Parvenze e sembianze. Albertazzi Adolfo

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Parvenze e sembianze - Albertazzi Adolfo

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visto far voi ai nemici nella battaglia. E recò prove del vostro valore e di voi asseriva che nessuno poté mai superarvi in cortesia e liberalità. Allora io ammirando l'animo vostro mi pentii subitamente d'avervi fuggito quasi mala cosa, e ora vi dono co 'l mio cuore tutta me stessa. —

      Udite le parole della donna, messer Bertramo stette alquanto silenzioso e raccolto in sé medesimo per improvvisa concitazione di pensieri e di affetti diversi; poi, con uno sforzo che parve e fu supremo, perché egli rifiutava il bene non di quella sera, ma della sua giovinezza, ma della sua vita, si levò in piedi e disse:

      – Non sarà mai ch'io offenda vostro marito se egli mi ama cosí e se ha tanta fede in me! – E tolte di seno alcune bellissime gioie, le porse alla donna pregandola di serbarle per sua memoria: – Per memoria di voi, voi datemi ora un ultimo bacio. —

      Madonna Fiola Torrella turbata molto, chi sa se per nuova ammirazione dell'animo nobilissimo del gentiluomo o piú tosto per vivo rammarico del perduto piacere, lo baciò sulla bocca, e messer Bertramo, senza piú toccarla, le disse addio e partí.

      Sterne giungeva di rado al luogo per cui si metteva in cammino; io a ciò che mi propongo. Questa volta intendevo esaminare in confronto della dura semplicità e brevità onde Masuccio narrò primo il fatto di messer Bertramo1, la prolissità e la pompa svenevole con la quale Gianfrancesco Loredano secentista rifece e allargò, trasportandone i personaggi ai suoi tempi, questa storia d'amore2; ma invece, non so come e perché, la fantasia condusse me pure a rinnovare e a diffondere l'antica novella, e adesso, su 'l punto d'incominciare il raffronto, ristò chiedendomi: A che cosa gioverebbe il mio studio?

      Veramente gli eruditi non si fanno sempre questa dimanda.

      CHI DI GALLINA NASCE…

      I

      Il dí che in Firenze per frenesia di Francesco De' Medici era imposta su 'l capo di Bianca Cappello la corona di granduchessa, in Bologna Ercole e Alessandro Bentivogli facevano “dinanzi a casa loro correre a' cavalli dei Monari dodici braccia di grossogron et una berretta di panno in segno d'allegrezza„; ma Pasquino domandava al conte Ulisse Bentivogli, il quale da tre anni era marito a Pellegrina figliola di Bianca e di Pietro Bonaventura:

      Si Cosmi titulos Virgo foedavit Hetrusca

      Quid faciet meretrix, heu, peregrina tibi?3,

      e nella interrogazione epigrammatica rideva una profezia. Spiace per altro non conoscere tutti i miracoli di cotesta contessa, che, se vera la storia, un'ultima colpa condusse a perire in età di trentaquattro anni piú miseramente di sua madre.

      Il matrimonio del Bentivoglio, celebrato con gran pompa a Bologna il 24 agosto 1576 – recando la sposa allo sposo una dote di trentamila scudi e una beltà ancor puerile ma già meravigliosa4 – , era stato “di poca soddisfazione al paese„; onde il conte avea presa dimora a Firenze. Pure il 23 febbraio 1578, in occasione d'una breve gita di Bianca e Pellegrina a Bologna, “la prima nobiltà della città, sí di cavalieri che di dame„ era mossa ad incontrarle, “per rispetto al Granduca, per essere la detta Bianca sua cosa„5; cosí come ad onore della figlia non piú d'una concubina, ma d'una granduchessa, il 22 dicembre 1583 furono incontro ai coniugi Bentivoglio, di ritorno per qualche mese alla patria, “quarantaquattro carrozze di dame e gran numero di cavalieri a cavallo, oltre li cavalli leggieri; et il Bentivoglio era a man destra di Pirro Malvezzi, non ostante che fosse senatore e de' collegi„6. Nell'aprile dell'anno appresso Pellegrina si recò di nuovo a Firenze per assistere alle nozze di Vincenzo Gonzaga e di Eleonora De' Medici, e solo il 13 febbraio 1588, ma questa volta per sempre, riprese ad abitare in Bologna.

      Con la fresca e fosca rimembranza della morte di sua madre si contenne allora in vita solinga? No, ché sentiva bisogno di distrazioni; e a primavera di quell'anno medesimo ebbe voglia, lasciando il marito a casa, di fare una scappata a Venezia in allegra compagnia di dame e gentiluomini; e ad autunno, nella venuta de' duchi mantovani, si compiacque d'apparire per grazia e per fasto la prima gentildonna che fosse in Bologna a quel tempo7.

