La Mentalità Di Successo Dei Grandi Leader. Yael Eylat-Tanaka

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La Mentalità Di Successo Dei Grandi Leader - Yael Eylat-Tanaka

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Gogh era un uomo di successo? No, secondo gli standard di oggi. Ha lottato per vendere i suoi dipinti, era depresso e bizzarro nel comportamento ed è morto in povertà. Eppure, i suoi lavori sono esposti e ammirati in alcuni dei più prestigiosi musei del mondo, e i suoi dipinti raggiungono valutazioni incredibili alle aste. E che dire dell’ex presidente Jimmy Carter. Potrebbe essere etichettato come un uomo di successo? É stato il leader del mondo libero per un momento brillante, poi si è ritirato a una banale vita di filantropia per costruire case per i poveri e per coloro privi del diritto di voto.

      Le celebrità di Hollywood, i magnati di Wall Street, anche molti politici possono abbellire le pagine di riviste prestigiose a causa della loro influenza sulla cultura, il loro acume finanziario o le loro abilità negli affari. Rappresentano una forma di successo che siamo arrivati a riverire, ammirare e a sforzarsi di raggiungere. Come società siamo stati indottrinati ai precetti del materialismo e al raggiungimento dei risultati come simboli di una vita ben vissuta. La ricchezza stessa sembra essere il codice del successo.

      Adoriamo le celebrità. Le mettiamo su un piedistallo, che lo meritino o no. Il loro unico merito per essere famosi potrebbe essere un film che ha guadagnato milioni dollari o aver segnato il record di fuori campo. In realtà siamo completamente colti di sorpresa quando uno di questi personaggi è colto in flagrante in un complotto o, peggio, in un crimine.

      Pensiamo, per esempio, a una celebrità nel campo del golf, Tiger Woods. Bello, abile, talentuoso, con una moglie incredibilmente bella e dei bambini adorabili. Fu trovato in qualche relazione extraconiugale poco saggia e, come c’era da aspettarsi, sua moglie divorziò da lui e ci fu uno scandalo pubblico, molti dei suoi sponsor cancellarono i loro contratti con lui, e lui perse una parte significante della sua fortuna precedente. Ancora peggio, la sua popolarità soffrì molto, e posso solo immaginare che la sua autostima non andò molto meglio.

      Gli sportivi professionisti possono guadagnare dei salari a dir poco esagerati, sono adulati dalle masse e vengono presi come paragoni per il successo. Sono intervistati dai giornalisti più importanti, appaiono sulle copertine delle principali riviste, sono premiati dagli sponsor con campagne di marketing che li promuovono ancora di più e che usano la loro immagine come emblematica del prodotto che stanno promuovendo, associando così in modo subliminale il loro successo percepito con il prodotto che essi rappresentano. Raramente ci fermiamo e riflettiamo su di loro. Se una di queste celebrità dovesse apparire nei notiziari per aver commesso un passo falso, se non un vero e proprio crimine, i media si radunerebbero per coprire gli eventi che circondano l’evento, analizzandone i possibili motivi, discutendo se delle pubbliche scuse potrebbero essere efficaci e parlando dell’autore e dei suoi peccatucci fino alla nausea. Ricordiamo la copertura televisiva durata mesi del processo per duplice omicidio di O.J. Simpson. Cosa c’era in lui che meritasse un esame così minuzioso? Perché il pubblico era così innamorato di ogni dettaglio più sordido di questo processo per omicidio? Sì, una volta era un famoso giocatore di football e aveva sfruttato la sua fama per diventare un commentatore sportivo e per apparire anche in qualche film trascurabile. É questo che consideriamo come successo?

      Sembra che il semplice ottenimento di qualche tipo di fama – o di notorietà – ci spingano a cercare dettagli succulenti sulla vita di quella persona. Le pagine delle riviste di gossip sono piene di storie su fatui personaggi di Hollywood o pezzi grossi di Wall Street, e ogni dettaglio delle loro vite è analizzato dai media perché tutti ne sbavino. E come società ne siamo soddisfatti. I titoli dei tabloid esistono precisamente perché il pubblico li chiede.

