Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II. Amari Michele

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Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - Amari Michele

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href="#n348" type="note">348 i Bizantini presero e riperdettero entro quattr'anni (891-895) lo stato di Benevento; si provarono indarno contro Capua e Salerno; furon costretti a collegarsi coi principati longobardi (908-916) contro i Musulmani del Garigliano;349 non seppero nè prevenire nè reprimere la ribellione di tante città di Puglia e di Calabria che si davano (921) a Benevento; nè l'impero le riebbe altrimenti che per pratiche col principe Landolfo.350 In questo mentre non si pagò il tributo ai Musulmani di Sicilia.

      E per dieci anni i miseri popoli dell'Italia meridionale vider venire di Sicilia, sotto le insegne fatemite, nuove facce di predoni stranieri: in cambio d'Arabi, di Berberi, di Negri, più fiera genía settentrionale. Perchè il Mehdi par non si fidasse di rendere le armi all'universale de' Musulmani in Sicilia, non degli Arabi in Affrica; i Kotamii suoi gli servivano a spegnere gli incendii in casa ed a tentare il conquisto d'Egitto, massima ambizione di sua dinastia. Adocchiò allora i giannizzeri prediletti d'Ibrahim-ibn-Ahmed: gli Slavi, derrata di prima qualità nel commercio di schiavi che conduceasi nel Mediterraneo dal settimo al decimo secolo, talchè par abbian dato il nome alla cosa.351 Gente sobria del resto; prode nelle armi, amante di libertà più che niun altro popolo di que' tempi, nelle province europee dov'era costituita a governo suo proprio; gente anco umana verso gli schiavi che riteneva in casa:352 ma non le parea male di vendere gli uomini del suo stesso sangue e del germanico, presi nelle guerre e nei ladronecci di confini.353 Allora, sì com'oggi, il grosso della schiatta slava occupava l'Europa orientale; s'addentellava coi popoli finnici, con l'impero germanico, coi Magiari, con l'impero bizantino: Schiavoni, Croati, Serbi ed altri rami slavi ingombravano le regioni a levante dell'Adriatico; mettean tralci infino al Peloponneso; frammezzati ad avanzi più o meno frequenti delle antiche popolazioni; fatti cristiani di fresco; e dove vicini temuti, dove tributarii, dove sudditi di Costantinopoli.354 Lo sbocco principale di loro schiavi era l'Adriatico; gli emporii eran tenuti da essi e dalle città latine e greche della costiera orientale; i navigatori della costiera italiana aiutavano al trasporto; i Musulmani del Mediterraneo, dalla Spagna alla Siria, più che altri popoli, consumavan cotesta merce, in soldati, paggi ed eunuchi. E il Mehdi ne congegnò una macchina produttrice di novelle derrate: il bottino, dico, e i prigioni che gli Slavi gli andassero a buscare in terraferma d'Italia.355

      La prima frotta, passata d'Affrica in Sicilia su barcacce, piombava di notte a Reggio, nella state del novecentodiciotto; prendea la città senza contrasto.356 Sopravvenne, del novecento ventiquattro, lo schiavo liberto slavo Mes'ud,357 con venti galee; il quale occupò la rôcca di Sant'Agata, quella, credo io, presso Reggio,358 e tornossene a Mehdia coi prigioni.359 Assaporato il qual guadagno, il principe apprestò maggiore espedizione, affidata all'hâgib, o vogliam dir primo ministro, Abu-Ahmed-Gia'far-ibn-Obeid; il quale veniva il medesimo anno con armata poderosa a svernare in Sicilia.360 Alla primavera del novecentoventicinque passò in Calabria; s'insignorì di Bruzzano361 e di molti altri luoghi; alfine andò ad osteggiare Oria, in Terra d'Otranto. Fazione importantissima, sanguinosa, notata nelle cronache cristiane con l'epigrafe: quest'anno, del mese di luglio, Oria fu presa;362 se non che oggi l'attestato d'uno scrittore ebreo che vi fu fatto prigione dà precisamente il primo luglio;363 ed un brano d'annali musulmani ci fa argomentare che si fossero ridotte in Oria le forze bizantine della Calabria, riparate le popolazioni d'un gran tratto di paese, sostenuto un assedio o almen mostrata la faccia a' nemici nell'assalto. Tanto significa il fatto che Gia'far v'uccise seimila combattenti, tra la battaglia e dopo, s'intende; che trassene diecimila prigioni e presevi un patrizio, il quale riscattava sè stesso e la città per cinquemila mithkâl d'oro,364 o vogliam dir settantaduemila lire italiane.365 Il capitan musulmano stipulò anco la tregua per tutta la Calabria, datigli statichi a sicurtà del tributo, lo stratego della provincia e un Leone vescovo di Sicilia;366 coi quali ripartì per l'isola a' diciannove di luglio.367 Par si fosse fermato il trattato a Taranto; poichè l'autore che testè citai, nato probabilmente in Calabria, il dotto medico Sciabtai Donolo, narra che preso ad Oria con molti altri Giudei, fu condotto a Taranto e quivi riscattato.368 Giunto in Sicilia Gia'far significò immantinenti la vittoria al principe fatemita; indi gli recò egli stesso il bottino a Mehdia: fece ammonticchiare in una sala della reggia drappi di seta a disegni e colori,369 gioielli, moneta e ogni roba di pregio. Il Mehdi se li godea con gli occhi, quando un cortigiano che gli era allato “Oh padrone,” sclamò, “non vidi mai sì gran tesoro!” e il Mehdi a lui: “È il bottino d'Oria.” Onde l'adulatore per bruciare incenso al primo ministro, “Puoi chiamare uom fidato,” ripigliò, “chi ti riporta a casa tutto questo.” Ma il principe avaro gli troncò la parola: “Perdio, s'è mangiato il camélo e me ne reca gli orecchi!”370 I prigioni furono venduti in Affrica.371

