Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II. Amari Michele

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Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - Amari Michele

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target="_blank" rel="nofollow" href="#n495" type="note">495 Il medesimo Abu-Bekr, su la fede dell'altro Siciliano Abu-abd-Allah-Mohammed-ibn-Khorassân,496 riferisce aneddoti d'un Ibn-Ghazi da Susa, devoto un tempo e rinomato lettore del Corano per la melodia della voce, poi infame tra gli Ortodossi perchè alla esaltazione del Mehdi lo adulò vilmente, è s'affiliò a setta ismaeliana.497 Abu-Bekr, avendo in sua giovinezza conosciuto Iehia-ibn-Omar (m. 903) ed Abu-Harûn-Andalosi (m. 905), visse nella prima metà del decimo secolo. Contemporaneo di lui, e al par siciliano Saîd-ibn-Othman; il quale raccontò a voce i fatti del cadi Meimûn in Palermo.498 Un altro Abu-Bekr, per nome Mohammed-ibn-Ahmed-ibn-Ibrahim, maestro di scuola, detto il Siciliano, forniva all'autore del Riâdh alcuni aneddoti del devoto africano Abu-Iunis-ibn-Noseir, morto il trecentoquattro (916-17) del quale ei fu amico ed ospite.499 Il Siciliano Abu-Hasan-Harîri, o diremmo il Setaiolo, morto il trecentoventidue (934), che guadagnò con ascetiche stravaganze un cenno biografico nel Riâdh, può passare anch'egli tra gli agiografi; poichè si seppero dalla sua bocca le dolci visioni di Moferreg,500 le zuffe d'Abu-Ali da Tanger col nemico del genere umano,501 e le vicende del pellegrino Abu-Sari-Wâsil, ritrattosi in eremitaggio presso il castello Dîmâs in Affrica.502

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      1

      Veggasi il Libro I, cap. III, VI.

      2

      Oltre il Corano e la Sunna, ossia il supposto precetto divino e lo esempio del Profeta, la legge si fondava sullo igtihâd, che vuol dire litteralmente “sforzo” degli interpreti ed esecutori ad applicare lo statuto ai casi non provveduti espressamente.

      3

      Mawerdi, Ahkâm-Sultanîa, lib. III, edizione di Enger, p. 51.

      4

      Mawerdi, op. cit., lib. I, p. 23, enumera così i dritti dello imâm, ossia califo, pontefice e principe: 1º Conservar la fede secondo i dommi cardinali e le interpretazioni concordi degli imâm precedenti, e ricondurre all'ortodossia i novatori, con la ragione o con la forza; 2º Far eseguire le leggi civili e criminali; 3º Vegliare alla sicurezza interna; 4º Fare osservare i precetti religiosi; 5º Difendere il territorio; 6º Portar guerra agli Infedeli; 7º Riscuotere le legittime entrate pubbliche; 8º Pagare gli stipendii e spese pubbliche; 9º Adoperare capaci e fidati ministri; 10º Trattar dassè le faccende più rilevanti. Tolti questi due ultimi paragrafi che contengono consigli di condotta, non ordinamenti di diritto pubblico, gli altri doveri dell'imâm non differiscono da quei dello emiro, che nella potestà d'interpretare i dommi.

      5

      Mawerdi, op. cit., lib. III, p. 47, 48. Questo autore aggiunge che l'uficio di emiro poteva essere generale ovvero speciale; sendo lecito destinare un emiro alle cose di guerra e di polizia, come noi diremmo, e un altro all'azienda e giurisdizione; op. cit., p. 51. Ma tal caso sembra avvenuto assai di rado. Mawerdi stesso, p. 54, dice che nelle province conquistate di recente l'uficio di emir, di dritto, diveniva generale; nè si potea diminuirne il territorio, nè l'autorità. Le ragioni che ne allega Mawerdi son fondate su l'assioma, che il ben della religione e della repubblica musulmana va anteposto al capriccio del califo.

