Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II. Amari Michele

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Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - Amari Michele

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di Rakkâda, i Palermitani mandavano Ahmed prigione in Affrica, e chiedeano allo Sciita la confermazione di Ali. Concedettela; raccomandò con questo di ripigliar la guerra sacra, smessa sotto il regno di Ziadet-Allah;270 nel qual tempo i Cristiani erano tornati ad afforzarsi in loro rôcche del Valdemone, per incuria di chi reggea le cose in Sicilia o forse per trattato con l'impero bizantino.271 Del resto non seguì evento d'importanza fino alla esaltazione del Mehdi. Nè altrimenti si ricorda il nome di Sicilia che nella persecuzione di Abu-l-Kâsim-Tirazi, cadi di Palermo sotto gli Aghlabiti; cacciato probabilmente con Ahmed e vergheggiato in piazza pubblica di Kairewân, insieme col dotto cadi di Tripoli, entrambi rei di costanza nel rito ortodosso.272

      Ove si consideri l'esser della Sicilia in questo interregno, si vedrà la rivoluzione del novecento d'un subito tornata a galla, quando mancò con gli Aghlabiti la man che l'avea represso. Oltre le forze proprie ristorate in un decennio, la colonia rinvigorì, com'ei sembra, di nobili arabi che per avventura si fossero rifuggiti d'Affrica nel primo terrore273 o nelle persecuzioni sempre crescenti; la lealtà dei quali a casa d'Aghlab ormai s'accordava con gli umori d'independenza siciliana. Ma avendo al fianco quella piaga dei Berberi di Girgenti, l'aristocrazia palermitana, titubante a ripigliare le armi contro l'Affrica, contentavasi di tener lo stato con l'antico espediente d'un emiro tutto suo. Ali sembra, in fatti, il caporione della nobiltà; sì ch'essa fece come volle nell'interregno. Sperando poi di raggirare il Mehdi ed appagarlo con ubbidienza nominale, Ali chiesegli di andare a Rakkâda per abboccarsi con lui; e il Mehdi tutto lieto assentì. Avutolo in Affrica, lo fa imprigionare; manda a regger l'isola un uom suo, provato in missioni così fatte, Hasan-ibn-Ahmed-ibn-Ali-ibn-Koleïb, soprannominato Ibn-abi-Khinzîr, ch'era stato prefetto di polizia di Kairewân sotto lo Sciita.274

      Gli intendimenti del principe e le condizioni della colonia appariscono da' primi atti d'Ibn-abi-Khinzîr. Sbarcato a Mazara il dieci dsu-l-higgia del dugento novantasette (20 agosto 910), deputava un suo fratello per nome Ali275 governatore a Girgenti; del quale oficio non v'ha ricordo sotto gli Aghlabiti, e pare trovato del Mehdi per lusingare i Berberi e attizzare la discordia tra loro e gli Arabi. Al medesimo tempo fece cadi di Sicilia un Ishâk-ibn-Minhâl; il primo, aggiungono gli annali, che vi sedesse a nome del Mehdi:276 e ciò mostra che per più d'un anno s'era amministrata la giustizia secondo il dritto sunnita e da un eletto dell'emiro. Ibn-abi-Khinzîr prepose alla azienda uomini nuovi, i quali furono accusati di aggravii; o forse v'istituì nuovi oficii, secondo i voleri del principe.277 Il “Preposto della Quinta” di cui si fa ricordo poco appresso, sembra nuovo; e di certo fu posto a scemar l'autorità dell'emiro, sia che avesse carico di spartire il bottino e le terre prese ai vinti e serbarne la quinta all'erario, sia che anco amministrasse il ritratto della quinta.278 La primavera o state seguente (911) l'emiro, sostando alquanto da' negozi fiscali, conduceva l'esercito sopra Demona, ove i Cristiani avean levato la testa: ed arse il contado, predò, fece prigioni; ma non osò assalire la rôcca.279 La qual debole fazione scopre i travagli che aveano in casa i Musulmani di Sicilia e l'agitamento generale della schiatta arabica contro i Fatemiti, il quale scoppiava ad ora nelle città d'Affrica.280

