La rivicità di Yanez. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу La rivicità di Yanez - Emilio Salgari страница 6
– Mi stupisco come Sandokan vi abbia permesso di portare con voi degli oggetti cosí pericolosi – disse Yanez. – Una disgrazia può sempre avvenire.
– Quale?
– Una palla di cannone potrebbe frantumare la vostra cassa ed allora saremmo noi alle prese col tifo, colla peste, col colera ed altri malanni ancora.
– Speriamo, Altezza, che la palla non giunga fino alle mie preziose bottiglie. Sarebbe per me una perdita incalcolabile.
– Che avreste ben poco tempo per rimpiangere, dottore. Il colera vi prende e vi spazza via in poche ore…
– Anche meno, Altezza. Ho un vivaio che contiene dei bacilli virgola che fulminano l’uomo appena attaccato.
– Signor Wan Horn, rimettete a posto la vostra bottiglia. Una palla potrebbe entrare nella grande cloaca e spezzarvela fra le mani… E dite un po’ – soggiunse Yanez – come vi servireste di questi… chiamiamoli i proiettili della morte sicura?
– Si va a gettare una bottiglia nel campo nemico, la si rompe, e si lascia che i microbi si sviluppino e compiano il loro dovere.
– Ah, dovere lo chiamate!
– Il loro compito, allora. Dopo poche ore ecco il colera dichiarato nel campo, ed ecco gli uomini cadere piú o meno fulminati.
– E chi sarà l’uomo che avrà tanto coraggio da andare a spezzare il vivaio proprio in mezzo ai nemici?
– Ci penso io – rispose l’olandese colla sua solita flemma. – Io sono immune completamente contro tutte le malattie che potrebbero sviluppare le mie care bestioline.
– Sta bene; e vi recherete fra le truppe di Sindhia?
– Sí, Altezza, con due bottiglie ben nascoste in due tasche speciali cucite dentro la mia ampia giacca.
– Non vi fidate di quella gente.
– Sono un europeo; e vedrete, Altezza, come io giuocherò quella gente ed il loro rajah.
– Da solo?
– Da solo – rispose l’olandese. – Ho avvicinato i dayaki che nelle selve del Borneo usano ancora fare raccolte di teste umane, eppure nessuno ha tagliato la mia. Le genti di Sindhia, che sono poi degli assamesi, che io sappia, non sono mai stati tagliatori di zucche umane.
– Dovete aver del fegato, signor Wan Horn – disse Yanez. – Vi vedremo alla prova.
– Quando vorrete, Altezza. Il calore che regna nel Borneo e nell’India si confà assai ai miei microscopici animaletti.
«Se fossi rimasto in Olanda, malgrado le mie cure, sarebbero a quest’ora morti tutti.
«Fa un po’ freddo nel mio paese, e molta umidità vi regna in tutto il tempo dell’anno e…»
Un crepitio di mitragliatrici lo interruppe bruscamente. Si combatteva dunque verso l’ultima arcata della gigantesca cloaca?
Yanez afferrò la carabina che aveva appoggiata contro la parete, e dopo d’aver fatto due o tre passi disse al dottore, che teneva sempre fra le mani la sua pericolosa bottiglia:
– Vado a vedere come stanno le cose: riprenderemo piú tardi la nostra interessante conversazione. Vi consiglio, per ora, di mandare a dormire i vostri bacilli.
E scappò via seguíto da Tremal-Naik e da Kammamuri che si era munito d’una torcia e la roteava continuamente onde ravvivare la fiamma. Tutti e tre, seguiti a breve distanza da una mezza dozzina di malesi i quali, udendo le fucilate non avevan piú potuto trattenersi, si erano slanciati a gran corsa lungo la riva del fiume nero.
Le mitragliatrici stridevano, segno evidente che gli sciacalli di Sindhia, come li chiamava ormai Sandokan, tentavano d’introdursi nella grande cloaca in buon numero.
Dopo una corsa velocissima di dieci e piú minuti, Yanez ed i suoi compagni raggiunsero la Tigre della Malesia.
Le palle sibilavano in aria, scrostando ora le pareti ed ora la grande volta.
Dal di fuori della cloaca della gente sparava all’impazzata, credendo di spaventare col fracasso di cinquecento o mille fucili i pirati di Mompracem. Ah, ci voleva ben altro per quei vecchi guerrieri incanutiti fra il fumo di tante battaglie terrestri e marittime!…
– Dunque, un vero assalto? – chiese Yanez avvicinandosi a Sandokan, il quale scatenava una delle cinque mitragliatrici, seduto su un masso presso il quale ardeva una fiaccola.
– Pare – rispose il formidabile uomo. – Ma finché questi giocattoli funzioneranno, gli sciacalli di Sindhia non metteranno piede qui dentro. Il difficile sarà poi l’uscire da questa specie di trappola.
– Vi è il dottore olandese che penserà ad aprirci la via – disse Yanez un po’ ironicamente.
– E tu credi?…
– Chi lo sa?
– Io te l’ho portato perché lui mi assicurava di poter distruggere anche tutta la popolazione dell’Assam in pochi giorni colle sue famose bottiglie piene di non so quali bestioline. Io peraltro conto piú sulle mie mitragliatrici e sulle carabine della mia gente… Oh, il fuoco è cessato, e si ode un ramsinga sonare insieme con una campana.
«Guarda bene, Yanez!… Non vedi tu una grossa lampada avvicinarsi? Che Sindhia ci mandi qualche parlamentario?»
– Sí – rispose il Maharajah. – È un parlamentario. Fa’ cessare il fuoco.
Sandokan levò un fischietto d’oro e lanciò tre note acute. Subito le mitragliatrici e le carabine diventarono silenziose.
Nella notte tenebrosa una voce echeggiò al di fuori della grande cloaca:
– Porto con me la bandiera bianca!…
– Chi sei? – chiese Yanez.
– Un parlamentario.
– Chi ti manda?
– Sindhia.
– Avànzati.
Poi volgendosi verso Sandokan gli disse:
– Io questa voce l’ho udita ancora e non molto tempo fa.
Tremal-Naik, che stava osservando le mitragliatrici, disse:
– Io conosco l’uomo che ha parlato.
– Chi può essere?
– È l’uomo che tu avevi legato al cannone sul bastione di Marundia, e che invece di farlo saltare in aria, come ne avevi il diritto, l’hai graziato.
– Kiltar!… Il bramino!…
– Sí, quell’uomo ti disse di chiamarsi Kiltar e di non dimenticare il suo nome.
– Ecco un uomo che ci porterà delle notizie preziose –