      6

      L'oficio della posta si chiamava appo gli Arabi berîd, trascrizione della voce latina veredus. Par che i Sassanidi abbian tenuto la stessa pratica in fatto di alta polizia; come l'accennai nella versione del Solwân d'Ibn-Zafer, nota 24 al cap. V, p. 313, 314.

      7

      Il Baiân, tomo I, p. 75, e Nowâiri, Storia d'Affrica, versione francese di M. De Slane, in appendice a Ibn-Khaldûn, Histoire des Berbères, tomo I, p. 588, fanno menzione del giuramento (biâ') prestato al nuovo emir di Affrica, Nasr-ibn-Habib (791).

      8

      Ibrahim non era al certo independent

1

Veggasi il Libro I, cap. III, VI.

2

Oltre il Corano e la Sunna, ossia il supposto precetto divino e lo esempio del Profeta, la legge si fondava sullo igtihâd, che vuol dire litteralmente “sforzo” degli interpreti ed esecutori ad applicare lo statuto ai casi non provveduti espressamente.

3

Mawerdi, Ahkâm-Sultanîa, lib. III, edizione di Enger, p. 51.

4

Mawerdi, op. cit., lib. I, p. 23, enumera così i dritti dello imâm, ossia califo, pontefice e principe: 1º Conservar la fede secondo i dommi cardinali e le interpretazioni concordi degli imâm precedenti, e ricondurre all'ortodossia i novatori, con la ragione o con la forza; 2º Far eseguire le leggi civili e criminali; 3º Vegliare alla sicurezza interna; 4º Fare osservare i precetti religiosi; 5º Difendere il territorio; 6º Portar guerra agli Infedeli; 7º Riscuotere le legittime entrate pubbliche; 8º Pagare gli stipendii e spese pubbliche; 9º Adoperare capaci e fidati ministri; 10º Trattar dassè le faccende più rilevanti. Tolti questi due ultimi paragrafi che contengono consigli di condotta, non ordinamenti di diritto pubblico, gli altri doveri dell'imâm non differiscono da quei dello emiro, che nella potestà d'interpretare i dommi.

5

Mawerdi, op. cit., lib. III, p. 47, 48. Questo autore aggiunge che l'uficio di emiro poteva essere generale ovvero speciale; sendo lecito destinare un emiro alle cose di guerra e di polizia, come noi diremmo, e un altro all'azienda e giurisdizione; op. cit., p. 51. Ma tal caso sembra avvenuto assai di rado. Mawerdi stesso, p. 54, dice che nelle province conquistate di recente l'uficio di emir, di dritto, diveniva generale; nè si potea diminuirne il territorio, nè l'autorità. Le ragioni che ne allega Mawerdi son fondate su l'assioma, che il ben della religione e della repubblica musulmana va anteposto al capriccio del califo.

6

L'oficio della posta si chiamava appo gli Arabi berîd, trascrizione della voce latina veredus. Par che i Sassanidi abbian tenuto la stessa pratica in fatto di alta polizia; come l'accennai nella versione del Solwân d'Ibn-Zafer, nota 24 al cap. V, p. 313, 314.

7

Il Baiân,

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<p>496</p>

Costui non è detto siciliano nel Riâdh; ma lo sappiamo d'altronde. Si vegga a p. 224, nota 3.

<p>497</p>

Riâdh-en-Nofûs, fog. 107 verso.

<p>498</p>

Si vegga la p. 222.

<p>499</p>

Riâdh-en-Nofûs, fog. 73 verso.

<p>500</p>

Si vegga il Libro II, cap. X, p. 420, del primo volume.

<p>501</p>

Riâdh-en-Nofûs, fog. 79, verso. È da avvertire che la biografia di Abu-Hasan-Harîri è messa il 316, ma trovandosi tra il 322 e il 323, è da supporre uno sbaglio nella data.

<p>502</p>

Riâdh-en-Nofûs, fog. 61 recto. La morte di Wâsil è riportata al 294. Ho scritto il soprannome Sari, secondo Dsehebi, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 802, il quale avverte che un altro nome scritto in arabico con le stesse consonanti si pronunzia Sorri.