Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II. Amari Michele

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Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - Amari Michele

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secolo, alla esaltazione dei Fatemiti; quando si vide per prova la efficacia di coteste trame nella schiatta berbera, e quando la servile superstizione ismaeliana insultò e provocò i liberi spiriti dei Kharegi. Surse allora nel Gerîd tunisino, o vogliam dire regione meridionale dell'odierno Stato di Tunis, un Abu-Iezid-Mokhalled-ibn-Keidâd della tribù d'Ifren e nazione di Zenata; uom povero, piccino, zoppo, deforme in volto, ma di grande intelletto e animo da bastare a qualunque impresa; il quale, noiato di stentar la vita insegnando il Corano ai giovanetti, si mescolò coi dottori nakkariti che volean fare e non sapeano; divenne dei principali della setta; osò allargarla e mutarla in cospirazione. A capo d'una ventina d'anni d'affaticamento e persecuzioni, imprigionato dal governatore di Tauzer, liberato da' suoi per audace colpo di mano, si rifuggiva all'altra estremità dell'impero fatemita, tra i monti Aurès; dove accozzatisi con esso altri rami di sètte kharegite ed alcune tribù della nazione di Howâra, l'anno trecentrentuno (942-43) si deliberò la ribellione: che Abu-Iezîd ne fosse capo, e che, cacciati i Fatemiti, l'Affrica si reggesse a repubblica. Abu-Iezîd s'intitolò democraticamente Sceikh dei Credenti; si mostrò alla testa degli eserciti, vestito d'un rozzo saio di lana; montato sur un asinello balzano; onde gli dissero “Il cavalier del ciuco.” E con centomila Berberi di varie tribù, di varie sètte, feroci tutti e indisciplinati, occupò l'Affrica propria. Delle molte battaglie ch'ei combattè con varia fortuna, sempre con valore e costanza, ricorderemo sol due, nelle quali gli stette a fronte un Siciliano, probabilmente di schiatta greca, per nome Boscera,446 schiavo di Kâim. Aveva il califo a un tempo mandato Khalîl-ibn-Ishak a Kairewân, e questo Boscera con un esercito a Begia, città dentro terra tra Tunis e Bona, perchè la difendesse contro il ribelle che s'avanzava a quella volta, l'anno quarantaquattro. Appiccata la zuffa andavano in volta i seguaci d'Abu-Iezîd, quand'ei corso addosso ai fuggenti, smontava dal destrier di battaglia, si facea recare il baston da pellegrino, e l'asinello balzano; lo cavalcava gridando: “Così fa chi vuol non fuggire, ma vincere o morire!” Li rattestò; girò di fianco, tanto che giunse dietro gli accampamenti di Boscera, minacciando tagliargli la ritirata. Alla quale mossa, il capitano fatemita fe' suonare a raccolta; precipitosamente prese la via di Tunis, inseguito da Abu-Iezîd; il quale gli uccise gran gente; prese e messe a sacco Begia; occupò Tunis, abbandonata anco da Boscera che indietreggiava a Susa. Quivi gli giunsero rinforzi di Mehdia, e ordini di Kâim che ripigliasse le offese. Onde uscito da Susa, trovandosi a fronte un luogotenente d'Abu-Iezîd per nome Aiûb-ibn-Kheirân, combatterono ad Herkla, com'or si chiama, in sul golfo di Hammamet; dove trionfò Boscera con grande strage dei nemici; ma ritirossi a Mehdia pria che lo sopraggiugnesse Abu-Iezîd, col grosso dell'esercito.447 Così, facendo una punta quando si poteva, Kâim contese l'Affrica ai ribelli; senza impedire che il medesimo anno cacciassero i suoi d'ogni luogo, fuorchè Susa e Mehdia, e lo assediassero nella capitale (gennaio 945). Occuparono tosto i sobborghi; dettero assalti alla fortezza, un de' quali (luglio 945) recò tal paura; che grande numero di cittadini, massime i mercatanti, rifuggivansi chi in Tripoli, chi in Egitto, molti in Sicilia.

