Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II. Amari Michele

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Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - Amari Michele

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i paesi musulmani, fuorchè l'Arabia. Ed io credo ch'ei si apporrebbe al vero, se parlasse di una parte, anche della più parte, dei vasti poderi, ma che sbaglia sostenendo esser tale la condizione di tutte le terre da cereali; e doversi tener tali per presunzione legale, senz'altre prove. Così ei viene a negare i dritti certissimi: 1º di dissodamento; 2º di partaggio tra i soldati; 3º di proprietà di convertiti avanti il conquisto; e 4º di beni lasciati agli Infedeli in piena proprietà, e indi passati in man di Musulmani. Se non altro, il numero dei wakf, ossia lasciti pii, ch'è grandissimo in tutti i paesi musulmani, avrebbe dovuto avvertire M. Worms della esistenza di moltissime terre libere; non potendosi dai Musulmani fare wakf senza libera proprietà; nè supporre da Europei che tutte le proprietà private fosser divenute lasciti pii. Qui parlo dei wakf a moschee o altre opere; non di quello in favor della repubblica musulmana che costituisce il demanio pubblico.

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Si confrontino: Ibn-abd-Hâkem, citato da M. De Slane, nell'Ibn-Khaldoun, Histoire des Berbères, tomo I, p. 312, nota 1; Ibn-Khaldûn stesso, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, traduzione di M. Des Vergers, p. 27; e il Baiân, tomo I, p. 23. Ho accennato questo fatto nel lib. I, cap. V, p. 121 del primo volume.

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Si confrontino: Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, trad. di M. Des Vergers, p. 31, 34; il Baiân, tomo II, p. 38; e Nowaîri, Storia d'Affrica, in appendice a Ibn-Khaldoun, Histoire des Berbères, versione di M. De Slane, tomo I, p. 159. Ho ferma opinione che M. De Slane non s'apponga al vero, rendendo in questo luogo la voce Khammasa “fare schiavo il quinto della popolazione.” Si deve intendere più tosto “levare il quinto della rendita territoriale” ossia porre il kharâg; come lo mostra con varii esempii il professor Dozy, Glossaire al Baiân, tomo II, p. 16.

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Isidoro De Beja, cap. XLVIII, su l'autorità del quale hanno registrato questo fatto M. Reinaud, Invasion des Sarrazins en France, p. 16; e il prof. Dozy, Glossaire al Baiân, tomo II, p. 16.

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Baiân, tomo I, p. 84. A questo esempio si potrebbe aggiugner quello delle terre che pagavan decima, su le quali il secondo principe aghlabita, Abd-Allah-ibn-Ibrahim, comandò (812) che si levasse un tanto all'anno secondo la misura della superficie, e non più la decima in derrata. Ibrahim-ibn-Ahmed, che avea continuato o ripigliato tale abuso, il cessò l'anno 902. Baiân, tomo I, p. 87 e 125. Nowairi, in appendice a Ibn-Khaldoun, Histoire des Berbères, versione di M. De Slane, tomo I, p. 402. Or come decima in derrata significa ordinariamente zekât, così le terre che ne pagavano si dovrebbero credere libera proprietà de' Musulmani. Nondimeno si può dare che i cronisti abbian voluto significare la doppia decima, ossia kharâg, dovuta sopra terre tributarie, e che la ingiusta innovazione fosse stata soltanto nel modo della riscossione in danaro, e a misura di superficie. Mi induce a tal supposto l'enormezza che sarebbe stata a mutare la zekât in tassa fondiaria; e mi vi conferma la opinione di alcuni giuristi, riferita da Mawerdi, op. cit., lib. XVII, p. 335, cioè che il kharâg su le terre da seminato non potea passare il dieci per cento su la raccolta.

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Baiân, tomo I, p. 125, 175, 184, 273, anni 289 (902), 303 (915), 305 (917), 405 (1014).

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Il Martorana, Notizie storiche dei Saraceni Siciliani, tomo II, p. 130, e nota 254 a p. 252, afferma potersi provare la esistenza di così fatti poderi coi nomi di città e castella che rispondono a quelli di emiri siciliani. Ma gli esempii ch'ei ne dà son tutti fallaci; e non lo è meno il supposto che i poderi demaniali dovessero prendere il nome degli emiri. Nè anco posson servire di argomento i beni demaniali dei Normanni. Ma la legge, l'interesse dei governanti, e l'uso generale degli Stati musulmani, danno tal presunzione che val meglio di ogni prova.

