La riconquista di Monpracem. Emilio Salgari

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La riconquista di Monpracem - Emilio Salgari

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mio governo non lascerà impunita una simile infamia.

      – Certo, Sir Hardel, – rispose Yanez un po’ beffardamente. – Non so per altro chi lo avvertirà.

      – I passeggeri della nave o il capitano. Appena saranno giunti a Varani telegraferanno al governatore di Labuan.

      – Non sono ancora giunti nella capitale del sultanato. Andiamo, signor ambasciatore, ché io non voglio farmi sorprendere all’alba da qualche cannoniera, quantunque abbia una flottiglia poderosa.

      I due malesi ad un cenno del portoghese avevano afferrato strettamente per le braccia il povero Sir, e gli altri portavano la valigia che pareva pesantissima.

      Quando tornarono nel gran salone ancora tutti vivi, i passeggeri mandarono un gran sospiro di soddisfazione ed assistettero, al pari dei marinai perfettamente immobili, all’uscita dell’ambasciatore.

      Il capitano del piroscafo si avvicinò a Yanez, chiedendogli con voce rabbiosa:

      – Che cosa volete ancora da noi?

      – Finire il waltzer con quella graziosa signora – rispose il portoghese tranquillamente.

      – Ancora? E quando ve ne andrete fuori dai piedi?

      – Ah, c’è tempo, capitano. —

      S’avvicinò al pianoforte, dove stava sempre seduta la bionda miss e le disse:

      – Signorina, per circostanze indipendenti dalla mia volontà ho dovuto interrompere il ballo.

      Vorreste riprenderlo? Ah, i waltzer di Strauss sono veramente meravigliosi!

      – Quest’uomo è pazzo! – pensò certo il capitano.

      Yanez si era voltato bruscamente, col viso scuro, verso il comandante.

      – Signor mio, – gli disse – vorreste dirmi come vi chiamate?

      – Tanto v’interessa?

      – Non si sa mai.

      – John Foster: io non ho paura a dirvelo.

      – Grazie. —

      Trasse di tasca un piccolo libriccino legato in pelle ed oro e scrisse quel nome, poi mosse, sempre pacato, sempre magnifico nella sua grande calma, verso la signora colla quale aveva incominciato il waltzer e che pareva lo aspettasse.

      – Volete finirlo… signora?…

      – Lucy Wan Harter.

      – Ah! Un’olandese?

      – Si, Altezza.

      – Mi ricorderò di voi.

      Il waltzer era incominciato ed i passeggeri, vedendo il terribile uomo slanciarsi fra i vortici della danza e sorridere alla sua dama, dapprima timidamente, poi più animatamente avevano seguito l’esempio ma guardando bene di tenersi lontani dalla coppia che danzava al centro del salone.

      Solamente il tenore non si era più fatto udire. Lo spavento doveva aver paralizzati i suoi mezzi vocali.

      Il waltzer era terminato e Yanez aveva condotto verso un divano la bella olandese, la quale non cessava di fissarlo intensamente, con quell’olimpica calma che è una specialità dei popoli bagnati dal freddo e tempestoso mare del Nord.

      Una profonda ansietà si era impadronita di tutti. Pareva che si chiedessero che cosa voleva ora fare il terribile uomo.

      Yanez si asciugò il sudore che gli bagnava la fronte, poi disse, volgendosi verso i passeggeri:

      – Signore e signori: vi accordo dieci minuti per far portare i vostri bagagli in coperta. —

      Il capitano, che digrignava i denti presso il pianoforte, si slanciò innanzi colle pugna chiuse chiedendo:

      – Che cosa volete fare ora, furfante?

      – Mia Altezza desidera vedere una nave saltare in aria – rispose francamente il portoghese.

      – La mia?

      – È della Compagnia; quindi non è affatto vostra.

      – Mi è stata affidata.

      – Difendetela, se vi credete abbastanza forte. Io sono un uomo che non rifiuta mai un combattimento.

      – Miserabile pirata! Mi avete preso per il collo e cercate ora di strozzarmi.

      – La nave, non voi.

      – Avete trenta prahos, fatene saltare uno se volete divertirvi, o anche mezza dozzina.

      – Oh! Siete spiccio, voi.

      – È ora di finirla con questa infame canagliata. —

      Yanez trasse un portasigari tempestato di brillanti, levò una sigaretta, l’accese, e dopo d’aver gettato in aria alcune boccate di fumo profumato, disse con voce che non ammetteva replica:

      – Quando io avrò finito di fumare questa sigaretta, il piroscafo dovrà essere sgombro delle persone che lo montano.

      I macchinisti sono stati tutti arrestati ed ho fatto già collocare presso i forni un barile contenente cento chilogrammi di polvere.

      Su via, capitano: fate portare in coperta i bagagli delle signore e dei signori e date ordine che si mettano in mare tutte le scialuppe.

      – Bisogna che vi uccida: ricordatevi di John Foster.

      – Anzi, mi segnerò il vostro nome. Talvolta gli uomini s’incontrano quando meno credono.

      – Ed io spero bene di trovarvi un giorno! – ruggì il capitano al colmo dell’esasperazione.

      – Ed io sarò lieto di offrirvi una buona bottiglia di vino portoghese a bordo del mio yacht.

      Badate che ho fumato già mezza sigaretta e che i miei malesi cominciano ad impazientirsi.

      – Corpo d’un tuono! Obbedisco alla forza brutale d’un bandito!

      – Principe! – disse Yanez un po’ beffardamente.

      Degli ordini erano stati dati e trasmessi agli uomini che si trovavano in coperta, sorvegliati da altri trenta malesi, perfettamente armati, sbarcati da uno dei trenta grossi prahos.

      I passeggeri, terrorizzati dal pensiero che quel terribile uomo facesse da un momento all’altro saltare il piroscafo, salivano confusamente sulla tolda.

      Yanez li aveva preceduti coi suoi malesi.

      I marinai stavano calando le scialuppe e ritirando dal boccaporto di maestra le valigie dei passeggeri.

      Una grande confusione si era manifestata tra quelle cento e cinquanta persone. Tutti si spingevano innanzi per essere i primi a scendere nelle scialuppe.

      Solamente la bella dama olandese conservava una calma olimpica.

      Yanez,

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