      Queste celebrità non sono sicuramente le uniche a prendersi delle libertà con i loro valori personali. Sembra che la fama e la ricchezza, i fan adoranti, il prestigio e l’adulazione siano biglietti validi per un decadente senso di giusto e sbagliato. Se questo è vero, l’ovvia domanda diventa perché? Quale è il collegamento tra l’accumulazione di beni e di gloria e l’abbandono dei principi base? È questo il prezzo che paghiamo per le trappole di quello che siamo arrivati ad associare al successo?

      Il motivo per cui adoriamo le celebrità è che desideriamo godere per interposta persona del loro successo – o di quello che crediamo sia il successo. Se compriamo quel meraviglioso abito che abbiamo visto su Angelina Jolie, o se compriamo quella Cadillac, allora anche noi saremo sexy e glamour e un po’ del fascino di Matthew McConaughey potrebbe cadere su di noi. Anche noi ci sentiremo desiderabili e popolari. Se noi usiamo quel dopobarba o beviamo quella marca di birra, anche noi nuoteremo nella piscina del fascino e del prestigio. Possiamo immaginare di sentire del cool jazz fluttuare tra le pareti mentre fantastichiamo di entrare in una stanza elegante vestiti con uno smoking, tutti gli occhi su di noi, le donne che reclamano da noi anche una semplice occhiata.

      É questo il successo? Siamo così carenti di autostima da dover rincorrere gli spettri?

      Dobbiamo riconsiderare le persone o le cause che ammiriamo. Dobbiamo chiederci se meritano la celebrità che accordiamo loro. Perdiamo la testa per i messaggi subliminali della pubblicità, mentre raramente esaminiamo le vite interiore o i motivi dell’oggetto della nostra adorazione, o addirittura di noi stessi: che contributo diamo – buono o cattivo – alle nostre stesse vite o alle vite degli altri.

      La generazione “Me” non è scomparsa dalle luci della ribalta, soppiantata da una generazione meno basata su di sé e più generosa. La generazione “Me” si è semplicemente trasformata in generazione Y, generazione X o Millennial – una stirpe che prosegue nel seguire quello che fa sentire bene, quello che è vantaggioso ora, sempre concentrata sul mantra interiore di “cosa c’è per me.”

      Come possiamo muoversi da un atteggiamento di consumo egoistico e basato su di sé verso uno più salutare e olistico? In effetti c’è qualcosa che possiamo fare con lo spirito e il desiderio di accumulo? Le risposte possono essere non auto evidenti.

      Gli esseri umani si sono evoluti per vivere in gruppi, e questo implica una considerevole misura di cooperazione tra i membri. Cercare di essere il Numero Uno e i consumi cospicui sono elementi poco salubri della nostra società attuale visto che queste attitudini non promuovono la coesione del gruppo. In effetti, è decisamente il contrario. Promuovono la divisione e la competizione. Queste attitudini implicano la scarsità: se tu stai mangiando un lauto pasto, allora non ce ne sarà abbastanza per me.

      Potete pensare che non sia un grosso problema. Gli esseri umani non vivono più nelle caverne e non hanno bisogno di cacciare in gruppi, o di stare di guardia di notte affinché la tribù non sia mangiata da famelici branchi di lupi. Potete pensare che la nostra evoluzione ci abbia portato a uno stato di sviluppo tecnologico che ha diminuito i nostri bisogni l’uno dell’altro, la compagnia che ci proteggeva nei tempi antichi. Potete pensare che ora siamo più ricchi e possiamo permetterci i nostri giocattoli e così non abbiamo più bisogno di pensare agli altri nello stesso modo, o che se andiamo a messa ogni domenica dovrebbe essere abbastanza “comunità” per farci andare avanti un’altra settimana.

      Alcuni di noi fanno volontariato riempiendo peluche e portandoli ai bambini malati negli ospedali; altri dedicano periodicamente il loro tempo aiutando in biblioteca; altri fanno volontariato in altri modi – e crediamo di aver fatto abbastanza. Crediamo di aver fatto il nostro dovere e di aver esercitato i nostri doveri civici.

      Non è abbastanza cantare mantra o aiutare a servire la cena del Ringraziamento nella mensa dei poveri locale. Dobbiamo riconsiderare la domanda molto fondamentale su cosa significhi essere umani. Sicuramente il concetto ha preso un posto di secondo piano rispetto ai problemi più impellenti di oggi – e questo è il problema.

      Nonostante tutti i nostri sviluppi tecnologici, siamo ancora umani. La nostra biologia domina tutto quello che facciamo, pensiamo

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