I rossi e i neri, vol. 1. Barrili Anton Giulio

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I rossi e i neri, vol. 1 - Barrili Anton Giulio

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d'un bottegaio. Se hanno essi un'altra occupazione più nobile da offrirgli, ci usino la cortesia di avvisarcene, e noi lo accomoderemmo subito al loro servizio. Di meglio non s'era trovato allora; ma era pur sempre il principio di qualche cosa. Ottanta lire al mese, pagate in sedici scudi d'argento, non erano una spregevole moneta, e Lorenzo Salvani la guadagnava con due orette di lavoro notturno, che neppur l'aria aveva a risaperlo.

      Quelle ottanta lire, messe insieme con qualche avanzo delle antiche sostanze e con alcune gioie di famiglia, vendute alla spicciolata, aiutavano tre persone a vivere. Lorenzo, la giovine Maria, ed il vecchio Michele, veterano di Montevideo e di Roma, il quale, a sua volta, si acconciava all'umile ma gradito ufficio di servitore. La pigione di casa, al tempo in cui comincia il nostro racconto, era pagata ancora per tre mesi.

      E adesso, che abbiamo fatto intendere un poco lo stato delle cose nella famiglia Salvani, non sarà male proseguire la narrazione interrotta.

      III

      Nel quale si racconta di un uomo di capelli rossigni, e di una spasimata voglia che aveva di scendere in campo per la sua dama.

      Abbiamo lasciato Lorenzo nel punto che egli era per entrare nel salottino, chiedendo a sè stesso chi fosse mai l'importuno che veniva a cercare di lui. L'importuno era un giovinotto sui trenta, lungo e magro, con una testa volgare, capelli rossigni e ruvidi, corti e radi i peli sul viso, la guardatura fosca. Non bello, adunque; ma non per niente è stata inventata la moda, che anco d'un ceffo di cane può farvi una faccia da figurino di Parigi.

      I capelli rossigni del nuovo venuto erano dunque tagliati a spazzola sulle tempia, con la divisa tirata ben diritta e bene impomatata sul cranio. La barba rada, che traeva un pochettino al castagno, si stendeva tra gli orecchi e gli zigomi in due ventole smilze. Il labbro superiore e il mento accuratamente rasi, lasciavano risaltare una bocca sottile, ornata di denti bianchissimi, ch'egli faceva spesso vedere, con notevole compiacenza. La magrezza delle membra, coll'aiuto d'un vestimento all'inglese, simulava sveltezza di forme. I guanti perlati, coi tre cordoncini neri sul dorso, che era mezzo coperto dai manichini insaldati, lo stivalino inverniciato, e l'occhialetto cerchiato di tartaruga, davano il compimento a questo esemplare della grazia posticcia d'allora, e di poi. C'era insomma tutta la parte materiale della eleganza aristocratica; e l'aspetto dell'uomo, così ridotto a forme di consuetudine, poteva riuscir tollerabile ai più, e, crepi l'avarizia, parer grazioso a parecchi.

      Lorenzo Salvani non seppe trattenere un atto di maraviglia, quando vide costui nel suo salottino. L'inarcamento delle ciglia e la testa tirata indietro significavano il più grosso dei punti ammirativi, e una filza di puntini per giunta.

      – Collini! – esclamò egli, senza muoversi ancora dal suo atteggiamento.

      – Sì, Collini, per l'appunto; – rispose l'altro con un sorriso ch'egli si studiava di rendere amabile. – Vi maraviglia forse?

      – Forse; lo avete detto voi stesso; – ripigliò Lorenzo, con accento malizioso, ma senza cattiveria. – Ma che buon vento vi sbalza quassù?

      – Non troppo buono, per verità; – disse il Collini. – Comunque sia, non vi dispiaccia che io sia venuto da voi per chiedervi un servizio da amico.

      – Non potevate farmi cosa più grata, – disse di rimando il Salvani. – Son così lieto quando posso renderne uno, che ciò mi consola della mia pochezza, e della mia povertà. Accomodatevi, prego, e veniamo all'essenziale.

      – Eccolo; – rispose il Collini, sedendosi sulla scranna che Lorenzo gli offriva. – Questa notte, alla veglia del Ridotto, sono stato insultato.