      Intanto si fermava tra le corti di Mehdia e di Costantinopoli un trattato che ratificò, a quanto parmi, i patti di Calabria e que' d'Ibn-Korhob. Narra il Cedreno, com'apprestandosi Simeone re dei Bulgari a nuovo assalto sopra la capitale dell'impero, mandava a propor lega al principe d'Affrica ch'aiutasse dalla parte sua col navilio; e l'Affricano assentiva e rinviava gli ambasciatori bulgari insieme coi propri per ultimar la cosa, quando gli uni e gli altri caddero in man de' Greci in Calabria e furon addotti a Costantinopoli. Romano Lecapeno, per sturbare la lega, ritenne i prigioni bulgari; rese gli affricani al signor loro, con doni e profferta di soddisfare il tributo della Calabria; e sì bene condusse la pratica, che il Fatemita fermava la pace con esso lui e gli rimettea metà della somma promessa dalla imperatrice Zoe; onde il tributo scemò a undicimila bizantini all'anno. E così rimase in dritto fino alla esaltazione di Niceforo Foca (963); ma in fatto, gli strateghi di Calabria onesti il pagavano, e i ladri si metteano il danaro in tasca.372 Tanto il Cedreno, senza data precisa e sbagliando il nome del Mehdi;373 il che non porta punto a mettere in dubbio la cosa.

      Cotesta pace e le vicende che le tenner dietro, dettero argomento a supporre altra maggiore vergogna dell'impero bizantino, che si è ripetuta infino ad oggi e sembra esagerata, anzi trasnaturata. Liutprando, trent'anni appresso il trattato,374 scrivea avere inteso a dire che Romano Lecapeno, quando gli si ribellaron le Calabrie e la Puglia, non trovando modo a ripigliarle, chiese aiuto ai Musulmani d'Affrica; ch'essi vennero in Italia con esercito innumerevole; che, soggiogate le province, reserle ai Greci; e fornita lor cortesia, “giraron verso Roma e s'andarono a porre al Garigliano:” il quale anacronismo di mezzo secolo,375 per certo non aggiugne fede al racconto. Nelle altre croniche cristiane, negli annali musulmani, non troviamo vestigia di cotesta avventura;376 a meno che il trattato riferito del Cedreno non si voglia supporre anteriore alla fazione d'Oria, e questa combattuta non contro le armi bizantine ma contro i ribelli: che sarebbe far troppo lavoro di fantasia. Pertanto io tengo falsa la tradizione; la quale nacque dal trattato di pace e dall'odio immenso e giusto che portavano tutti gli Italiani ai Greci. Liutprando l'accettò lietamente, non solo per quel suo mortalissim'odio, e disprezzo e dispetto contro la corte di Costantinopoli, ma anche per l'analogia dei fatti che seguivano al suo tempo, quando

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<p>349</p>

Si vegga il capitolo precedente.

<p>350</p>

Cedreno, ediz. Niebuhr, tomo II, p. 355, 356.

