Pinocchio - C. Collodi

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— replicò Geppetto — perchè, tienlo a mente, non è il vestito bello che fa il signore, ma è piuttosto il vestito pulito.

      — A proposito, — soggiunse il burattino — per andare alla scuola mi manca sempre qualcosa: anzi mi manca il più e il meglio.

      — Cioè?

      — Mi manca l'Abbecedario.

      — Hai ragione: ma come si fa per averlo?

      — È facilissimo: si va da un libraio e si compra.

      — E i quattrini?

      — Io non ce l'ho.

      — Nemmen io — soggiunse il buon vecchio, facendosi tristo.

      E Pinocchio sebbene fosse un ragazzo allegrissimo, si fece tristo anche lui: perchè la miseria, quando è miseria davvero, la intendono tutti: anche i ragazzi.

      — Pazienza! — gridò Geppetto tutt'a un tratto rizzandosi in piedi; e infilatasi la vecchia casacca, di frustagno, tutta toppe e rimendi, uscì correndo di casa.

      Dopo poco tornò: e quando tornò, aveva in mano l'Abbecedario per il figliuolo, ma la casacca non l'aveva più. Il pover'uomo era in maniche di camicia, e fuori nevicava.

      — E la casacca, babbo ?

      — L'ho venduta.

      — Perchè l'avete venduta?

      — Perchè mi faceva caldo. —

      Pinocchio capì questa risposta a volo, e non potendo frenare l'impeto del suo buon cuore, saltò al collo di Geppetto e cominciò a baciarlo per tutto il viso.

      IX

      Pinocchio vende V Abbecedario per andare a vedere il teatro dei burattini.

      Smesso che fu di nevicare, Pinocchio, col suo bravo Abbecedario nuovo sotto il braccio, prese la strada che menava alla scuola: e strada facendo, fantasticava nel suo cervellino mille ragionamenti e mille castelli in aria, uno più bello dell'altro.

      E discorrendo da sè solo, diceva:

      — Oggi, alla scuola, voglio subito imparare a leggere: domani poi imparerò a scrivere, e domani l'altro imparerò a fare i numeri. Poi, colla mia abilità, guadagnerò molti quattrini e coi primi quattrini che mi verranno in tasca, voglio subito fare al mio babbo una bella casacca di panno. Ma che dico di panno? Gliela voglio fare tutta d'argento e d'oro, e coi bottoni di brillanti. E quel pover'uomo se la merita davvero; perchè insomma, per comprarmi i libri e per farmi istruire, è rimasto in maniche di camicia.... a questi freddi! Non ci sono che i babbi che sieno capaci di certi sacrifizi!... —

      Mentre tutto commosso diceva così, gli parve di sentire in lontananza una musica di pifferi e di colpi di grancassa: pì-pì—pì, pì-pì—pì, zum, zum, zum, zum.

      Si fermò e stette in ascolto. Quei suoni venivano di fondo a una lunghissima strada traversa, che conduceva a un piccolo paesetto, fabbricato sulla spiaggia del mare.

      — Che cosa sia questa musica? Peccato che io debba andare a scuola, se no.... —

      E rimase lì perplesso. A ogni modo, bisognava prendere una risoluzione; o a scuola, o a sentire i pifferi.

      — Oggi anderò a sentire i pifferi, e domani a scuola. Per andare a scuola c'è sempre tempo — disse finalmente quel monello, facendo una spallucciata.

      Detto fatto, infilò giù per la strada traversa e cominciò a correre a gambe. Più correva e più sentiva distinto il suono dei pifferi e dei tonfi della grancassa: pì-pì—pì, pì—pì-pì, pì-pì—pì, zum, zum, zum, zum.

      Quand'ecco che si trovò in mezzo a una piazza tutta piena di gente, la quale si affollava intorno a un gran baraccone di legno e di tela dipinta di mille colori.

      — Che cos'è quel baraccone? — domandò Pinocchio, voltandosi a un ragazzetto che era lì del paese.

      — Leggi il cartello, che c'è scritto, e lo saprai.

      — Lo leggerei volentieri, ma per l'appunto oggi non so leggere.

      — Bravo bue! Allora te lo leggerò io. Sappi dunque che in quel cartello a lettere rosse come il fuoco, c'è scritto: Gran Teatro dei Burattini…

      — È molto che è incominciata la commedia?

      — Comincia ora.

      — E quanto si spende per entrare?

      — Quattro soldi. —

      Pinocchio che aveva addosso la febbre della curiosità, perse ogni ritegno e disse, senza vergognarsi, al ragazzetto col quale parlava:

      — Mi daresti quattro soldi fino a domani?

      — Te li darei volentieri, — gli rispose l'altro canzonandolo — ma oggi per l'appunto non te li posso dare.

      — Per quattro soldi ti vendo la mia giacchetta — gli disse allora il burattino.

      — Che vuoi che mi faccia di una giacchetta di carta fiorita? Se ci piove su, non c'è più verso di cavarsela da dosso.

      — Vuoi comprare le mie scarpe?

      — Sono buone per accendere il fuoco.

      — Quanto mi dai del berretto?

      — Bell'acquisto davvero! Un berretto di midolla di pane! C'è il caso che i topi me lo vengano a mangiare in capo! —

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      — Vuoi darmi quattro soldi di quest'Abbecedario nuovo?

      Pinocchio era sulle spine. Stava lì lì per fare l'ultima offerta: ma non aveva coraggio: esitava, tentennava, pativa. Alla fine disse:

      — Vuoi darmi quattro soldi di quest'Abbecedario nuovo ?

      — Io sono un ragazzo e non compro nulla dai ragazzi — gli rispose il suo piccolo interlocutore, che aveva più giudizio di lui.

      — Per quattro soldi l'Abbecedario lo prendo io — gridò un rivenditore di panni usati, che s'era trovato presente alla conversazione.

      E il libro fu venduto lì su due piedi. E pensare che quel pover'uomo di Geppetto era rimasto a casa, a tremare dal freddo in maniche di camicia, per comprare l'Abbecedario al figliuolo!

      X

      I burattini riconoscono il loro fratello Pinocchio e gli fanno una grandissima festa ; ma sul più bello esce fuori il burattinaio Mangiafoco, e Pinocchio corre pericolo di fare una brutta fine.

      Quando Pinocchio entrò nel teatrino delle marionette, accadde un fatto che destò una mezza rivoluzione.

      Bisogna

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