      – Oh diamine! e da chi?

      – Dal marchesino di Montalto. Un tale che non ha il becco d'un quattrino! Lo conoscerete; è quel coso biondo, tutto superbia, che va sempre ritto impalato, nell'eterna compagnia del Pietrasanta.

      – Voi sapete che io non ho dimestichezza con questi signori del patriziato. Vivo così fuori del mondo!

      – Ah, è vero; e forse è il meglio che si possa fare; – concesse con un mezzo sospiro il Collini, – Ma a noi la professione comanda di viverci dentro, e bisogna adattarsi. Io dunque vi dicevo che questa notte, al ridotto del Carlo Felice, sono stato insultato dal signor Montalto, e alla presenza di una signora, di una dama.

      – Perdio! la cosa è grave. Ma dite… in che modo?

      – Oh, si andrebbe per le lunghe; – rispose il Collini, con aria impacciata.

      – Scusate; – si affrettò a dire Lorenzo. – Non domandavo del modo, se non per misurare la gravità dell'offesa, e non pensavo affatto alla persona che era presente. Le donne, in questi casi, van nominate il men che si può. Ma bisognerà pure, se debbo darvi consiglio, bisognerà pure ch'io sappia la frase, la parola di cui vi ritenete offeso.

      – Avete ragione, Salvani; ed ecco qua tutto il necessario. Accompagnavo la signora, che era mascherata. La signora bisbigliò alcune parole, certamente di grazioso motteggio, come è l'uso, al marchese di Montalto, il quale stava insieme col marchese Pietrasanta, in un angolo della sala dove c'è il camino. Non udii le parole della signora; ma quali si fossero, non dovevano meritare una dura risposta, alla quale essa ribattè prontamente ch'egli non era cortese. Notate, Salvani, che la signora è di buonissima nobiltà, e le smorfie del Montalto, che non potrà poi far risalire la sua al tempo delle Crociate, erano veramente fuori di posto, e un grazioso motteggio della contessa… Oh, perdonate, quasi mi lasciavo sfuggire il suo nome.

      – Non importa, – disse Lorenzo. – Io non soglio ricordarmi di ciò che debbo dimenticare. Proseguite pure.

      – Orbene, – soggiunse il Collini, – a quel piccolo rimprovero della signora, il Montalto fece un inchino impertinente, accompagnato da un sorrisetto sarcastico.

      – E voi?

      – Io non potei ritenermi dal fargli notare la sconvenienza del suo ghigno. Ma egli allora, rialzando il capo e guardandomi in atto sdegnoso, mi disse: «Voi badate ai fatti vostri». Volli replicare; ed egli da capo: «Mi provocate voi forse?» – «Sì, perchè no?» – «Voi?» ribattè egli, beffardo. – «Signore» dissi allora, «io non so di che cosa possiate ridere, quando io vi parlo in questo modo; ma penso lo direte a coloro che avrò l'onore di mandarvelo a chiedere». – «Saranno i ben venuti» rispose; e ci separammo. Eccovi tutto l'accaduto. Che cosa debbo fare? —

      E il giovinotto dai capelli rossigni stette ansioso ad aspettar la risposta.

      – Perbacco! – esclamò Lorenzo Salvani. – Non trovo altro modo di uscirne, se non mandando i padrini a questo marchese di Montalto. La ragione del duello mi sembra assai lieve; ma probabilmente c'è sotto qualche ruggine colla signora…

      – Colla signora? Oh no; – rispose il Collini. – Ella mi disse di non conoscere il Montalto altrimenti che di vista, e di non avergli detto se non cose gentili, e molto innocenti.

      – Allora ci sarà una ruggine del Montalto con voi.

      – Eh, qui penso che abbiate ragione, Salvani. Egli deve volermi un mal di morte, perchè gli ho lasciato sempre intendere di non stimarlo gran che.

      – Male! – esclamò Lorenzo. – Consentite a me, più giovine di voi, ma vostro antico compagno alle medesime scuole, di sgridarvene un poco. Gli uomini bisogna stimarli tutti, senza accarezzarne nessuno. Ora a noi; in che cosa posso esservi utile?

      – Già lo immaginate, poichè vi ho detto

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