<p>351</p>

Su gli stanziali ed eunuchi slavi comperati dai principi musulmani in cotesti tempi, si vegga Reinaud, Invasions des Sarrazins en France etc., parte IV, pag. 233, seg. – I nostri antichi non son mica esenti di biasimo nel commercio degli schiavi. Nell'ottavo secolo i Veneziani ne cavavano gran guadagno e ne teneano mercato anche a Roma. Il papa Zaccaria lo vietò nel 748. Veggasi Anastasio Bibliotecario presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo III, p. 164. Carlomagno riprese Adriano I nel 785 di tollerare questo scandalo; e il papa si scusò dicendo che lo faceano i Greci e i Longobardi. Veggasi Codex Carolinus, ediz. Gretser, epist. 75. Altri divieti simili ai Veneziani nell'887 e 960 sono notati dal Muratori, Annali d'Italia, 960.

<p>352</p>

Leonis imperatoris, Tactica, cap. XVIII, presso Meursius, Opera, tomo IV, e versione francese di Maizeroi.

<p>353</p>

Su questa promiscuità di schiatte che si menavano al mercato, veggansi le autorità allegate da M. Reinaud, op. cit., p. 235, 236.

<p>354</p>

Constantini Porphyrogeniti, De administrando imperio, cap. 29, 31, 49, 50. Si confronti con l'importante studio di Lelewel, Géographie du moyen age, Bruxelles 1852, tomo III, capitolo Slavia.

<p>355</p>

Con queste bande di schiavi, la più parte forse non Musulmani, si poteva eluder la legge che accorda quattro quinti della preda ai combattenti. Si vegga più innanzi l'aneddoto del bottino d'Oria.

<p>356</p>

Chronicon Cantabrigiense presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 45, an. 6246 (1º settembre 917 a 31 agosto 918). Debbo qui accennare altre fazioni che si sono supposte. Il Rampoldi, Annali Musulmani, 919, 921 (tomo V, p. 148, 150), fa occupare da Salem-ibn-Râscid, emir di Sicilia, prima Lipari, pei vari luoghi sul Volturno e sul Garigliano; e lo fa combattere a capo d'Anzio contro Giovanni X. Quest'ultima è ripetizione gratuita del fatto del 916 del Garigliano. Il nome di Salem è tolto da Nowairi; quel di Lipari non so donde; il resto è accozzato di fantasia su qualche cenno degli annalisti italiani. Il Martorana, tomo I, p. 84, ed il Wenrich, lib. I, cap. XII, § 104, replicano cotesti fatti, citando Rampoldi, che ne dee rispondere veramente, e il Giannone, lib. VII, cap. IV; il quale non recò tutte quelle favole, ma confusamente vi accennò e v'aggiunse una novella banda saracena afforzatasi al Gargano. Così gli parve correggere la voce Garigliano e con essa l'anacronismo di Liutprando, Antapodesis, lib. II, cap. XLV.

Si legge nel Muratori, Annali d'Italia, e indi in quei che l'hanno compendiato o anche combattuto. Che nel 919 Landolfo e Atenolfo riportassero non poche vittorie sopra i Saraceni a i Greci. La sorgente è un passo della Cronica del monastero al Volturno, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte II, p. 418, nel quale si fa quel vago cenno senza data, dopo un documento del 916. Ma il testo si riferisce in generale al regno di que' due principi, e però allude alle vittorie che riportarono contro i Musulmani del Garigliano il 916 e innanzi, e contro i Bizantini dopo il 920.

Finalmente le interpolazioni alla Cronaca della Cava e la falsa Cronica di Calabria, portano tanti scontri dei paesani coi Musulmani; di che il Martorana ha accettato alcuni e altri no.

<p>357</p>

Questo è dei nomi che i Musulmani solean porre agli schiavi.

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In Calabria sola v'ha tre luoghi di tal nome.

<p>359</p>

Confrontinsi: Chronicon Cantabrigiense, l. c., an. 6432 (1º settembre 923 a 31 agosto 924), e Baiân, tomo I, p. 192, an. 310 (30 aprile 922 a 19 aprile 923).

<p>360</p>

Baiân, tomo I, p. 194, an. 312 (8 aprile 924 a 27 marzo 925).

<p>361</p>

Chronicon Cantabrigiense, l. c., an. 6433. Il nome è scritto senza punti diacritici; ma Bruzzano par la lezione più plausibile.

<p>362</p>

Chronicon Barense, presso Muratori, Antiquitates Italicæ, tomo I, p. 31; e Lupo Protospatario, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo V, p. 38; dei quali il primo attribuisce l'impresa ai Saraceni, e parla di uccisi e di prigioni; il secondo la riferisce agli Sclavi, l'anno 924.