      Nondimeno le fortificazioni di Mehdia salvarono la dinastia, dando tempo alla dissoluzione delle forze d'Abu-Iezîd che si componeano d'elementi eterogenei. La cittadinanza di Kairewân, e, poco più poco meno, il rimanente della schiatta arabica, mal soffriva la eresia nekkarita, quantunque Abu-Iezîd per soddisfar loro avesse ristorato in pubblico il culto ortodosso. Peggio potean tollerare le licenze e rapine dell'esercito, e la dominazione dei Berberi. Però la municipalità di Kairewân, quando aprì le porte ad Abu-Iezîd, fece secolui un accordo che si chiamassero gli Omeiadi di Spagna; ai quali furono mandati veramente oratori: e gli Omeiadi promesser molto, ma non si venne a conchiusione.448 Intanto Abu-Iezîd, inebbriato dell'aver che fare con gentiluomini, si vestì di seta, montò bei cavalli, e si alienò gli animi dei Kharegi più schietti o più rozzi; de' quali un gli surse contro con le armi; altri a poco a poco l'abbandonavano; nè gli valse allora ripigliar l'asinello e la casacca di lana. La difficoltà dell'impresa di Mehdia, accrebbe le discordie tra gli assedianti. Vi si aggiunse la virtù d'Ismaele figliuolo di Kâim, giovane animoso, eloquentissimo, attivo, dotato di sagacità politica e di gran vedere nelle cose di guerra, al quale il padre affidò il comando supremo.

      Donde Abu-Iezîd, ributtato in varii assalti, vedendo assottigliare l'esercito da' malcontenti che se ne andavano e da' masnadieri che correano qua e là per l'Affrica in busca di più facil preda, partitosi di Mehdia (gennaio 946), osteggiò Susa, cui sperava ridurre di leggieri; e gli fallì. Venuto intanto a morte Kâim (maggio 946), Ismaele l'occultò; poi, avuti segnalati avvantaggi sopra il ribelle, promulgò la esaltazione al trono; preso il soprannome di Mansûr-biamr-Illah, o diremmo “Vittorioso per voler di Dio.” Continuando la guerra in persona, incalzò Abu-Iezîd ritrattosi negli Aurès; dopo fieri combattimenti lo assediò in un castello tra i monti di Kiâna; donde il ribelle tentò una sortita: fu colpito in fronte e alle spalle; fuggì; lo presero; e dopo pochi giorni morì di sue ferite (agosto 947). I Nekkariti intanto erano uccisi per tutta l'Affrica alla spicciolata. Fadhl, figliuolo di Abu-Iezîd, che rimase in su le armi dopo il padre, fu morto a tradimento e mandata la testa a Mansûr; morto a tradimento Aiûb, altro figliuolo rinomato scrittore di genealogie berbere; perseguitata fieramente tutta la tribù d'Ifren.

      Così ebbe fine dopo quattro anni la ribellione nekkarita. Kâim, serrato in Mahdia, non s'era trovati altri amici fedeli che la tribù di Kotâma e una parte della nazione di Sanhâgia che ubbidiva a Zîri-ibn-Menâd: e da ciò venne la grandezza della casa di Zîri, che regnò in Affrica per due secoli. Capitano e consigliere fidatissimo di Mansûr nella medesima guerra fu Abu-l-Kâsem-Hasan-ibn-Ali-ibn-Abi-Hosein, della tribù arabica di Kelb; rimunerato incontanente col governo della Sicilia, che rimase per un secolo a' suoi discendenti.449 Aggiugne un diligente compilatore, essersi dato ad Hasan tal altro carico che parrebbe macchia ai nomi più infamati dei nostri dì; ma lo possiam credere al decimo secolo, sì come i posteri sarà forza che credano al secol decimonono il supplizio del bastone in Italia. Quel prode e colto Mansûr avea fatto scorticare il cadavere d'Abu-Iezîd, imbottir di bambagia la pelle e condurre il misero sembiante per cinque mesi per le città principali d'Affrica, legato sopra un camelo, in mezzo a due scimmie addestrate a schiaffeggiarlo e pelargli la barba. Or si narra che Hasan dovesse recarlo a spettacolo in Sicilia, con giunta della testa di Fadhl, ucciso di fresco. Se non che il legno fece naufragio; la pelle d'Abu-Iezîd fu salvata; e si tennero contenti d'appenderla a quella stessa porta di Mehdia, ov'egli era arrivato a piantare una lancia al tempo dell'assedio.450

      In Sicilia per sei anni non s'erano più udite nè guerre nè tumulti, ma furti, soprusi, violenze private: il forte, dice la cronica, si mangiava il debole;451 accennando senza dubbio alle enormezze dei nobili e dei condottieri berberi e mercenarii che avea lasciato Khalîl. Nè l'abbondanza potea succedere alla fame, là dove mancavan le braccia a coltivare il suolo, dopo la orrenda cavata di sangue del novecenquaranta. In questo incontro un Crinite, armeno, stratego di Calabria,452 incettava frumento a basso prezzo nella provincia e rivendealo a peso d'oro nella Sicilia oppressa (son le parole di Cedreno) dalla fame e dalla guerra che vi portarono i Cirenaici; nella quale guerra i Romani dettero asilo ai fuggitivi Cartaginesi, nè lor nazione osò ridomandarli nè esigere il tributo, temendo non i Romani negassero le vittuaglie.453 Traducendo cotesti nomi di storia antica che i Bizantini non sapeano smettere, si ha la confermazione di quanto ci narrano gli scrittori arabi. Si ritrae che il Crinite continuava suo traffico almen fino al novecenquarantacinque; poichè l'imperatore che lo spogliò dell'oficio e dei danari mal tolti, fu Costantino Porfirogenito.454