61

Veggasi il Libro II, cap. XII, p. 474 del primo volume.

62

Lasciando da parte i molti diplomi del XII secolo che lo attestano, basti allegare le Consuetudini di Palermo, cap. XXXVI, e gli Statuti di Catania contenuti in un diploma del 1668 presso De Grossis, Catena sacra, p. 88, 89, citato dal Di Gregorio, Considerazioni, nota 21, cap. IV del lib. I.

63

Veggasi in questo capitolo la nota 2 a p. 17.

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Ad postremum, capientes panormitanam provinciam, cunctos ejus habitatores captivitati dederunt. Johannes Diaconus, Chronicon Episcoporum Neapolitanæ Ecclesiæ, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte 2ª, p. 313.

65

Veggasi il Libro II, cap. V, della presente storia, vol. I, pag. 294.

66

Veggasi il Libro IV, cap. VIII sul kharâg aggravato nel 1019, e il cap. IX su le possessioni dei Musulmani d'origine siciliana e d'origine affricana.

67

Hedaya, lib. XXXIX, e LII, tomo IV, p. 1, seg.; 466, seg.; D'Ohsson, Tableau général de l'Empire Ottoman, tomo V, lib. IV, V, p. 275, seg.

68

Si chiamavano in generale dhiâ', come notammo di sopra, e in Sicilia e Affrica anche ribâ'.

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Mawerdi, op. cit., lib. XVIII, p. 351, seg. e 355, là dove è detto che senza ricusa di combattere o altra causa legittima non si potea togliere lo stipendio, “sendo il giund esercito del popolo musulmano.” Si confronti col lib. III, p. 50, onde si scorge che lo emir di provincia potea, senza permesso del califo, accordare lo stipendio ai figliuoli di militari pervenuti ad età da portar arme.

70

Mawerdi, op. cit., lib. XII, p. 218, seg.

71

Akhbâr-Megmûa'-fi-iftitâh-el-Andalos, MS. della Biblioteca imperiale di Parigi, Ancien Fonds, 706, fog. 99 recto. In questa importante cronica del X secolo si legge: “Quando recavansi ai califi le entrate (gebâiât) delle città e province, ciascuna somma era accompagnata da dieci personaggi dei notabili del paese e del giund; nè si incassava nel tesoro (beit-el-mâl) una sola moneta d'oro o argento, se costoro non giurassero prima per quel Dio ch'è unico al mondo, essersi levato il denaro secondo il dritto, ed essere sopravanzo degli stipendii dei soldati e famiglie loro nel paese, ciascun dei quali fosse stato soddisfatto di quanto per diritto gli apparteneva. Or avvenne che si recò al califo il kharâg d'Affrica, la quale di quel tempo non si tenea come provincia di frontiera; e il denaro era veramente avanzo, sendosi pria soddisfatti gli stipendii del giund e le prestazioni dovute all'altra gente. Arrivate con cotesto danaro otto persone in presenza del califo, ch'era di quel tempo Solimano (715-717), furono richiesti di giurare; e in fatto fecero sacramento ec.” Questo fatto dell'VIII secolo risponde perfettamente alla massima di Mawerdi, op. cit., lib. III, p. 50, che l'emir di provincia mandi all'imâm gli avanzi del fei, “quando ve ne abbia, pagati tutti gli stipendii.”

72

Secondo Mawerdi, l. c., mancando il danaro del fei in una provincia, dovea supplire il tesoro del califo. Negli annali dal terzo al quinto secolo dell'egira credo non si trovi un solo esempio di stipendii menomati.

73

Mawerdi, op. cit., lib. XVII, p. 337 a 341, enumera i varii casi e i varii pareri dei giuristi, relativamente all'iktâ'. Non si tenea lecito trattandosi di kharâg eventuale, cioè dovuto da Infedeli che avessero pieno diritto di proprietà, e però andassero sciolti dal tributo come dalla gezîa, facendosi musulmani. Il kharâg perpetuo, se dovuto in danaro e non variabile secondo il raccolto, si potea concedere. Pare che gli iktâ' si fossero anco tentati sopra le decime legali, ossia zekât; poichè i giuristi si sforzavano a dimostrarne la nullità. Questo luogo di Mawerdi è stato tradotto da M. Worms, Recherches sur la

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