Cocincina. Luca De Pasquale

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Cocincina - Luca De Pasquale

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donna che ho di fronte ha creduto bene di darmi subito del tu, e più va avanti questa sorta di colloquio informativo, più la sua aria si fa stupita. Come se si trovasse di fronte un soldato del Re Vega o il ministro Zuril.

      «Quando sei stato licenziato? Nel 2015?»

      «No, nel 2014.»

      «Percepisci ancora la mobilità?»

      «No, è finita il 28 marzo.»

      «Ah, mannaggia.»

      «Eh, sì.»

      «Aspetta, voglio informarmi bene su cosa si può fare. Devo fare una telefonata.»

      Prende il cellulare dal tavolo, compone un numero, riprova più volte finché una voce femminile - che sento anch’io - non le risponde.

      «Ciao bella, senti... senti... sì, sto bene, tu? Rosa sta bene?»

      Ma chi se ne fotte di Rosa, procedi no?

      «... no, è che ti chiamo per un ragazzo che è qui di fronte a me...»

      «Guardi che ho quarantacinque anni», le dico, ma non mi ascolta.

      «... questo ragazzo praticamente sta senza lavoro, è stato licenziato nel 2014 da un’azienda estera e... esatto, sì, ha anche finito la mobilità... eh... dici? Ecco, che cosa potrebbe fare? La carta cittadino? Il bonus degli Ipermercati Nord, no? Forse la Survive South Card Welfare? No, dici? Neanche quella? Che dici... ah, certo. No, non ha niente. No, ti dico, IL RAGAZZO NON HA NIENTE, proprio niente, neanche la macchina. Eh, hai capito, esatto, il ragazzo non ha proprio più niente e non ha entrate...»

      Qualcosa mi dice che dovrei sentirmi umiliato da questa situazione, se non altro dovrei sentirmi in imbarazzo. Il bisognoso che va agli sportelli di un CAF, l’ennesimo, a informarsi su come sbarcare almeno i prossimi due mesi.

      Invece, mi sento neutro. Incolore, in transito, e questo non è altro che un ennesimo piccolo spostamento di pigre e incredule speranze. Guardo la donna che ho di fronte indugiando di più sui dettagli; noto che ha scelto un taglio di capelli carrè, faccio caso alla fede quasi etnica che porta alla mano sinistra. Mi soffermo poi sull’avvocatessa, immersa in mille carte e persa nella sigaretta, che le siede al fianco. La stanza è bianca e pulita. C’è un grosso mobile semivuoto e io sono seduto qui, sul posto accordato ai disperati, ai bisognosi, a quelli che qui ci arrivano grazie ai rovesci della vita, alle malversazioni non più scongiurate. Penso che ho quarantacinque anni, sicuramente vari più di lei, un’impiegata, una dipendente come me sino a qualche anno fa che però mi tratta come un ragazzino un po’ sfortunato.

      Non riesco nemmeno a compatirmi. Piuttosto, mi viene da sbadigliare e vorrei alzarmi di botto, salutare sobriamente e sparire.

      «Grazie Mariarca, salutami Rosa. Allora, adesso informo il ragazzo... ciao bella, a presto... non lavorare troppo!»

      Non sia mai.

      «Mi dica, allora.»

      «Allora, visto che non hai proprio niente, puoi tentare di avere accesso alla Carta Quartierale del Bisogno, solo che la domanda si può inviare solo tre giorni all’anno e siamo pericolosamente vicini a questa data...»

      «Benissimo.»

      «... altrimenti, sempre perché sei sotto la soglia della povertà consentita, potresti cercare di entrare nella graduatoria di quelli denominati “Esubero Dell’Età Di Mezzo Senza Prole Senza Mezzi”, detta EDEDMSPSM. Questo servizio assistenziale ti permette di poter disporre di un bonus di 57 euro al mese per i supermercati convezionati...»

      «Splendido, solo questo?»

