Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I. Botta Carlo
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Читать онлайн книгу Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - Botta Carlo страница 9
Nè minor gelosia era verso i giudici; quindi si chiamavano dall'estero: poi, deposto il magistrato, si sottomettevano a sindacato, o vogliam dire ad esame: seduti in luogo pubblico, poteva ognuno accusargli di gravame; commessarj espressi tenevano registro, e facevano rapporto al senato, che giudicando assolveva o condannava. Così erano in Lucca giudizj integerrimi, primo e principal fondamento alla contentezza dei popoli.
Ma se vi si dava ad ognuno il suo, vi si largiva il necessario al bisognoso; perchè a chi voleva aprir traffichi, o era stato danneggiato dalle stagioni, si fornivano, o danari dall'erario, o generi dai magazzini del comune. Così mite, provvido, e libero era il reggimento di Lucca. Così ancora facilmente si vede, che nei paesi d'Italia, che non erano stati dati in preda dagl'imperadori a principi assoluti, od a signori arbitrarj, erano state ordinate la giustizia e la libertà, non impronte e superbe favellatrici, come in altri paesi, ma fondate su buoni statuti, sull'assenza d'eserciti esorbitanti, sulla modestia di chi reggeva, sulla natura sottile ad un tempo, ed assennata degl'Italiani. Che poi questi ordini fossero perfetti per fondare una compita libertà, nè io, nè altri, credo, che s'ardirà dire. Ma dove sia questo genere di perfezione, per me nol so; poichè neanco credo che sia dove le soldatesche sterminate possono conquistare, e recare a servaggio non che la patria, una, ed anche più parti del mondo. Che se poi solo ed unicamente si volesse giudicare della bontà dei governi argomentando dall'infrequenza dei delitti, certamente si affermerebbe i governi di Venezia, di Genova, di Lucca, e di Toscana essere i migliori. Va con questi, se però non è superiore per bontà, quello della repubblica di San Marino. Vive da dodici secoli la repubblica di questo nome, appena nota al mondo per fama. Quivi virtù senza fasto, quiete senza tirannide, felicità senz'invidia: quivi nobiltà solo per chiarezza di natali, non per dritti oltraggiosi, nè per privilegj, nè per desiderio di dominazione: quivi popolo occupato ed industrioso, e come fra nobili temperati, così nè irrequieto, nè tirannico. Fortunate sorti, per cui, tolta l'ambizione dalle due parti, solo rimasero gli affetti conservatori della società. Rovinavano per lunghi anni intorno a San Marino i regni, rovinavano le repubbliche, si straziavano gli uomini per civili e per esterne guerre: sul Titano monte perseverarono i Sammariniani in tranquillo stato, ed amici a tutti: dall'alto, e dal sereno miravano le tempeste. Volle l'ambizione moderna introdursi in quei placidi recessi, ma fu l'opera indarno, come fia da noi a suo luogo raccontato: l'inveterato e dolce aere resistette al pestilenziale soffio. Un consiglio di sessanta nominato primitivamente dai capi di tutte le famiglie adunati in generale congresso, o vogliam dire a parlamento, e che chiamavano aringo, poi rinnovellato da se stesso a misura delle vacanze, e due consoli semestrali col titolo di capitani del comune reggono lo stato. Hanno i capitani la facoltà esecutiva: avevano anche anticamente, a norma degli antichi consoli di Roma, parte della giudiziale, ma questa poi cesse a uomini chiamati dall'estero dal consiglio sotto nome di podestà: rimase ai capitani l'ufficio di paciali. Sono i capitani, e così ancora i podestà, per gli atti del loro ufficio soggetti al sindacato, che è il modo della legge delle obbligazioni, o come dicono i Francesi, della risponsabilità, trovato dagl'Italiani per la guarentigia dei dritti. L'equalità civile consola San Marino, i costumi il conservano, la povertà sicuro scudo contro i forestieri. Nulla ci desidera negli altri, nulla gli altri desiderano in lui, perchè i buoni hanno a schifo i vizj, la quiete non piace ai turbolenti, nè la libertà ai corrotti.