      Veramente la colonia di Sicilia in questo breve tratto era divenuta ludibrio delle genti vicine. Ibn-'Attâf e Ibn-Kufi preposti da Khalîl, quand'ei tornossi in Affrica, sembrano proprio il capo bargello e il capo riscotitore; nè alcuno avea titolo d'emir, come poc'anzi Sâlem: motewalli, in fatti, li chiama la cronica siciliana, che vuol dire “delegati” e litteralmente “pseudo-wâli.”

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<p>446</p>

È voce arabica che significa “buona nuova;” un de' nomi che volentieri si davano alli schiavi. Andrebbe meglio trascritta in francese Bochra, che non si può rendere col nostro alfabeto. Tigiani dice costui siciliano (sikilli); il testo d'Ibn-Khaldûn pubblicato da M. De Slane porta Schiavone (saklabi); nè so determinar la vera lezione. La critica storica ci ricorda che tra gli schiavi e mercenarii dei Fatemiti vi fossero al paro e Siciliani e Slavi. La differenza tra coteste due voci in scrittura arabica è lievissima, e però il merito dei MSS. non può servire di argomento decisivo. Nondimeno, Tigiani fu erudito più diligente che Ibn-Khaldûn, e i MSS. delle sue opere, copiati assai men sovente che quelli d'Ibn-Khaldûn, sembrano men sospetti d'errore.

<p>447</p>

Queste due battaglie sono raccontate da Tigiani, Journal Asiatique, série IVe, tome XX, p. 101, seg. Si vegga anche Ibn-Khaldûn, Storia dei Berberi, testo arabo, tomo II, p. 18, 19.

<p>448</p>

I dotti e la cittadinanza di Kairewân seguirono con molto zelo Abu-Iezîd all'assedio di Mehdia. Chi mai scriverà questo bel tratto di storia, non dimentichi le notizie che ne dà il Riâdh-en-Nofûs, fog. 89 verso a 91 verso. Quivi si narra la deliberazione presa dai fakih nella Moschea giami' di Kairewân; i dotti che s'armavano; le corporazioni che veniano in arnesi di guerra con lor bandiere di varii colori scritte con varie leggende; i martiri caduti in battaglia ec. Il dotto Abu-l-Arab, ch'era dei capi rivoluzionarii, sclamava all'assedio di Mehdia: “Ho scritto di mia mano 1500 trattati; ma il combatter qui val meglio che tanta dottrina!”

<p>449</p>

Il cenno che do di questa grande rivoluzione è tolto da Ibn-el-Athîr, anni 333, 334; MS. C, tomo V, fog. 343 recto a 346 recto; Baiân, tomo I, p. 200 a 228; Tigiani, Journal Asiatique, série Ve, tomo I, p. 178, seg.; Ibn-Khaldûn, Storia dei Berberi, testo, tomo II, p. 16 a 23; Ibn-Hammâd, Journal Asiatique, série IVe, tomo XX, p. 470, seg. Per le date, seguo a preferenza Ibn-el-Athîr. Si veggano anche il Riâdh-en-Nofûs, fog. 89 verso, seg.; Iehia-ibn-Sa'îd, Continuazione di Eutichio, fog. 87 verso; Ibn-Khallikân, versione di M. De Slane, tomo I, p. 218, seg., e III, p. 185.

<p>450</p>

Ibn-Hammâd, op. cit., p. 497.

<p>451</p>

Cronica di Cambridge, op. c., p. 49, an. 6450.

<p>452</p>

’Ο Κρηνίτης Χαλδίας τῆς Καλαβρίας γεγόμενος στρστηγὸς. Nella edizione di Parigi fu aggiunto tra parentesi παρὰ dopo il nome proprio; e fu tradotto Crenita Chaldiæ in Calabria prefectus; la quale versione non è mutata nella edizione di Bonn, ancorchè sia stato ridotto a miglior lezione il testo, Chaldia era nome d'un tema bizantino, che avea per capitale Trebisonda nell'Armenia minore; e qui indica la patria di quel barattiere, non la sua sede in Calabria, ove non fu mai luogo di tal nome. Si vegga per Caldia, Costantino Porfirogenito, De Thematibus, p. 30, e De administrando imperio, p. 199, 209, 226, ediz. di Bonn.

<p>453</p>

Cedreno, ediz. di Bonn, tomo II, p. 357.

<p>454</p>

Cedreno, l. c. Costantino riprese il comando dell'impero in dicembre 944.