Il Mio Marchese Per Sempre. Dawn Brower
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Suo nonno lo aspettava nell'atrio. Per certi versi, il duca si era trasformato in un vecchio e irascibile padrino per lui. Stranamente, questa descrizione gli calzava a pennello, anche se non era così vecchio come pensava Ryan. Egli aveva dodici anni e tutti quelli più grandi di lui gli sembravano antichi.
«Hai fatto molto più veloce di quanto mi aspettassi.» disse suo nonno. «Forse non sarai una causa persa, dopo tutto. L'ultima volta che ti ho visto eri un bambino piagnucolone!»
Se il duca si fosse preso la briga di controllarlo, avrebbe capito che Ryan era costretto a crescere molto più in fretta di qualsiasi altro ragazzo. Prima aveva perso la madre e diversi anni dopo, poi, prima di sanare il dolore, suo padre. Il suo cuore si era indurito e dubitava che avrebbe mai provato qualcosa di nuovo. Le emozioni gli causavano sofferenza e lui non ne aveva bisogno. Adesso suo nonno poteva essere il suo benefattore, ma era tutt'altro che benevolo.
«Mi basta poco.» disse a suo nonno. «Sono pronto, quando volete.»
Egli annuì a Ryan e si diressero fuori verso la sua carrozza. Nessuno dei due si fermò a salutare Lady Penelope o le sue figlie, Ryan perché le odiava, e il duca, probabilmente, non ci pensò. Per certi versi, egli era simile a loro, aveva dei fini e avrebbe voluto che Ryan li adempiesse; ma almeno suo nonno lo avrebbe preparato per il suo futuro. La sua matrigna voleva usarlo come schiavo. Era un compromesso che avrebbe accettato più che volentieri. Su alcune cose valeva la pena di rischiare. Non che suo nonno gli avesse dato un'ampia scelta. Doveva tornare nella sua tenuta e imparare tutto sull'essere un duca e sperava di non trasformarsi in un vecchio irritabile come lui.
La carrozza si mosse sul vialetto. La piccola casa che un tempo per lui aveva significato qualcosa si faceva sempre più piccola man mano che la carrozza scendeva lungo la strada. Un tempo credeva che potesse diventare la sua vera casa con una famiglia che lo amasse, ma alcune cose non erano destinate a esserlo e non avrebbe mai avuto una madre in vita sua. Almeno Penelope non avrebbe più avuto alcun controllo su di lui. Lei era il suo passato e non avrebbe mai più voluto vedere lei e le sue sorellastre.
Avrebbe preferito lasciare alla sua matrigna la casa della sua infanzia, mantenere le distanze tra loro e dimenticarsi della loro esistenza. Suo nonno lo avrebbe trasformato in un uomo capace di avere il controllo completo della sua vita. Ryan cercò di trovare una parte della sua anima che fosse rimasta felice e pura, ma Penelope, dopo la morte del padre, gliela aveva strappata. Ora tutto quello che poteva fare era andare avanti e cercare di essere una persona migliore di quelle che lo avevano circondato. Giurò che nessuna donna avrebbe mai avuto potere su di lui...
CAPITOLO PRIMO
Kent 1816
La carrozza cigolava mentre percorreva la strada. Il sole filtrava dai finestrini, illuminando i sedili rivestiti di velluto. Durante il viaggio, lady Annalise Palmer guardava gli alberi fuori dal finestrino. Non che il paesaggio fosse particolarmente meraviglioso, anche se aveva un certo fascino, ma non era sicura dell'accoglienza, una volta raggiunta la loro destinazione. Aveva scritto alla sua sorellastra, Estella, la nuova viscontessa di Warwick, spiegando perché si fosse comportata in quel modo, ma questo non significava che l'avrebbe perdonata. Aveva ricevuto una lettera da Estella, che la invitava a visitare il castello di Manchester. Annalise non poteva fare a meno di chiedersi perché si trovassero nel Kent, e non nella tenuta di Warwick. «Avevate davvero bisogno di arrivare fin qui per vedere Estella?» Le chiese suo fratello, Marrok, il marchese di Sheffield. «Odio i lunghi viaggi in carrozza.»
«Non tanto quanto me.» ella rispose amaramente. «Siete un orribile compagno di viaggio.»
