Non Chiamarli. Carlos Ramos

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Non Chiamarli - Carlos Ramos

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il sole prese a brillare per lui, fece estremamente piacere a mia nonna.

      Con il passare del tempo vidi tante cose strane, ad un certo punto era diventata la nostra routine quotidiana. Io stavo imparando molto da lei perché la nonna mi spiegava cosa stesse facendo e come. Mi disse i nomi delle varie erbe e come usarle, quali preghiere dire e quali animali uccidere. Lo disse soltanto a me, per questo tutti pensavano che fosse pazza. Credo che a volte il male che curava negli altri restava un po’ dentro di lei, per questo spesso era di cattivo umore, si vedeva che non stava bene. Fino a che non si preparava un miscuglio a base di radici, cortecce e tornava quella di sempre.

      Un giorno venne a trovarla una signora che disse che le stavano facendo del male, aveva un’emicrania insopportabile e le usciva molto sangue dal naso. Aveva parlato con diversi medici, ma nessuno di essi era riuscito a curarla. Fece come al solito, tuttavia sta volta non uccise alcun animale, disse che era un lavoro ben fatto, avrebbe dovuto bere un intruglio per quattordici giorni di fila e l’ultimo avrebbe defecato un serpente. Avrebbe dovuto ucciderlo immediatamente se fosse voluta guarire. Sul volto della donna apparse un’espressione del tutto incredula, nonostante ciò decise di dar retta a mia nonna.

      Dopo qualche giorno la signora defecò una vipera, presa dallo spavento, anziché ucciderla tirò lo sciacquone e il rettile scese giù per le tubature. Il male ricadde così su mia nonna, non mangiava più, stava molto male, non era in grado di fare quasi nulla. Io le parlavo, avrei davvero fatto di tutto per poterla aiutare, ma non mi rispondeva, finalmente un giorno mi disse cosa avrei dovuto fare. Dovetti andare a prendere una radice “maschio” e una “femmina”, unirle attentamente, annodandole e aggiungendo altre cose per far sì che non si dividessero. Gliele feci mangiare il prima possibile. Trascorsa una settimana, stava pian piano riprendendosi, l’ultimo giorno in bagno la fece finita con quell’animale, tornò finalmente alla normalità.

      Mi spiegò che ci sono persone molto potenti che hanno degli alleati, in grado di fare del male con il mais viola o altri oggetti, in grado di aumentare il proprio potere, che si trasformano in animali, che sono capaci di controllare i propri sogni come se fossero svegli, che sono guerrieri.

      Mi insegnò tutti i misteri, quelli buoni e quelli cattivi. Quando arrivai ad un buon punto di conoscenza dei suoi insegnamenti, mi rivelò qualcosa che non aveva detto a nessuno, anche lei era in grado di trasformarsi in un animale, più precisamente in un tacchino. Io le credetti perché le avevo visto fare cose incredibili e perché mi aveva permesso di capire che “la realtà” così come una persona comune la vede è solo una parte, soltanto un’interpretazione, ma non è l’unica che esiste.

      C’erano delle volte in cui eravamo da soli nella stanza in cui di solito curava le persone e senza alcun motivo cadevano le cose o si sentivano strani rumori, risate e passi. Le cose che avevano una collocazione precisa apparivano in un altro posto, come se qualcuno si impegnasse per far arrabbiare mia nonna, un giorno si stufò di questa situazione perché tutto ciò che stava sopra una mensola cadde senza che nessuno lo toccasse, almeno io non avevo visto nessuno.

      Mia nonna non ne fu affatto sorpresa. Mi disse con un tono tranquillo: questi bastardi sono di nuovo qui. Chiesi: “Chi sono?” disse: qualcuno a cui piace molto giocare. Da una scatola prese della polvere, del pepe e altre cose, prese il suo braciere e gettò tutto sul fuoco. Lasciò dei barattoli sul pavimento a mo di trappole mi disse di uscire e chiudere tutte le finestre e le porte, col fumo li avremmo catturati. Mentre aspettavamo andammo al monte a tagliare le piante e a seminare le radici che prima avevamo tirato fuori, perché mia nonna diceva che era nostro dovere restituire alla terra ciò che essa amorevolmente ci dona.

      Dopo quasi cinque ore aprimmo la stanza. Mia nonna prese velocemente i barattoli e li sigillò meglio che poteva, me li mostrò e disse: stanno qui i burloni. Logicamente io non vidi nulla, per me i barattoli erano vuoti, li mise in un sacco e camminammo di nuovo verso la cima. Dopo molto tempo li prese e li mise a terra, si rivolse a loro dicendo: vi lascerò liberi, risparmierò le vostre vite, ma se vi incontrerò di nuovo vi ucciderò, quindi andatevene. Aprì i barattoli, immagino che qualcuno o qualcosa stava uscendo, ma io non vidi nulla. Più tardi tornammo a casa, lungo il tragitto c’erano delle luci che dondolavano sulle cime degli alberi. Da un sacchetto della sua borsa ha preso un po' di polvere, me ne ha passato un po’ tenendo il resto per sé e disse: dobbiamo renderci invisibili, non voglio che quegli animali mi vedano. Io non comprendevo perfettamente ciò che intendeva, era talmente buio che saremmo stati invisibili anche senza quella polvere.

      Mia nonna conosceva molte cose, era una donna saggia, ma molto vecchia. Sconfisse tutti i suoi nemici ma l’ultimo stava vincendo la battaglia. Io sono soltanto un apprendista, mi ha insegnato molto, ma diceva che io ho insegnato molte più cose a lei. Non so cosa le abbia potuto insegnare, se potessi mi piacerebbe conoscermi in modo più approfondito, ma non so come, non so nemmeno come sono fatto, non riesco a sentire la mia voce, la cosa più strana è che mia nonna era l’unica persona al mondo in grado di vedermi.

      San Marcos, Hidalgo.

      26/dicembre/2008

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