La rivicità di Yanez. Emilio Salgari

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La rivicità di Yanez - Emilio Salgari

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la scala di corda.

      Sandokan, il terribile pirata malese, in un lampo si era slanciato sulla banchina ed aveva aperte le braccia gridando:

      – Qui sul mio cuore tutti e due, miei vecchi amici!…

      Il Maharajah e l’indiano si erano gettati verso di lui stringendolo gagliardamente.

      – Ora basta – disse Sandokan. – La rhani e Soarez sono in salvo?

      – Sí – rispose Yanez. – Prima di distruggere la mia capitale ho mandato l’una e l’altro fra i montanari di Sadhja.

      – Saccaroa! ho ben veduto, giungendo qui, che non sorgevano piú né pagode, né palazzi. Dicono che io sono terribile, ma tu non sei meno di me.

      – Non sono forse il tuo fratello bianco? – disse Yanez ridendo.

      – È vero; ma me n’ero quasi scordato. Sai che sono tre lunghissimi anni che non ci vediamo?

      Poi volgendosi bruscamente verso Tremal-Naik, gli chiese:

      – E la tua Darma? E suo marito, quel bravo Sir Moreland? Sono qui?

      – Mai piú; navigano sempre e sono ora nell’Oceano Pacifico.

      – E credo che facciano bene a tenersi lontani dall’India – disse Sandokan. – I thugs non sono ancora stati tutti distrutti, e quelle canaglie sono troppo vendicative.

      Poi guardò l’amico bianco sorridendo.

      – Dunque tu non sei piú Maharajah, mio povero amico?

      – Adagio, Sandokan – rispose Yanez. – Ho sempre un piede nell’impero ed ho i montanari sempre fedeli.

      – Mentre quelle canaglie di rajaputi ti hanno tradito tutti. Me lo ha detto Kammamuri.

      – Non ne ho che uno solo, di mille.

      – Ne abbiamo gettati giú parecchi però, di quei mercenari infedeli, venendo qui, e sento per quella gente un vero odio.

      – Ed io non meno di te – disse Yanez. – Se non mi avessero abbandonato, Sindhia non avrebbe mai potuto riporre i piedi sulle coste assamesi. Tutta la canaglia che ha radunata sarebbe andata subito a rotoli.

      – E cosí hai perduto le due città piú grosse dell’impero?

      – E forse altre saranno cadute nelle mani di quei bricconi. Da ventisei giorni sono qui, come un prigioniero, e piú nessuna notizia mi è giunta dal di fuori.

      Sandokan lo guardò con stupore.

      – Come puoi aver resistito tanto tempo al calore infernale che regna qui dentro? Dovresti essere biscottato come un pane di sagú.

      – Quest’altissima temperatura si è sviluppata cinque o sei giorni fa. Prima le immense volte delle cloache pareva che non si fossero nemmeno accorte dell’incendio che avvampava sopra di loro distruggendo la mia capitale.

      Poi, a poco a poco sono diventate ardenti.

      – Non ci cadranno sulla testa?

      – Non credo. I mongoli erano troppo buoni costruttori. Può darsi che molte gallerie e molte rotonde siano crollate, ma noi non usciremo attraverso quelle. Sarebbe troppo pericoloso.

      – E l’acqua manca? Vedo qui un largo fiume puzzolente che scorre presso la banchina. Certamente io non mi disseterò con quella poltiglia.

      – Abbiamo trovata una piccola sorgente che ce ne fornisce in abbondanza.

      – E di viveri quanti ne avete? – chiese Sandokan.

      – Pensa, mio caro, che da quando ci siamo rifugiati qui non abbiamo fatto altro che arrostire topi poiché non avevamo avuto il tempo di portare con noi nemmeno una cassa di biscotti.

      – Povere bestie!… Quante ne avrete distrutte?… Delle centinaia e centinaia m’immagino.

      – Ma ora eravamo alle prese con la fame, poiché i rosicchianti, spaventati, ci hanno vigliaccamente abbandonato.

      – Non avevano poi torto – disse Sandokan, sorridendo. – A nessuno piace finire nello spiedo.

      In quel momento verso l’entrata della grande cloaca si udirono rimbombare sinistramente parecchi colpi d’arma da fuoco i quali si erano ripercossi lungamente attraverso alle innumerevoli gallerie, rumoreggiando.

      Sandokan aveva fatto un gesto di collera.

      – Ah!… – esclamò. – Quei banditi, o sciacalli che siano, osano assalirci anche qui? Adagio, miei cari. Avrete altre terribili lezioni!…

      Poi alzando la voce e volgendosi verso i suoi uomini che si tenevano ancora in sella, e che avevano accese parecchie torce, disse loro:

      – Togliete le mitragliatrici dalle houdah e portatele, con una scorta di cinquanta persone, verso l’uscita di questa immensa cloaca. Gli elefanti rimangano per ora qui. Potrebbero diventare, piú tardi, straordinariamente preziosi. Non fate risparmio di munizioni: ne abbiamo in abbondanza.

      Venticinque dayaki ed altrettanti malesi saltarono a terra affidando i cavalli ai loro compagni, si strinsero intorno agli elefanti che i cornac avevano fatti inginocchiare, tolsero le cinque terribili bocche da fuoco e si allontanarono a gran corsa, seguendo la banchina.

      – Sempre lesti come scimmie e mai esitanti i tuoi uomini! – disse Yanez con un sospiro.

      – Puoi dire i nostri uomini, poiché per lunghi anni hanno combattuto con te. Se io sono la Tigre della Malesia, tu sei sempre la Tigre bianca di Mompracem, e ti rimpiangono quei valorosi che tu hai guidato a tante vittorie sulle terre malesi.

      «Già, questo maledetto impero dell’Assam non ci voleva proprio e non era necessario.»

      – E mia moglie?

      – È vero, è la rhani, ed ha il diritto di conservarsi lo Stato e di contrastarlo a quel furfante di Sindhia già detronizzato.

      Ci sarà un gran lavoro da fare, mio caro Yanez, tuttavia io non mi spavento affatto. Mi piace combattere in India e noi, che abbiamo vinto e ucciso Suyodhana, il famoso capo dei thugs della Jungla nera, per la seconda volta sapremo mettere a posto l’ex rajah ubriacone e…

      Si era interrotto e si era voltato verso l’immensa entrata della grande cloaca, dove brillavano in lontananza dei punti rossastri che talvolta si oscuravano per diventare invece giallastri. Erano le torce a vento che fiammeggiavano alla foce del fiume fangoso.

      Si udirono alcuni colpi di fucile, poi delle scariche fitte, serrate, spaventevoli, dinanzi alle quali non potevano certamente resistere gli sciacalli di Sindhia.

      – Odi come cantano le mie mitragliatrici? – disse il formidabile pirata, volgendosi nuovamente verso i due suoi amici. – Senza quelle forse non sarei mai riuscito a giungere fino qui, poiché quegli sciacalli, animati dalla presenza dei rajaputi, ci hanno dato dei brillanti attacchi. È vero bensí che resistevano soltanto qualche minuto.

      – Armi da marina? – chiese il portoghese. – Non ho ancora avuto il tempo di osservarle. Somigliano a quelle che avevamo a bordo del Re del Mare?

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