      Ma se delle qualità vere della persona e credute dell'animo suo avevano pure in Firenze diffusa l'ammirazione Francesco de' Vieri detto il Verino, dedicandole il Discorso della grandezza et felice fortuna d'una gentilissima et gratiosissima donna qual fu Madonna Laura8, e maestro Fabrizio Caroso offrendole tra i balli di sua composizione una “cascarda„ con a tema musicale un sonetto che comincia:

      Luci beate ove s'annida Amore,

      Vivi raggi del sol, dolci facelle

      Che le piú gelide alme e le piú belle

      Infiammate di santo e pure ardore9

      quegli che di lei ci lasciò il piú ingenuo ricordo fu il poeta bolognese Cesare Rinaldi.

      Nel 1590 egli le porgeva la terza parte delle sue rime dicendole: “L'esser piaciuto a V. Eccellenza Ill.ma di favorire talora le sue rime della vista, della voce et del giudicio suo, ripieno di tanta acutezza et accortezza insieme, onde mostra la perfetta cognizione che ha di ogni bella virtú, mi ha facilmente indotto a credere che parimente non debba sdegnare di riceverle se nello uscir fuori a scorrere il mondo in istampa, non meno create di dentro che segnate di fuori del suo Ill.mo Nome, ora ritornano tutte insieme nelle sue onoratissime mani, donde sono partite, non altrimente che si faccia, come dicono, il fiume Meandro, il quale favorito da tanti canori et bianchissimi cigni alle sue rive con le loro meravigliose armonie, pare che nello scorrer il paese, ritorcendo il suo corso et raggirando, colà se ne ritorni donde partí, quasi allettato dalla dolcissima soavità dei cigni, come… (coraggio, che il periodo finisce adesso e finisce bene!)… come le mie rime da quella di V. Ecc.za Ill.ma, veramente umano et candidissimo cigno in ogni virtú et regal costume„10.

      Candidissimo cigno in ogni virtú la figlia di Bianca Cappello? Ohibò!; e le rime son troppo “create di dentro„ co 'l nome di lei:

      Cauto a gl'inganni Amor l'armi depose,

      L'ale agli omeri strinse e le coperse:

      Di pellegrino in forma ei mi s'offerse

      E pellegrina idea nel cor mi pose.

      Or vo pellegrinando

      A l'ombra di duo neri archi sottili

      Due pellegrine stelle il mondo ammira…

      Qual or io ti vagheggio,

      Pellegrina gentil, misto in te veggio

      Col celeste il mortai, col nero il bianco:

      (allusione, pare, alla sua bellezza):

      Sotto l'oscuro velo

      Scopro candor di Delo;

      Sotto la spoglia frale

      Scerno virtú immortale,

      Ond'al mirar non è l'occhio mai stanco;

      Miro e mirando i' godo, e 'n viso adorno

      Scorgo la terra e 'l ciel, la notte e 'l giorno…

      … Quale al nascer di Palla alta e immortale

      Versò dorato nembo

      Sovra Rodi dal ciel l'eterno Giove,

      Tali

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<p>1</p>

Masuccio Salernitano, novella XXI.

<p>2</p>

Novelle degli Accademici Incogniti: par. II, nov. prima.

<p>3</p>

Ant Fr. Ghiselli, Memorie di Bologna antica, manos. nella R. Bibl. Univ. di Bologna: T. XVI, all'anno 1579 (23 giugno).

<p>4</p>

Idem, anno 1576 (24 agosto). – Pellegrina era nata il 23 luglio 1564 (Cicogna, Iscrizioni veneziane, T. II, p. 211): andò dunque sposa un mese piú che dodicenne.

<p>5</p>

Rinieri, Diario (alla Bibl. Comunale di Bologna).

<p>6</p>

Ghis., T. XVII, anno 1583 (23 decem.); '84 (14 aprile), e T. XVIII, pagina 507.

<p>7</p>

Ghis., T. XVIII, 1588 (pagina 547 e seg.).

<p>8</p>

Firenze, Marescotti, 1581: in-8. Il Verino, “dottore ordinario e lettor pubblico della filosofia e cittadino fiorentino„, dedicò anche ad Ulisse Bentivogli una sua Lezione dove si ragiona delle idee et delle bellezze.

<p>9</p>

Il Ballarino di m. Fabrizio Caroso, diviso in due trattati, Venezia, Ziletti, 1681.

<p>10</p>

Pref. alle Rime, par. III: Bologna, Vit. Benacci, 1590: in-12.