      Tra così fatte disposizioni d'animi, Ibn-abi-Khinzîr volle dare un banchetto ai primarii nobili nel palagio di Palermo. I convitati sedeano nella sala, quando alcun s'addiè, o il finse,281 d'una sinistra commozione tra gli schiavi dell'emiro; d'un luccicar di spade che si porgessero l'un l'altro; e balzando in piedi sclamò: “Siam traditi;” e tutti corsero alle finestre a gridare: “All'armi; all'armi!” Fresca era la memoria dello Sciita, trucidato insiem col fratello alle soglie del Mehdi;282 Ibn-abi-Khinzîr non pareva uom da scrupoli; l'universale degli Arabi di quel secolo ridea, certo, come di romanzo della ospitalità cavalleresca de' lor padri Beduini: tra tanti vizii, tra tanti odii, credibilissimo il tradimento, e assai volentieri creduto. D'un subito, dunque, trasse il popolo in piazza; s'affollò dinanzi il palagio; trovate chiuse le porte, v'appiccò fuoco; nè si racchetò quando usciron sani e salvi i convitati, i quali al certo non dissero che avean sognato. Ibn-abi-Kinzîr, fattosi ad arringare il popolo, perdeva indarno il fiato; gli troncavan le parole con minacce e villanie; finchè vistili in punto d'irrompere nelle sue stanze, cercò scampo saltando in una casa contigua, ma cadde, si spezzò una gamba, e fu preso e messo in carcere. Per tal modo fallì il tradimento dell'emiro o riuscì la calunnia dei nobili: ch'io nol so. I nobili scriveano il caso al Mehdi; il quale perdonava ai sollevati e deponea d'oficio Ibn-abi-Khinzîr, bastandogli che fosse posato il tumulto in Palermo e preso il governo provvisionalmente da Khalîl, Preposto della Quinta.283 Seguiron cotesti avvenimenti innanzi il ventisette dsu-l-higgia del dugentonovantanove (13 agosto 912), quando giunse in Sicilia, mandato dal Mehdi, un novello emiro per nome Ali-ibn-Omar-Bellewi.284

      Vivea di questo tempo in Sicilia un Ahmed-ibn-Ziadet-Allah-ibn-Korhob;285 uom d'alto affare, di molta ricchezza, di nobil casa arabica devota agli Aghlabiti; che dei suoi maggiori, un fu primo ministro d'Ibrahim-ibn-Ahmed; un altro, forse il padre, espugnò Siracusa,286 e un congiunto o fratello avea tenuto poc'anzi il governo dell'isola.287 Par che il principe fatemita, non trovando modo a maneggiar la colonia siciliana, se ne fosse consultato con Ibn-Korhob, avversario sì, ma intero e leale; poichè sappiamo che costui scrisse al Mehdi: “Se vuoi dar sesto al paese, mandavi grosso esercito che lo domi e strappi la potestà di mano ai capi; se no, la colonia rimarrà in perpetuo disubbidiente alle leggi; ad ogni piè sospinto moverà tumulto contro gli emiri e te li rimanderà a casa svaligiati.”288 In suo laconismo, Ibn-Korhob accennava, com'io credo, con una voce sola alle due maniere di capi ch'erano nelle popolazioni musulmane dell'isola, i magistrati cioè dei Berberi e i nobili degli Arabi; capi di consorterie di due nature diverse, ma preposti in entrambe a molti negozii civili e insieme al comando delle milizie. Tale la potestà, capitaneria, dice litteralmente la cronica, che occorreva abolire in Sicilia. Mettendo da parte i Berberi e risguardando agli Arabi, cotesta espressa testimonianza, confermata da tutti i ricordi dei tempi susseguenti, mostra cresciuto ormai e soverchiante nella colonia un terzo male, non men grave dell'antagonismo di schiatta e, direi quasi, del dispotismo affricano. L'insolenza dei nobili non era apparsa per lo addietro, non essendo adulta la cittadinanza che potesse risentirsene, come quella del Kairewân e d'altre città d'Affrica. Però si notava degli ottimati la sola resistenza al principato e confondeasi col sentimento di libertà coloniale; però la plebe di Palermo parteggiava tuttavia per toro e tardò altri trent'anni a tediarsene. Mancando dunque il popolo, altro partito non rimaneva che sceglier tra due mali, dispotismo fatemita o sfrenamento d'oligarchia; e ad Ibn-Korhob parve meno intollerabile il primo. Ciò dia la misura dell'altro. E dimostri anco la virtù di quel gran cittadino, ch'era nobile, ortodosso, affezionato agli Aghlabiti e Siciliano: e diè consiglio contrario a tutti interessi e umori di parte. Non andò guari ch'ei compiva maggior sagrifizio, gettandosi nella voragine della rivoluzione; non per leggerezza, non per vanità, non per ambizione, ma ad occhi aperti, per religion d'animo generoso, quando conobbe che v'era da tentar con un dado contro cento, la liberazione della patria dall'Affrica insieme e dall'anarchia.

