I Mostri Nel Buio. Rebekah Lewis
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Non preoccupandosi delle luci, cominciò a spogliarsi. La parte superiore del vestito richiese un po’ di sforzo – più di quanto ne ce fosse voluto per indossarlo – ma ci riuscì. Poi lo fece volare nella cesta nell’angolo con un po’ più di aggressività di quanto volesse. Poi fu la volta della gonna e lei rimase in sottoveste e lingerie, che aveva indossato assolutamente per nulla.
“Dovrei uscire e andare a letto con un completo sconosciuto per ripicca, Adam. Coglione.” Aprì il gancio della collana e se la tolse. Poi gli orecchini, poggiando entrambe le cose sul cassettone vicino alla borsetta. “Sono un disastro e a quanto pare non sono abbastanza attraente per tenermi un uomo, per cui chi mi vorrà mai?” Il suo riflesso le rimandava il broncio o lo avrebbe fatto se lei fosse riuscita a vedere la sua figura al buio. Il profilo della porta dell’armadio aperta dietro di lei era distinguibile però e lei le lanciò uno sguardo. “E tu”, disse con tono di accusa “Perché non rimani chiusa quando ti chiudo?”
“Perché altrimenti non posso guardarti. Sia ben chiaro che ti voglio e accetterei di buon grado la tua offerta.”
Rimase a bocca aperta allo specchio, incerta se le orecchie le stavano tirando un brutto scherzo o se le avesse dato di volta il cervello definitivamente. Non ci doveva essere una risposta. Prima di tutto, la sua invettiva era per scacciare la delusione parlando con sé stessa. Cosa del tutto normale, anche se un po’ da stupidi. La voce maschile che aveva sentito, però, non era affatto normale. Infatti, dopo che la polizia aveva setacciato ogni centimetro dell’appartamento e non aveva trovato nessuno nascosto, non avrebbe dovuto proprio esserci un uomo nel suo appartamento.
Tutti pensieri logici. Perfettamente ragionevoli. Eppure, c’è un uomo nel mio armadio…
Guardandosi attorno, strabuzzò gli occhi in direzione della voce. Chiunque fosse, aveva una voce profonda e roca e un accento strano. Decisamente straniero. “Chi c’è là?” Allungò la mano verso l’interruttore vicino al cassettone e l’accese. Non vide nessuno, ma la cabina armadio era più profonda di quanto potesse vedere da quell’angolazione. Phoebe cercò un’arma e afferrò un vaso di rose rosse. Non era molto, perché era di plastica e stoffa, ma lanciarlo verso un aggressore le avrebbe dato il vantaggio per scappare via “Ti avverto…”
Andando in punta di piedi verso l’armadio, non sapeva cosa aspettarsi. La porta si apriva verso l’interno perciò la sospinse con la punta del piede finché la maniglia non urtò la parete. Nessuno era al suo interno a meno che non fosse nascosto dietro ai vestiti. Entrò, scalciando dietro ai vestiti. La porta si chiuse con violenza alle sue spalle. Con uno strillo, lasciò cadere il vaso, che fece solo un tonfo sul tappeto ai suoi piedi. Phoebe allungò una mano verso l’alto, armeggiando con la cordicella della luce e la strattonò quando la mano si strinse intorno al filo. Non successe nulla. La tirò con violenza ancora una volta con lo stesso risultato.
“Cerchi questa?” L’uomo nell’armadio le afferrò una mano e le mise qualcosa nel palmo. La lampadina. Aveva svitato la lampadina e aveva aspettato per tenderle una trappola quando lei era entrata. Ma dove era stato nascosto?
Phoebe non fece questa domanda. “C-che cosa vuoi?”
Lui si mise a girarle intorno come un gatto pronto a avventarsi sulla preda. Lei non riusciva a vedere nulla, ma il calore del corpo dell’uomo la rendeva consapevole della sua presenza. La mancanza di una risposta era più spaventosa che sapere cosa aspettarsi. Alla fine, disse: “Vuoi ancora andare a letto con un estraneo per punire quel idiota che non ti meritava.” Fece scorrere una nocca sulla sua gota e lei trasalì. “Quello che ti ha fatto piangere… Se vuoi, posso mandare uno dei miei uomini migliori per fargli molto male. Ti farebbe piacere averne le sue palle come trofeo? Si può fare.”
