I rossi e i neri, vol. 1. Barrili Anton Giulio

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I rossi e i neri, vol. 1 - Barrili Anton Giulio

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Salvani, italiano del vecchio stampo, era fin dalla sua prima giovinezza diventato maestro.

      Egli soleva dire a Lorenzo:

      – Impara a leggere ne' tuoi codici; impara a scrivere le tue prose e i tuoi versi; ma impara anche a dare in tempo la botta diritta, e a piantare di primo lancio una palla di pistola in un palo, a quaranta passi discosto. Il coraggio l'hai; abbi ancora la destrezza, perchè gli uomini in maggioranza son tristi, e dai tristi bisogna sapersi far rispettare. Ama la patria, perchè essa, che ti ha dato i natali, è schiava dello straniero, e perciò non devi patire questa vergogna, non già per alcun bene che tu ti possa riprometter da lei. Così devi amare il tuo simile, senza dolerti delle sue doppiezze e de' suoi tradimenti. Se trovi una donna sincera, amala come io ho amato ed amo tua madre. Se trovi un amico che sia schietto e generoso, stendigli la mano. Se la donna o l'uomo non risponderanno alla fede che avevi riposta in essi, non ti accorare oltre il bisogno; sarà tanto peggio per loro; tu ara diritto, e non ti dar pensiero del resto. —

      Questi insegnamenti, misti alle conversazioni politiche, ai ricordi del campo, alla lettura di Plutarco e alle lezioni di scherma, avevano fatto opera gagliarda nell'animo sensitivo di Lorenzo. A quarant'anni, ammaestrato ad una simile scuola, sarebbe riuscito uno stoico; ma non aveva ancora diciott'anni, e lo aspettavano certe battaglie, alle quali si mostra inerme quel petto che era pur dianzi tetragono ad ogni avversità della vita.

      La madre di Lorenzo era una di quelle donne, non troppo rare, la Dio mercè, presso noi, cresciute nel culto del bello, del buono e del vero. Ella aveva molto sofferto per la lontananza del marito, che fortemente amava, e al quale aveva consacrato quel ragionevole ossequio che si merita la virtù presso gli animi virtuosi. Egli, poi, la ricambiava di pari affetto, la sua nobilissima Luisa; per lei si spianavano le rughe della sua fronte; e quando ella parlava. Rigo Salvani trovava pure il modo di comporre ad un sorriso quelle sue labbra chiuse. L'amor loro poteva assomigliarsi a que' fiumi, i quali son tanto più profondi, quanto alla superficie vi appariscon più calmi.

      E nondimeno taluni si argomentavano di sapere che negli anni dell'esilio il signor colonnello avesse fatte le sue. Ignoravano costoro che per la donna amata Rigo Salvani era tornato di sovente a casa, sotto mentite spoglie, arrisicando la libertà e la vita. Non erano questi davvero i diportamenti di un uomo, che mettesse i suoi affetti fuggevoli in paese straniero. Tuttavia, ed eccettuato quel tanto che vuolsi ascrivere al bisogno naturale della maldicenza, ecco da dove quelle ciarle avevano potuto prendere una mezza apparenza di vero. Al suo palese ritorno, che fu nel '47, Rigo Salvani aveva condotta con sè una bella fanciullina di forse otto anni, collocandola in casa come una sua propria figliuola.

      Ora, siccome i Salvani vivevano piuttosto appartati, non si poteva a tutta prima capire che cosa significasse quella ascosaglia. Le poche domande che in un lungo spazio di tempo si poterono fare da qualche curioso, erano accortamente deluse. Ne seguì naturalmente che quanto non si sapeva di certo, si affermasse audacemente per vero, attinto da buonissima fonte, e che presto non ci fosse più alcuno, tra i conoscenti e i vicini della famiglia, il quale non credesse esser quella una figlia naturale di Rigo Salvani. La cosa era chiara; non poteva essere altrimenti; e qui taluno, di fantasia più ferace, rimpolpava di qualche particolare la chiacchiera, accennando, coll'aria di chi sa più che non voglia dire, a certo amorazzo di Spagna, e compiangendo sinceramente la povera signora Luisa, costretta a tenersi in casa quel frutto degli illeciti amori del vagabondo consorte.

      Ma la povera signora Luisa non pareva dolersene, come tutta quella brava gente avrebbe desiderato, per accattar fede ai suoi benevoli sospetti. Essa amava teneramente la fanciulla; ed anche Lorenzo, di sette anni maggiore in età, l'aveva in conto di sorella. Quante volte ritornava a Genova in vacanze, ci aveva sempre il suo presente per la cara Maria, che d'anno in anno cresceva in bellezza, affinandosi in grazia, in gentilezza, in bontà, tutta amore e devozione per quella che aveva preso a chiamare anche lei col dolce nome di madre. Presentiva ella, tenendosi così stretta al fianco della pietosa signora, che troppo breve spazio di tempo le sarebbe avanzato per dimostrarle tutta la sua gratitudine?