      Entrando l'anno di Cristo novecento tredici, tutta la Sicilia era levata di nuovo a romore: cacciato di Palermo il Bellewi, debil vecchio e molesto;289 cacciato di Girgenti Ali-ibn-abi-Khinzîr, fratello di Hasan, e saccheggiatagli la casa;290 ucciso a dì venzette gennaio dai

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<p>270</p>

Nowairi, l. c.

<p>271</p>

Si legge nella Cronica di Gotha, versione del Nicholson, p. 79, che nel 294 (906-7) Ziadet-Allah mandò ambasciatori a Costantinopoli ed accolse onorevolmente a Rakkâda un oratore bizantino.

<p>272</p>

Riâdh-en-nofûs, manoscritto di Parigi, fog. 67 verso.

<p>273</p>

Abd-Allah-ibn-Sâigh, ultimo vizir di Ziadet-Allah, s'era imbarcato per la Sicilia quando il principe prese la fuga. Veggasi Nowairi, Storia d'Affrica, in appendice alla Histoire des Berbères par Ibn-Khaldoun, versione di M. De Slane, tomo I, p. 444. Certamente Ibn-Sâigh non fu il solo a tentar questa via.

<p>274</p>

I fatti esteriori si ritraggono riscontrando Ibn-el-Athîr e Nowairi, ll. cc.; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, trad. di M. Des Vergers, p. 158, 159; Abulfeda, Annales Moslemici, an. 296, presso Di Gregorio, p. 78; Scehab-ed-dîn, ibid., p. 59.

Il nome compiuto di Ibn-abi-Khinzîr si legge nel Baiân, tomo I, p. 148; al par che l'oficio di wâli, conferito dallo Sciita, a lui nella città di Kairewân e ad un altro fratello per nome Khalf nel Castel-vecchio. Ibn-Khaldûn, l. c., afferma che Ibn-abi-Khinzîr fosse stato dei notabili della tribù di Kotama. Lo credo, piuttosto dei principali della setta, ma di schiatta arabica. L'Haftariri che si legge tra i nomi di questo governatore di Sicilia nella versione latina di Abulfeda, è falsa lezione di Abi-Khinzîr. Questo soprannome poi del padre, suona in lingua nostra “Quel dal cinghiale.”