«Siate felice che io abbia accettato di accompagnarvi. Altrimenti papà non vi avrebbe mai fatto uscire dal convento.» Marrok sbadigliò rumorosamente. «È ancora piuttosto arrabbiato per aver aiutato Estella a sposare Warwick.»
Suo padre, il duca di Wolfton, non aveva idea di tutto ciò che ella aveva fatto per aiutare Estella. Lui credeva che ella le avesse mandato i suoi fondi per sopravvivere, ma aveva fatto molto di più. Suo padre non era un brav'uomo e aveva fatto tutto il possibile per assicurarsi che Estella fosse infelice per il resto della sua vita. Annalise avrebbe voluto aiutarla prima, ma non sapeva come fare. Il duca controllava ogni sua mossa, e se ci avesse provato, egli avrebbe trovato un modo per impedirlo. Doveva essere più intelligente di lui e, questo, richiedeva un'enorme quantità di pazienza. Il suo piano aveva dato i suoi frutti quando trovò il modo di far incontrare Estella con l'uomo che amava.
«Non ho rimpianti,» disse. «Estella aveva bisogno del mio aiuto.»
«Non sono d'accordo. Papà è uno zuccone: Estella non doveva essere mandata via.» Marrok allungò le braccia sopra la testa. «Da quanto tempo siamo in questa maledetta carrozza?»
Almeno suo fratello non si era trasformato in una copia del loro padre. Oh, non era perfetto in nessun modo, ma non aveva una vena crudele. Marrok non aveva pazienza per l'idiozia e non sopportava le sciocchezze. Poteva fulminare qualcuno con uno sguardo o con qualche parola se decideva di fare lo sforzo; in breve, tirava fuori la tipica espressione del maschio malinconico che, anzi, aveva perfezionato. Annalise amava suo fratello, ma neanche lei riusciva a tollerarlo così a lungo. Provava pietà per la donna che un giorno egli avrebbe deciso di sposare. Sarebbe stato piuttosto difficile vivere con lui. Diavolo, non c'era niente di meglio: era un perfetto stronzo in una meravigliosa giornata. Distolse lo sguardo dal finestrino, si voltò verso di lui e rispose alla sua domanda «Più o meno come la volta precedente che me l'avete chiesto. Siete peggio di un bambino piccolo.»
«Non più di quanto lo siate voi» Egli si sporse e sbirciò fuori dal finestrino. «Dico sul serio, però. Non dovremmo già essere lì?»
Mentre egli stava parlando si intravide il castello di Manchester. La struttura era maestosa e meravigliosa da vedere. La casa ancestrale dei Wolfton aveva una sua bellezza, ma in un modo diverso rispetto a quello di Manchester. Questo castello sembrava più luminoso, in un certo senso più accogliente. Forse lei era un po' estrosa o forse desiderava essere libera, di essere sé stessa. A causa delle aspettative del padre, aveva sempre dovuto mettersi in gioco e fingere di non preoccuparsi di niente e di nessuno.
«Oh, grazie al cielo.» Marrok si appoggiò allo schienale. «Presto potrò sgranchirmi le gambe come si deve.»
Annalise alzò gli occhi al cielo, anche se in realtà non lo biasimava. Ogni centimetro dei suoi muscoli era rigido per il permanere in carrozza per ore. Sarebbe bello uscire finalmente da questa maledetta cosa e camminare un po'. La carrozza si avviò verso il lungo sentiero che portava al castello. Rimbalzò su un dosso e lanciò Annalise verso l'alto. Il dolore le attraversò il fondoschiena e su per la schiena, mentre atterrava sul sedile. «Ahi,» urlò, incapace di trattenerlo.
«Sono pronto a scommettere che siete contenta che siamo quasi arrivati.» Marrok ridacchiò allegramente. «Ammettetelo.»
«Vi odio,» mormorò lei.
«No, non è vero,» rispose Marrok e poi rise di nuovo. «Mi adorate, e lo sappiamo entrambi.» Le fece l'occhiolino. «Non preoccupatevi, non vi farò strisciare e vi chiederò scusa per essere stato crudele.»
«Come se lo fossi.» rispose lei. «Potete aspettare quanto volete, questo non accadrà mai.» Annalise non riusciva a impedire alle sue labbra d'inclinarsi verso l'alto. L'allegria di Marrok l'aveva sollevata dal malumore. Si preoccupava troppo per niente. Estella non l'avrebbe invitata a Manchester se non l'avesse perdonata per le sue azioni. A Lord Warwick non