      Nel '55 la signora Luisa morì: il colonnello, d'allora in poi, fu più taciturno, più chiuso del solito: Lorenzo per quell'anno lasciò le Pandette e il Digesto da banda, e non si mosse da Montobbio, perchè, oltre il suo proprio dolore che lo aveva abbattuto, c'era l'accoramento del babbo, che gli faceva paura.

      Tutte le mattine, sull'alba, Rigo Salvani era al camposanto a salutare la tomba di sua moglie, quella tomba che racchiudeva la miglior parte di sè, tutte le ricordanze profumate della sua giovinezza, gli amori, le gioie, i patimenti in ugual misura divisi tra due nobili cuori. Nè l'amore dei figli poteva più bastare a quell'anima sconsolata. I figli nostri son nati per la vita del futuro, nè ci compensano della perdita di chi ha vissuto con noi amorosamente il passato.

      Un giorno. Rigo Salvani, andato secondo il costume al camposanto, non ne fu più visto ritornare. Lo trovarono freddo irrigidito sulla tomba della moglie. Le due parti d'una sola esistenza, che tali si potevano dir veramente, divise per breve ora dalla morte, si erano nella morte ricongiunte. L'orfano pianse a lungo i parenti, ed allorquando le lagrime cessarono, il suo cuore era già largamente abbeverato di quella amarezza, che è il viatico degli onesti nel mare procelloso della vita. Dei cari estinti gli rimaneva pur qualche cosa; il culto dei severi insegnamenti, il sacro debito di dar sesto alle non prospere cose domestiche, e di essere a sua volta come un padre per la giovine Maria.

      Lasciò allora la campagna, e pose dimora in Genova, dove sperava di cavare in qualche onesta maniera il vivere, pure attendendo a finire i suoi studi. Delle sostanze paterne ben poco si potè sottrarre ai creditori ed ai vampiri giudiziarii. Intanto due anni passarono, e salvo l'esser giunto a conseguir la licenza in leggi, il povero Lorenzo non era venuto a capo di nulla. E di sovente pensava al triste futuro, alla sua vita senza indirizzo, senza speranze, con pensieri a contrasto coi fatti, come con le necessità urgenti del giorno. Vero figlio del suo secolo, si lagnava del padre suo che lo divorava, come Saturno la prole.

      Che cosa avrebbe egli fatto? L'avvocato? Era una bisogna troppo lunga, nè egli aveva modo di aspettare un altr'anno per la laurea, poi due per le pratiche, e dio sa quanti altri per sudarsi una clientela. C'erano i pubblici uffizi; ma in questi si comincia sempre dal lavorare per nulla, e a farsi avanti occorre poi sempre una legione di santi intercessori, Darsi al commercio? Peggio che mai. Anche a cominciar da scritturale, da commesso, da galoppino, gli sarebbe bisognato rifar da capo tutta la sua educazione, e aver conoscenti che sapessero e volessero raccomandarlo caldamente qua e là, dove e quando il posticino si potesse trovare. Intanto, il bisogno di lavorare incalzava. Lorenzo era giunto a quell'ultimo stadio dell'agiatezza, allorquando dall'oggi al domani si casca nelle strette della necessità, perchè si è vissuti con gli ultimi avanzi di una modesta sostanza, e non si sa ancora che cosa sostituirvi.

      Egli tuttavia non si era perduto d'animo, vagheggiando in buon punto un modesto disegno. Apertosi schiettamente coll'amico Assereto, aveva finalmente, nè senza fatica, trovato qualche cosa. L'Assereto era uomo di partiti, e di facile entratura; amava anche molto Lorenzo Salvani, col quale discorreva volentieri di letteratura. Il che non deve far maraviglia ai lettori non genovesi. Essi hanno da sapere, infatti, che da noi le Camene son tenute in conto più che a prima vista non sembri. La necessità fa l'uomo industrioso, perciò il genovese, quando sia giunto all'età di dover pensare ai casi suoi, si mette a lavorare con tutte le sue forze; ma non dimentica le panche della scuola, e gli studi geniali della adolescenza gli sorridono sempre, come l'immagine dell'òasi al viaggiatore del deserto. S'ingegna tutto il giorno sulla piazza de' Banchi e sulla popolosa calata del porto; ma si riposa alla sera discorrendo d'arte, mettendo a confronto drammi e commedie, teatri di prosa e teatri di musica, ed accettando la discussione su tutti i rami dello scibile.

      L'Assereto, voleva ad ogni costo trovar modo di aiutare l'amico Salvani. A grossi guadagni non c'era da pensare, pur troppo; ma occorreva procacciargli tanto da tirar avanti la barca, aspettando una giornata di buon vento. Quel tanto, gli pareva di averlo trovato presso un ricco bottegaio, il quale «sapeva poco di lettera», e aveva bisogno di uno, che ogni sera gli

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