È bene avvertire che il Rampoldi, Annali Musulmani, an. 909, tomo V, p. 119, 123; sognò un viaggio del Mehdi in Sicilia e parecchi aneddoti della sollevazione di Palermo contro Ahmed-ibn-abi-Hosein-ibn-Ribbâh; i quali non sembrano errori di compilatori arabi ch'egli avesse avuto per le mani, ma particolari aggiunti del proprio al Nowairi e agli annali chiamati di Scehab-ed-dîn.

<p>275</p>

Il nome di costui si legge nel Baiân, tomo I, p. 129.

<p>276</p>

Ibn-el-Athîr e Ibn-Khaldûn, ll. cc.

<p>277</p>

Nowairi, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 12.

<p>278</p>

Idem, p. 13, e Chronicon Cantabrigiense, presso Di Gregorio, p. 44.

<p>279</p>

Ibn-el-Athîr e ibn-Khaldûn, ll. cc.

<p>280</p>

Baiân, tomo I, p. 158 a 172.

<p>281</p>

Il solo cronista che racconti questo episodio adopera qui una voce che può significare: “suppose o diede a credere.”

<p>282</p>

Al dir dei cronisti, più degni di fede, lo Sciita fu assassinato di febbraio 911. Il tumulto di Palermo accadde nella state seguente o più tardi; poichè Ibn-abi-Khinzîr, venuto d'agosto 910, andò all'impresa di Demona nella primavera o nella state del 911.

<p>283</p>

Sâheb-el-Khoms. Per errore del Caruso (Chronicon Cantabrigiense, an. 6421), seguito dal Di Gregorio, dal Martorana e dal Wenrich, questo titolo di oficio fu tradotto “Signore d'Alcamo:” ed è sbaglio da non perdonarsi ad orientalista. M. Caussin, che v'era caduto anch'egli, cercò di correggerlo nella versione francese del Nowairi, pubblicata in Parigi, p. 24.

<p>284</p>

Si confrontino: Ibn-el-Athîr, an. 296, MS. A, tomo II, fog. 198 verso; MS. C, tomo IV, fog. 290; Nowairi, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 12, 13; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 159. I particolari del tumulto e il governo provvisionale di Khalîl son riferiti dal solo Nowairi. Ho seguíto quest'ultimo per la data dell'arrivo di Ali-ibn-Omar in Sicilia.

Ibn-el-Athîr, an. 296, MS. A, tomo II, fog. 200 recto; e MS. C, tomo IV, fog. 290 verso, nel capitolo intitolato “Racconto della uccisione di Abu-abd-Allah lo Sciita,” narra la rivolta di un Ibn-Wahb in Sicilia. Riscontrandola coi capitoli dei fatti di Sicilia posti sotto la rubrica del 296 e del 300, si vede che quella narrazione non regge; e che fu tolta, senza molta critica, da qualche racconto della rivoluzione d'Ibn-Korhob nel 300, nel quale erano sbagliati il nome e la data.

<p>285</p>

Così in uno squarcio di A'rib, inserito nel Baiân, tomo I, p. 169. Gli altri cronisti, accorciando, scrivono Ahmed-ibn-Korhob.

<p>286</p>

Veggasi il Lib. II, cap. IX, tomo I, p. 400, nota.

<p>287</p>

Mohammed-ibn-Sirakusi eletto emir nel 903. Siracusa fu presa, distrutta e abbandonata nell'878. Il padre dunque non poteva esser nato in quella città, e dovea il nome di Siracusano alla vittoria.

<p>288</p>

Ibn-el-Athîr, an. 300, MS. A, tomo II, fog. 206 recto; MS. B, tomo IV, fog. 293 recto. Il primo MS. in vece della lezione “domi” ha “disperda.” Questo squarcio fu dato da M. Des Vergers, nello Ibn-Khaldûn, p. 161, nota.

<p>289</p>

Ibn-el-Athîr, an. 300, MS. A, tomo II, fog. 205 verso, MS. C, tomo IV, fog. 293; Nowairi, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 13; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 159.

<p>290</p>

Baiân, tomo I, p. 169.