I rossi e i neri, vol. 1. Barrili Anton Giulio
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– Sono Lorenzo Salvani. —
Immagini il lettore che senso facesse sull'animo del maggiore quella breve risposta. Rigo Salvani balzò dalla sedia, corse ad abbracciare il figliuolo, e tirandolo con dolce violenza sotto il lume d'una candela, gridò:
– È lui, proprio lui! —
Ma l'ebbrezza di quell'amplesso paterno non fu lunga; il maggiore, lasciata la bruna testa del figlio, che teneva stretta nelle palme, ripigliò con accento di rimprovero:
– E tua madre, disgraziato?
– Mia madre, – rispose l'adolescente, – mi ha data la sua benedizione, trovando giusto che dov'era il padre potesse stare anche il figlio. —
Il maggiore stette un istante a guardare quel sedicenne che ci aveva le risposte così pronte, e che stava lì ritto e rispettoso davanti a lui nella posizione del soldato senz'armi; poscia borbottò tra i denti:
– Infine, ha ragione, ci può stare anche lui. – Abbracciò allora una seconda volta suo figlio, e dopo averselo fatto sedere vicino, e chiestogli le nuove di casa, proseguì:
– E adesso, in che compagnia sei?
– In nessuna, signor maggiore. Desidero di servire sotto il vostro comando, se non vi è discaro.
– Sta bene; e quando sei giunto?
– Oggi stesso; vengo da Civitavecchia, e precedo i signori Francesi, dei quali ho veduto lo sbarco, liberamente operato. —
Dicendo queste ultime parole, l'adolescente batteva de' piedi sul pavimento, in segno di dispetto.
– Chétati! – rispose sorridendo il maggiore. – Non entreranno così liberamente di qua.
– Lo credo; qui ci siete voi, padre mio. E poi, penso che i cittadini di questa repubblica ricorderanno gli esempi dell'antica. Furio Camillo era ben nato da queste parti. —
Lorenzo, sebbene in quell'anno avesse cominciato a studiare filosofia, non aveva già dimenticati i due di rettorica. Parlava volentieri dei Fabii, dei Manlii, dei Quinzii, e d'altri somiglianti semenzai d'uomini prodi. Ancor egli aveva cantato a squarciagola per le vie di Genova:
Fratelli d'Italia,
L'Italia s'è desta;
Dell'elmo di Scipio
S'è cinta la testa.
Ov'è la Vittoria?
Le porga la chioma;
Che schiava di Roma
Iddio la creò.
Rigo Salvani era tutt'occhi a contemplare suo figlio; ne ammirava lo sciolto linguaggio e il piglio marziale. Lorenzo era ancora un ragazzo, ma già in lui si sentiva l'uomo. Le prime schioppettate avevano da compiere la trasformazione, e da porvi il suggello.
– Tu, dunque, sei venuto a tempo; – gli disse il maggiore. – Credo che domani i signori Francesi, ai quali mi sembra che tu porti già un grande amore, saranno alle viste.
– __Hannibal ad portas__. Ma noi, babbo, non istaremo a piagnucolare come la plebe romana dopo la rotta di Canne, e muoveremo loro incontro.
– Se questo sarà il comando dei capi.
– S'intende, signor maggiore. Ma poichè oggi, entrando in Roma, ho già imparato a cantare: __Anneremo in Campidojo – A saluta' er berretto__, non mi spiacerebbe cambiar domattina di musica. A proposito, padre mio, dicono che il primo fuoco fa paura…
– Secondo i casi, ragazzo mio; – rispose il maggiore, che se la spassava ad ascoltare la gaia parlantina del figlio. – Ed anche dipende molto dalla compagnia in cui uno si trova.
– Orbene, padre mio, se non vi spiace, starò vicino a voi, farò di non tremare. Se mi vedrete una brutta cera, ditemelo subito; la vergogna mi farà diventar rosso come questa camicia.
– Te lo darò io, il rimedio contro la commozione del primo fuoco; – disse il maggiore. – Mettiti a cantare la Marsigliese, e ti sentirai un cuor di leone.
– Avete ragione, padre mio; ma io non la canterò certamente in francese.
– E perchè?
– Perchè non mi pare ben fatto cantarla nella stessa lingua di chi viene ad assalirci. Voi avete detto ch'io porto amore ai Francesi, e, sebbene celiando, avete colto nel segno. Io amo molto i Francesi, perchè sono un gran popolo, ed hanno fatto di grandi cose nel mondo; ma la lingua della patria innanzi tutto. Ed io, per far le schioppettate con loro, come dobbiamo, essendo assaliti, vedrò di scordare che hanno fatta la rivoluzione dell'89 e promulgati i diritti dell'uomo.
– Ecco, tu parli come un uomo di Stato, mio buon Lorenzino; – disse Rigo Salvani, accarezzando i neri capegli del figlio. – Ma perchè non vorrai tu cantare la Marsigliese nella sua lingua nativa? È il canto della libertà, e la libertà è patrimonio di tutte le nazioni. D'altra parte, mi dicono che sia impossibile voltarlo in italiano, conservando tutti quei tronchi che sono nell'indole della lingua francese.
– Oh! – rispose Lorenzo con la baldanza spensierata che è propria dei giovani. – Se la difficoltà è tutta nei tronchi, non è cosa da spaventarsene; e poichè l'essenziale è di poterla cantare, io ne sono venuto a capo. Non ci sarà la forza dell'originale; ma la musica supplisce al difetto. Sentite un po'.
E l'adolescente cominciò in questo modo a cantare:
Prodi, orsù; per la terra natia
Il bel dì della gloria spuntò.
Contro noi la tirannide ria
Lo stendardo sanguigno levò.
Udite voi? – L'empie coorti
Van ruggendo per l'arso terren;
Vengono, vengono, sul vostro sen
A sgozzarvi figliuoli e consorti.
All'armi, cittadini
Stretti a drappel moviam!
Corriam, d'un sangue vil
Que' solchi abbeveriam!
– Benissimo! va innanzi: – gridò il maggiore Salvani. – La musica ci si adagia abbastanza bene, in questa tua strofa. Sentiamo l'altra. —
Lorenzo, incuorato dalla lode paterna, proseguì con accento più concitato:
Che vuol mai questa folla di schiavi,
Questa lega di perfidi re?
Per chi mai questi ceppi da ignavi?
Quelle pronte catene perchè?
Forse per noi? – Su, ti disfrena,
O gran tempo represso furor!
Siam noi che pensano nell'imo cor
Di ridurre all'antica catena?
All'armi, cittadin!
Stretti a drappel moviam!
Corriam, d'un sangue vil
Que' solchi abbeveriam!
– Lascio stare le altre, – soggiunse l'adolescente, com'ebbe finito il ritornello, – e vengo subito all'ultima, a quella che ogni buon repubblicano usa cantare