Che cosa stava… si era appena offerto di castrare Adam? “Tanto quanto si merita: non tollero la violenza.” Lei raddrizzò la spina dorsale. Riusciva a percepire che lui era più alto dei suoi 1.60.
“Un vero peccato”, disse alle sue spalle. All’improvviso si ritrovò contro un petto massiccio e muscoloso. “Riguardo a quello che hai detto prima…”
Pensava che avrebbe potuto nascondersi nel suo armadio e fidarsi ciecamente di quello che lei aveva detto in un momento presa dal malumore? Ah! “Ascolta, amico, non so chi sei e non so come sei arrivato qua dentro, ma non farò niente con te. La polizia è ancora là fuori, per cui devo solo gridare.” In un certo qual modo lei aveva la sensazione che lui non si trovasse là dentro per imporsi su di lei. Perché, se avesse voluto farle del male, lo avrebbe già fatto. Non riusciva a capire da dove provenisse quella sensazione.
“Gli uomini che hai chiamato per cercarmi se ne sono andati da un pezzo, e non devi temere che io ti faccia del male”. Le sue braccia erano intorno a lei, ma non la stava stringendo con forza. La stava… abbracciando? “Quando scoperemo, sarà solo quando ti sarai offerta a me. Hai già fatto la tua offerta imprudente e se non fossi legato dalla mia buona reputazione, avrei potuto già farti mia.” La lasciò andare.
Phoebe si voltò per guardarlo in viso e arretrò, contro la parete che la porta toccava quando aperta del tutto. “Sei un illuso se credi che… scoperemo, come hai eloquentemente detto.”
L’uomo ridacchiò e il calore del suo corpo suggerì che si era avvicinato. Le scostò i capelli dal viso e disse: “Immagino che tu voglia andartene adesso, vero?”
Lei non rispose. Voleva che fosse lui a andarsene. Era il suo armadio, accidenti!
“Ti ho fatto una domanda. Vuoi andare via?”
Quel tizio era strambo da morire. “Si, voglio andare via. Perché continui a domandarmelo?” L’aria attorno a lei cominciava a farsi più fredda, ma aveva cose più importanti di cui preoccuparsi che pensare all’impianto di riscaldamento.
“Sono contento di sentirtelo dire”, disse l’uomo compiendo un passo in avanti. Lei arretrò sebbene non potesse andare più lontano di così con la parete alle sue spalle, a meno che non si stesse davvero allontanando da lui! Un passo. Due. Poi tre. La parete era svanita e questo fu abbastanza per spaventarla tanto da farla tornare in sé. Si mise a strillare e tentò di scattare in avanti, là dove la porta avrebbe dovuto essere, ma l’uomo si piegò, la sollevò sulle proprie spalle e continuò a camminare nella direzione in cui la stava sospingendo.
Capitolo III
“METTIMI GIÙ! DOVE MI stai portando?” Phoebe lo colpì sulla schiena solo per accorgersi che l’uomo era nudo quando la sua mano entrò in contatto con un fianco e una natica scoperti. Merda, c’era uno sconosciuto nudo nel mio armadio. Come avevano fatto i poliziotti a non trovarlo? Perché non c’era luce? E perché intorno c’era odore di… minerali? Forse zolfo… Erano in una caverna? E cosa più importante, avrebbe potuto raggiungere l’armadio se fosse andata nella direzione opposta?
Il suo rapitore l’aveva agguantata per il sedere e la stringeva con forza. Phoebe strillava indignata, e questo faceva ridere l’uomo. “Non sdegnare quello che non si desidera avere.” Voltò un angolo e sebbene lei non riuscisse a vedere niente a parte il busto dell’uomo, un debole chiarore davanti a lei aiutava gli occhi a adattarsi al buio. “Ti lascerò con una delle più nuove femmine della nostra tribù. Parla la tua lingua e può aiutarti a ambientarti. Devo sbrigare delle faccende, ma quando sarò di ritorno sono certo che sarai pronta per i sacri rituali.”
Di che stava parlando? “Mi offrirai in sacrificio a un mostro o qualcosa di simile? Ti avverto: non funzionerà. Non sono una vergine e non ho molta carne addosso. Verrò rifiutata immediatamente.” La luce adesso era più