Eros. Giovanni Verga

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Eros - Giovanni  Verga

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sera!» esclamò finalmente Alberto col naso in aria.

      «Bellissima.»

      «E punta fredda!»

      «Punta.»

      «È un pezzo che non ci vediamo, sai!»

      «Due anni.»

      «È vero.»

      Ella lo stava a guardare seria seria.

      «Hai imparato a fumare!» gli disse finalmente con un sorriso, e come se gli confidasse un segreto che nascondeva da qualche tempo.

      «Cosa vuoi, i vizi si imparano facilmente!» rispose Alberto con gravità.

      «Però il sigaro ti sta bene!»

      Ei la guardò nei grand’occhi turchini che luccicavano al chiaro di luna, chinò i suoi prestamente, e si soffiò il naso. Adele riduceva in pezzi minutissimi le foglie che avea strappato dal rosaio.

      «Ma il tuo giardino è molto bello!» disse finalmente Alberto.

      La giovanetta guardò attorno, come se vedesse quegli alberi per la prima volta, e rispose:

      «Sí, molto bello.»

      «Una delizia!»

      «Una vera delizia. Quella fontana lí ce l’ho voluta io.»

      «Davvero?»

      «Sí, non è bellina?»

      «Bellina tanto!»

      «È tutta di marmo, sai!»

      «Oh!»

      «Il babbo non voleva, per via della spesa…»

      «Deve aver costato parecchio!»

      «Altro! Ma il babbo mi vuol tanto bene!»

      «Oh! (in un altro tono).»

      «E anche te, sai, ti vuol bene!»

      Il dialogo che si reggeva sui trampoli, minacciò d’inciampare in quel sassolino.

      «Ha detto che ti terrà qui sino a novembre» soggiunse Adele vedendo che il cugino stava zitto.

      «Ma…»

      «Ti rincresce?»

      «No!… no…!»

      «Non ti annoierai?»

      Egli si volse, la guardò, poi si mise a scuotere col mignolo la cenere del sigaro Adele rimase alquanto pensierosa, la povera bambina, e soggiunse, un po’ trepidante: «Ci starai volentieri?»

      «Figurati!»

      «Anche Velleda ci starà sino a novembre. Che festa!» Il cugino si senti maledettamente ridicolo per non sapere metter fuori il piú meschino complimento.

      «Ti piace la mia Velleda?» riprese Adele.

      «A me?…»

      «Non è bella?»

      «Oh sí!»

      «Anch’essa ha detto che sei un bel giovanotto.»

      A quelle parole parve ad Alberto che la luna irradiasse di un’aureola l’Adelina.

      «Anche te ti sei fatta bella!…» disse col coraggio della gratitudine.

      «Davvero?»

      «Davvero.»

      Ella sorrise, chinò il capo, incrociò le pallide manine sulle ginocchia, e il raggio della luna sembrò farsi vermiglio sulle sue guance.

      L’usignuolo cantava: passò un alito di venticello che fece stormire lievemente le foglie. Essi si sentivano l’uno accanto l’altra. Tutt’a un tratto la fanciulla scoppiò a ridere.

      «Oggi volevo darti del lei, vedi!»

      «O perché?»

      «Perché ti sei fatto grande: avevo suggezione di te… ecco!»

      «Oh!»

      Ella si volse verso di lui, con un improvviso movimento d’espansione e d’abbandono – i sentimenti puri e le anime vergini hanno di codeste arditezze innocenti – ed egli si tirò in là modestamente.

      «Ma se tu m’avessi dato del lei non te l’avrei perdonato mai!»

      «Perché?»

      «Perché… perché… non lo so il perché.»

      Tacquero entrambi, e sentivano che quel silenzio li dominava. Alberto era tutto intento a fumare, e l’Adele a pungersi le mani sul rosaio. Si udiva il fruscío della sua veste ad ogni movimento di lei.

      «L’ultima volta che partisti pel collegio pioveva, ti rammenti ?»

      «Sí, tu mi scrivesti per domandarmi come fossi arrivato.»

      «Ti rammenti anche di codesto?»

      «Ho ancora la lettera.»

      «Davvero?» arrossí e volse il capo. «E Velleda che non ritorna!»

      «Mi par di vederla laggiú.»

      «Velleda!»

      «Oh, siete ancora costà?» gridò Velleda da lontano.

      «Parlavamo di te, sai!» esclamò Adele correndole incontro, e buttandole le braccia al collo le sussurrò qualcosa all’orecchio.

      «Cattiva!» mormorò Velleda chinando il capo e facendosi rossa.

      «Grulla!» borbottò il signor Bartolomeo quando lo seppe.

      Alle undici tutti i lumi della villa erano, o sembravano, spenti. Alberto che stava alla finestra, come uno che abbia bisogno di mettersi in cuore tutta la serena bellezza di una notte estiva, credette di scorgere un fil di luce che trapelava fra le stecche della persiana di una finestra al pianterreno, di faccia alla sua. E si sporse in fuori per meglio vedere; ma la luce si fece all’improvviso piú viva, come pel dileguarsi di un’ombra frapposta, e si spense quasi subito.

      V

      Il domani, appena Alberto aprí la finestra e appoggiò i gomiti al davanzale, colla sua bella pipa di schiuma in bocca, udí chiamarsi per nome.

      Volse gli occhi sotto il pergolato, e vide un fresco visetto e due begli occhi che gli sorridevano; la cuginetta stava cogliendo dei fiori da un arbusto alquanto piú alto di lei, e rizzavasi sulla punta dei piedi per far piegare i ramoscelli restii; le maniche del vestito le cadevano lungo le braccia un po’ troppo delicate, ma bianche come alabastro; il piú gaio raggio di sole indorava quelle braccia e quel viso gentile.

      «Buon dí, cugino!»

      «Buon dí, cuginetta!»

      «Son

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