<p>363</p>

Sciabtai (o Sabbathai) Donolo, prefazione al libro Hakmoni, nella raccolta di Miscellanee ebraiche, intitolata Melo-Sciofnayim, e pubblicata dal signor Geiger, rabbino di Breslau, Berlino 1840, p. 31; da confrontarsi col MS. ebraico della biblioteca imp. di Parigi, Ancien Fonds, 266. Il nome della città, scritto senza segni vocali aur s, fece supporre una volta che si trattasse di Aversa; ma non è dubbio che vada letto Aurias. Il giorno della occupazione è il lunedì 9 di tammuz dell'anno ebraico 4685. Debbo cotesti ragguagli al dotto orientalista signor Derembourg, che ha esaminato il MS. di Parigi.

Donolo (Δόμνουλος) ricomparisce medico famoso in Calabria verso la metà del decimo secolo, e rivaleggia in sua arte col taumaturgo San Nilo il giovane. Veggasi Vita sancti patris Nili junioris etc., greco-latina, pubblicata da Gio. Mat. Caryophilo, Roma 1624, in-4, p. 88.

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Baiân e 'Arîb, tomo I, p. 195.

<p>365</p>

Il mithkâl è nome di peso, e in oro equivale al dinar, ch'io ragiono a un di presso a lire 14,50.

<p>366</p>

Chronicon Cantabrigiense, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 46, an. 6434 (1º sett. 925 a 31 agosto 926). La testimonianza concorde di Lupo Protospatario, del Baiân e di Sciabtai Donolo ci fa supporre che la Cronica di Cambridge abbia registrato il fatto nel settembre, quando forse arrivò in Palermo Gia'far con la preda e i prigioni. Il Baiân e la detta Cronica mi è parso che accennassero a due patti diversi; l'uno per la città d'Oria, l'altro per tutta la Calabria; sotto il qual nome andava anco la terra d'Otranto. Di quale diocesi in Sicilia fosse vescovo Leone non si ritrae. Non era egli al certo lo stratego di Calabria, come ha supposto il Wenrich (lib. I, cap. XII, § 105, p. 141), male interpretando la Cronica di Cambridge, e non riflettendo che l'impero bizantino non affidò mai governi ai vescovi.

<p>367</p>

Il 25 rebi' secondo del 313. Baiân, l. c. Il testo dice positivamente che Gia'far arrivò in Sicilia quel giorno. Le altre autorità citate mi portano a correggere che partì per la Sicilia quel giorno.

<p>368</p>

Sciabtai Donolo, l. c.

<p>369</p>

Nel testo, dibâg, che è corruzione della voce greca δίβαφος, pervenuta agli Arabi per mezzo dei Persiani, i quali la scrivono dibâh.

<p>370</p>

Baiân, l. c.

<p>371</p>

Lupo Protospatario, l. c.

<p>372</p>

Cedreno, ediz. di Parigi, tomo II, p. 650; ediz. di Bonn, II, 356, seg.

<p>373</p>

Il nome nel testo è φατλοῦν; forse dovea dire φατμοῦν, perchè il Mehdi non ebbe tra i suoi nomi questo di Fadhl; e, da un'altra mano, le lettere λ e μ si scambiano assai facilmente nei manoscritti greci. Le Beau, Histoire du Bas Empire, lib. LXXIII, § 53, pone questa negoziazione nel 923, ch'è la data d'una delle tante imprese di Simeone contro Costantinopoli. Ma la narrazione del Cedreno si può ben applicare ai tre anni seguenti, fino alla morte di Simeone. D'altronde, la pratica di Simeone col Mehdi precedette forse di parecchi anni la conchiusione della pace tra il Mehdi e Romano.

<p>374</p>

Liutprando, Antapodesis, lib. II, cap. LXV, presso Pertz, Scriptores, tomo III, p. 296. Si sa che l'autore cominciò a scrivere a Francfort verso il 958. Pertz, vol. cit., p. 264.

<p>375</p>

Romano Lecapeno salì al trono il 919; regnò solo dal 920; perdè la Calabria il 921. I Musulmani si afforzarono ai Garigliano verso l'882, e ne furono scacciati il 916.

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Il monaco dello stato romano Benedetto di Sant'Andrea, che scrisse negli ultimi anni del decimo secolo una rozza cronica infiorata di romanzi, accenna (presso Pertz, Scriptores, ec., tomo III, p. 713); le ambascerie dei Romani a Palarmo et Africe, perchè venissero a pigliare il regno d'Italia, e dice ch'essi andarono per tal cagione ad Amalfi e al Garigliano. Ma ciò si riferisce evidentemente alle pratiche d'Atanasio vescovo di Napoli (879-882), e non avvalora le parole di Liutprando, nè porta ad anacronismi.