      «No, c’è di più! Puoi anche pagare con una SupSpecial Card due bollette Enel l’anno, a tua scelta, e avere uno sconto del 74% su otto medicinali in un anno. Mi sembra già qualcosa...»

      «Naturalmente.»

      «Per accedere all’EDEDMSPSM, tutto quello che devi fare è produrre alcuni certificati; uno di carichi pendenti, poi estratto di nascita, stato di famiglia, residenza, diploma o laurea, congedo militare, saldo bancario al 31 dicembre dell’anno scorso, l’ultima bolletta Enel e anche quella del gas, infine devi dichiarare quante carte hai, tipo Paypal, Postepay, carte di supermercati, tessere di palestre... dopo questi passaggi possiamo tentare di inoltrare la domanda e dobbiamo incrociare le dita, perché è difficile accedere...»

      Prendo tutte le notizie, simulo un vago entusiasmo. Stringo la mano alle due donne. Il ragazzo se ne va. Con il volto parzialmente illuminato da una nuova piccola speranza a forma di card. Ma è una farsa. Faccio così solo perché non ho voglia di uscire da questa stanza mormorando uno stanchissimo «grazie, non fa niente», come è capitato da due anni a questa parte.

      Se non sei più giovane o ancora vecchio, perdere il lavoro in Italia e non ritrovarlo è una colpa, una macchia, un errore. Hai sbagliato di sicuro qualcosa. Magari non sei stato furbo. Non hai coltivato le persone giuste. Non hai finto, neppure quello, di leccare natiche. Non hai creduto in te stesso, magari. Non sei espatriato, eppure era così facile! E sei stato tanto fesso da non aver fatto credere di votare per quel politico che conosceva tuo zio o tua nonna... Alla fine ti danno dell’idealista, dello sfigato o dello stronzo bipolare: quel che è certo è che la colpa ti appartiene. Da quello non puoi fuggire. E allora tu decidi di fare branco da solo, e come i lupi feriti ma vigili ti nascondi nella neve, che quella piace ai bambini, non avranno paura di te.

      Esco dal palazzo, saluto il portiere come se fosse il mio migliore amico, svicolo velocemente nella folla. Il pacchetto di Camel è quasi vuoto. Il ragazzo-lupo fuma le Camel, finché potrà permetterselo. Le strade, la folla, il caldo, le auto sporche con i gomiti da fuori, sono tutte sbarre quando manca la libertà essenziale di bastare a se stessi. E nella libertà, insindacabile e sacra, rientra anche il poter evitare di raccontare di una caduta personale a estranei disattenti e quasi sempre impotenti.

      Arriva l’estate, signori.

      Leggerò di food blogger, di fashion blogger, di imprenditori con la luce in bocca, di welfare e di eleganti giovani presidenti, leggerò di star della televisione finite malvolentieri nelle forche caudine del tetto dei compensi.

      Leggerò dei libri che sono stati scritti su eleganti scrivanie, su portatili color crema. Con capitoli che sono stati festeggiati con scopate e uscite. Leggerò storie costruite a tavolino su solidarietà e inclusione sociale. Continuerò a sorridere alla gente.

      Come un lupo al quale la vista inizierà a far difetto, finirò per attaccare la mia ombra in una notte qualsiasi, una notte troppo calda per aspettare il mattino seguente.

       IV

       La bellissima pioggia del 1985

      Uno dei miei ricordi più belli è legato a un’atmosfera, come spesso accade; quella di un tardo pomeriggio di tantissimi anni fa, precisamente nel freddo novembre del 1985. Ero uscito sotto il diluvio per recarmi all’oasi heavy metal del mio quartiere, Godzilla, lungo la malinconica via Crispi e che torna spesso nei miei aneddoti vintage.

      Nonostante le esagerate implorazioni dei miei genitori, e in particolare di mio padre, che non volevano uscissi sotto la pioggia battente, indossai il mio datato giubbotto nero e grigio e andai alla ventura, fresco di paghetta

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