Regnava in Modena il duca Ercole Rinaldo di Este, ultimo rampollo di una casa, da cui l'Italia riconosce tanti benefizj di gentilezza, di dottrina e di lettere, come se fosse ordinato dai cieli, che non solo ogni reggimento Italiano, ma ancora ogni sangue sovrano, eccetto quel di Piemonte, dovessero andare spenti nei calamitosi tempi che vedemmo. Era il duca Ercole principe degno dei suoi maggiori, se non che forse la sua strettezza nello spendere era tale, che sapeva di miseria. Pure dubitar si potrebbe, se tale qualità in lui si debba a vizio, od a virtù attribuire; perchè se dagli eventi giudicar si dovesse, e dalla natura sua, ch'era previdentissima, sarebbe degno anzi di lode, che di biasimo. Certo, era in lui maravigliosa la previdenza, e non so se i posteri mi crederanno, perchè ciò solo a rinomati filosofi fu attribuito, quando dirò, che il duca Ercole con chiaro ed evidente discorso predisse, parecchi anni prima dell'ottantanove, il sovvertimento di Francia, e la rovina d'Europa. Aggiunse con voce ugualmente profetica, che la Francia perderebbe la sua preponderanza, che tutte le potenze si sarebbero collegate contro di lei, e che nissuna l'avrebbe aiutata. Principe buono, ed avverso agli ordini feudali, affermava ch'essi erano più funesto flagello all'umana generazione, che la guerra e la peste, nè mai comportò ai nobili le insolenze. Principe religioso, seppe tener in freno il clero e Roma, perchè e voleva intiero il dominio de' suoi, e si ricordava del tratto di Ferrara. Fiorirono maravigliosamente a tempo suo le lettere in quella parte d'Italia: finì la casa d'Este simile a lei, nell'antico costume perseverando.
Ora per raccogliere in poco discorso quello che siamo andati finora largamente divisando, si vede che se apparivano in Italia desiderj di riforme, non apparivano semi di rivoluzione; che questi desiderj risguardavano parte lo stato politico, parte la disciplina ed il governo della chiesa; principalmente una evidente impazienza vi era sorta di quanto rimaneva degli ordini feudali. I principi, i primi mostrarono di volere, e mandarono ad effetto non poche riforme; il che fece nascere generalmente desiderio e speranza di veder condotta a compimento la macchina delle instituzioni sociali. Tutte queste cose assecondava la filosofia tanto squisita di quei tempi, non quella, dico, turbolenta e sfrenata, che non s'intende come alcuni chiamino filosofia, ma quella che desiderava maggior moderazione nei potenti, e maggior felicità nei deboli. Imperciocchè la religione divenuta ricca e potente, per opera dei gesuiti, lusinghiera e comportatrice di ogni cosa ai potenti, in troppo minor cura aveva, di quanto si convenisse, coloro i quali, secondo i precetti del suo divino Autore, suoi figliuoli prediletti esser dovrebbono, ch'è quanto a dire i deboli. In ciò volle supplir la filosofia, e fecelo, fintantochè uomini senza freno di lei troppo enormemente abusando, empierono il mondo di sterminj e di sangue, come altre volte uomini senza freno troppo enormemente ancora della religione abusando, avevano i secoli spaventato con stragi e con ruine. A questo, erano in alcuni luoghi della penisola uomini rozzi, ma forti, in altri uomini gentili, ma deboli; di nuovo in alcuni armi deboli, ma opinioni tenaci; in altri armi forti, ma eccessive, e per questo medesimo che eccessive erano, non sufficienti. Del resto, se erano in Italia desiderj buoni, non erano ambizioni cattive; non solo non vi si aveva speranza, ma neanco sospetto di rivoluzione, e gli Italiani hanno natura tale, che se van con impeto, maturano con giudizio.
Tale era Italia, quando giunto il secolo verso l'anno della nostra salute 1789, si manifestarono in Francia, provincia solita a muovere co' suoi moti tutta l'Europa, inclinazioni e cambiamenti di grandissimo momento. Destarono queste novità diverse speranze e diversi timori in Italia, secondo la diversità degl'ingegni e delle passioni. In questi crebbero le speranze, in quelli i timori; in alcuni cominciarono a sorgere le ambizioni: i principi si ristettero dalle riforme per sospetto, i popoli più le desiderarono per l'esempio: tutti credettero che per la vicinanza dei luoghi, per la frequenza del commercio, per la comunanza delle opinioni, novità di una suprema importanza avverrebbero di là, come già erano avvenute di qua da' monti.
LIBRO SECONDO
Rivoluzioni in Francia, e loro cagioni, ed effetti. Loro effetti negli altri paesi d'Europa, massime in Italia. Proposizione di una lega Italica. Vera natura del trattato di Pilnitz. Morte di Leopoldo, imperatore d'Alemagna; assunzione di Francesco, suo figliuolo. Stimoli della Russia alla guerra contro la Francia. L'Austria e la Prussia in guerra con questa potenza. Risoluzione della Sardegna, di Venezia, di Napoli, di Genova, del papa e della Toscana. Umori dei popoli in Italia: